VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE

Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art

Luther Blissett

 
Cuore di Cristo
Cronache da Casalpurga

Luther Blissett ci racconta le sue dis/avventure nella scuola italiana di Casalpurga all'epoca di don Fioroni.
Tra colleghi che sembrano usciti dalle pagine di Gogol e colleghe che ricordano Dulcinea del Toboso
quale era veramente, prima che Cervantes la sublimasse nella follia del Quijote,
tra docenti alla ricerca della lezione privata perduta e signore che nell'intervallo non parlano di Michelangelo, ma fanno la spesa,
Blissett percorre e ripercorre i corridoi attraverso cui i giovani di questi tempi di
(berluscon) (dalemi) (rutell) (mastell)-iano respiro

si aggirano nelle kindergarten della pubblica istruzione in attesa di entrare nel mercato.

Cristo!, che Cristo al miocardio!
di Antonino Contiliano


La perfezione la possiedono solo gli dei e gli stupidi.
Eraclito, Lettera a Fullonia, frammento 28

Si natura negat, facit indignatio versum
qualecumque potest...

...Quidquid agunt homines, votum, timor, ira, voluptas,
gaudia, discursus, nostri farrago libelli est.

Et quando uberior vitiorum copia?
Giovenale, Satira I


Auditoribus nostris non quicumque libri temere concedantur, sed ii dumtaxat, quos quisque audit in schola, vel qui exponi soleant ac possunt in sua classe. In iis etiam multitudo cavenda est, quae et opprimit ingenia et impedit ne quotidianum pensum commode reddatur. Ex recentiorum vero libris et pauci et magno cum delectu permittendi sunt. Faciendum itaque ut libri discipulis ad arbitrium magistri et praefecti studiorum concedantur.
                                                           Claudio Acquaviva

  1. Auguri di Luther ai colleghi di Casalpurga
  2. Mondialcasa
  3. El Topo
  4. Lucien de Rubempré
  5. Ritratto di Signora
  6. La bella Otero
  7. Fortunata
  8. Padre Corvino
  9. Akakij Akakievic
10. L’uomo venuto dal nord
11. Lucien de Rubempré e la cybercultura
12. Marchesa
13. Padre Vertov
14. La Signora e i suoi amici
15. La scuola cresce
16. El Topo sbarca in Sicilia
15. La scuola cresce
17. L'uomo del nord scopre la luna
18. Ficusecca
19. Mission
20. Kimbo
21. Bephi
22. Nella terra di Lucilio

Cristo, che Cristo al miiocardio!
di Antonino Contiliano


1. Auguri di Luther ai colleghi di Casalpurga

Comincerò con gli auguri per l’anno che viene o col chiedervi come ve la passate
ora che a Casalpurga non c'è più Luther Blissett a ricordarvi
che qual è si scrive senza apostrofo? Io sto bene, grazie,
e così spero di voi, e spero che l'anno nuovo non sia per voi
come quello del venditore degli almanacchi,
troppo ingenuo per essere sentimentale
come deve esserlo chi ha a cura il futuro della specie.
Spero anche che qualcuno di voi in questi mesi
abbia imparato che non si può essere nello stesso tempo servi di cristo e di berlicche,
e che sul pianeta c'è più intelligenza di quanta se ne possa osservare
con il telescopio di Casalpurga.
Per il resto, io, Luther Blissett, posso dire solo
che lontano da Casalpurga la terra appare un pianeta
come ce ne sono tanti, dove c'è chi viene e c'è chi va,
chi pensa che Bin Laden sia un attore di Hollywood
e chi dopo aver ricevuto l'eucarestia se ne torna al banco
con l'aria triste di chi ha intuito, senza esserne cosciente,
che il divino è troppo difficile per essere affare suo.
Del resto, troppo tardi anch'io ho capito che Casalpurga è solo una metafora
dello spirito, e che ci sono luoghi in cui una rosa è una rosa, e basta.
Ho capito che là dove ora siete il tempo ha smesso di essere l'enigma
per cui Maria fu costretta a partorire, per diventare, semplicemente,
l'indice, analogico o digitale che importa, dell'umana belluinità.

Non so se capirete ciò che dico. Un nuovo anno vi attende ,
verrà l'epifania, carnevale, un'altra primavera e un'altra estate
e un altro autunno e un altro inverno, facendovi un po' più vecchi,
ma sempre eguali, e fedeli, nell'anno, nel decennio e nel millennio,
ai ventenni che eravate. Perinde ac cadaver, si dice.
Io dico, senza pretese, che i morti hanno una dignità che i vivi non hanno,
che bisogna essere seri come può esserlo solo chi ha capito
che nel cane di Bush è racchiuso il nostro destino.

Non so se capirete ciò che dico. Così passo a farvi gli auguri:

A Mondialcasa auguro che l'anno nuovo incrementi con le sue vendite
dei prodotti per la casa la sua conoscenza di Seneca e Marguerite Yourcenaur
le auguro anche che il marito non giochi più con gli aeroplanini

A El Topo auguro di trovare un Alcibiade da amare
senza dover far finta di aver perso la testa per Frine
gli auguro anche di laurearsi finalmente alla Sorbona

A Lucien de Rubempré auguro di diventare dirigente di Casalpurga
e di non copiare più articoli da internet
gli auguro anche che la befana gli porti calzini grigioscuro e non rossi

A Fortunata auguro di imparare finalmente la lingua del sì
che è la lingua che senza nutrice dovrebbe pur parlare
le auguro anche che qualcuno le regali Silenzio di Cage

Alla Marchesa auguro di tornare dai suoi pastori d’Abruzzo
e di fare a tempo pieno la figurara che è mestiere antico quanto quello di Maddalena
le auguro anche che Fendi rinnovi finalmente il suo listino di borse

A Elsa Maxwell auguro di trovare un marito da sposare in una chiesa qualunque
e non in quella dove Giovanni incontrò Fiammetta
le auguro anche di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto

Alla bella Otero auguro di riuscire a far capire a un diciottenne
che un triangolo si dice così perché ha tre angoli
le auguro anche che il suo parrucchiere ci metta più impegno la prossima volta

Ad Akaky Akakievic auguro che che le sue denunzie di reddito
siano trasparenti come lo sono i suoi verbali d'esame
gli auguro anche di non usare più lozioni per scurire baffi e capelli

A Matrioska auguro di imparare che la Sagrada Famiglia non l’ha fatta Godè
e che l'astronomia è un po' più complessa delle quattro chiacchiere da insegnare agli alunni
le auguro anche che la dietologia faccia progressi decisivi

A Gertrude ed Egidio auguro di ascoltare peppino di capri
e di dargli retta quando quello canta che scopare non è peccato
mi auguro anche che almeno una volta lo abbiano fatto 

A Lumaca auguro che il marito si converta all'ebraismo
e getti finalmente il cappello sul letto
le auguro anche di continuare a usare il giornale solo per sapere chi è morto

All'uomo venuto dal Nord auguro di comprendere
che anche il pompino è una forma d'amore
gli auguro anche che abbia il tempo per leggere il De Senectute di Bobbio

A Berruti auguro di non mettere più le mani sul culo delle tredicenni
ma di apprezzare il fascino delle ottantenni
gli auguro anche di trovarle più disponibili delle prime 

A Buzzanca auguro di non frequentare più la fiera del sesso
ma il salone del libro a Torino
gli auguro anche di capirci prima o poi qualcosa nelle riunioni che fa

A Ninetto auguro di decidere finalmente di che sesso è
e la smetta di fare l'uomo con le donne e la donna con gli uomini
gli auguro anche di incontrare un pierpaolo che lo faccia diventare ricco

A Padre Vertov auguro di intuire che Vacanze sul Nilo
non è poi un film così amaro come vuole far credere
gli auguro anche di non tenere più tra le mani le mani di chi incontra

A Felice Sciosciammocca auguro di essere meno rigido sulla schiena
perché per la mente è un po’ più difficile
gli auguro anche di prendere atto che il titolo di dottore oggi non si nega a nessuno

A Padre Corvino auguro di ricevere sulla sua linea privata
tutte le telefonate che il suo cuore desidera
gli auguro anche di trovare un condizionatore un po’ più efficiente del pinguino de longhi

Alla Signora auguro di trovare un amante più discreto di Luther Blissett
che non la costringa ad andare da padre pio a chiedere la grazia
le auguro anche che dio abbia ben altro da fare che dare ascolto a padre pio

E a me Luther Blissett auguro semplicemente
di non tornare mai più a Casalpurga

perch'i no spero di tornare perch'io no spero e mai non voglio
tornar là dove il mondo s'arravoglia e s'arrabatta
si sghemba schiterizza e schizza al fondo
ed è eccellente l'om che sè presume
d'aver le ali al volo e alla mignatta
ma matta sei tu anche  amore mio
che di fellatio ed altro che non dico
riempi le mie notti e la mia mente
che nullo altro sente e ad altro tende
al punto dove il tutto coincide
la possa la fantàsia ed anche il velle
che come sempre è question di pelle
se l'omo fa l'omino o fa l'omaccio
e poi io del resto io mi taccio
degli altri che de retro vanno avanti
che a pecora caprone o altra bestia
sè pongono al fin della ventura
che è dura mammia mia e com'è dura
la vita in questo mondo che va a fondo
e Mondialcasa urla forte dalla poppa
mettete là un bel chiodo nella toppa
e le risponde El topo assai gentile
del polpo più gustoso è assai il mitile
ribatte la Marchesa ch’è sfaticata
qualcuno mi prepari l’insalata
Lucien de Rubempré ch'è di corvetta
si guarda pensieroso la brachetta
che la Signora sbircia di soppiatto
perché si sa che è donna attenta al tatto
ma Luther mo' saluta e corre a nanna
auguri a Casalpurga e a zia Giovanna
auguri agli amici ed ai nemici
ma quando mai sarete un po’ felici?

2. Mondialcasa

Mondialcasa insegna latino e greco, ma non distingue
Tacito da Sallustio, nè sa che il lutto si addice ad Elettra.
Quanto a Medea, è inutile parlarle di Cherubini, Callas o Pasolini.
Quel poco che ne sa sono quei pochi versi che un giorno ha letti e tradotti
aiutandosi con le note per spiegarli il giorno dopo ad alunni che sarebbero senz'altro
più felici di vivere nel mondo che sarà che in quello che è stato.

Mondialcasa ha a cura la sua anima. E umiltà quanto basta
per affidarne la salvezza a un vecchio francescano
che pensa che ogni film, anche se fa ridere, è come la vita
che è triste, è triste, è triste e lo ripete
dalle sette di mattina alle undici di sera.
Del resto, quando si è innamorata di un'endocrinologo
che non si sa bene cosa facesse ad un esame di stato,
e parlava di lei alle cene con le sue amiche,
qualcuno l'ha confortata che dopo venti anni di coniugale fedeltà
poteva anche concedersi almeno la trasgressione del pensiero,
non foss'altro per il piacere di scoprire
che il pensiero esiste
e fare a meno di una morale
che nemmeno Ratzinger si sognerebbe di avallare.

Mondialcasa fa la preside. E se si arrabbia inarca le ranici
per rendere meno credibili le sue insicurezze e avere
quel po' di obbedienza che il marito quando gioca con gli aeroplanini
è restìo a concederle. Altre cose non le concede.
Anche quando non gioca con gli aeroplanini.
Perciò Mondialcasa è così triste. E il marito anche.
Tanto che quello che lei pensa sia la sua migliore amica
e che l'accompagna a casa ogni giorno
quando le lezioni sono finite
non ha trovato per suo marito e sua figlia vezzeggiativi più persuasivi
di Mortimer e Mortisia.
Ma Mondialcasa non lo sa e le vuole bene
e tre volte l'anno
ogni volta che organizza riunioni con le sue colleghe
le regala un ventilatore a pile e presine colorate per la cucina.
L'amico la ringrazia. E Mondialcasa le è grata. Ed è felice,
perchè ci vuole così poco ad essere felici
quando non hai letto nè Tacito nè Sallustio
e sei convinto che se non muovi il mondo
quello se ne sta lì tranquillo e fermo
e non rimbalza come la palla
che in un vecchio film
un vecchio dittatore con il volto di chaplin
cerca inutilmente di addomesticare.

3. El Topo

El Topo ha studiato alla Sorbona, o almeno così ha fatto credere
il giorno in cui qualcuno pensò che fosse adatto a far comprendere
ai giovani di q uest’età così particolare che i poeti latini e greci
hanno con la natura un rapporto che si sottrae al sentimentalismo
patetico che rende i nostri poeti illeggibili, e poco godibili.

El Topo veste sempre in nero, e parla con tono severo, e puntuale,
come se avesse sempre davanti un libro, di cui con precisione
e rigore ripete alla Pierre Menard versi e capoversi.
E guai se un diciottenne un po’ birichino gli ruba la battuta
o gli anticipa la pagina di dopo. Si arrabbia, riferisce tutto
a Mondialcasa invitandola a prendere provvedimenti,
non sopporta chi è innamorato dell’originalità
e non è disposto ad accettare, fosse solo perché ha diciotto anni,
che tutto è scritto, e la voce non può che limitarsi
ad una sublime ricapitolazione della verità,
come volevano nel Medioevo e oggi, più discretamente,
suggeriscono le vestali dello spirito dell’epoca.

El Topo  è un omosessuale. Lo sanno tutti. Sanno che è in grado
di apprezzare, con passione che mai non muta, la sfrontatezza
della giovanezza e la crudeltà feroce di chi ha imparato
che in amore è sempre lo stesso, anche se a farti venire
la vertigine è lo sguardo di uno che ha la barba come te.
Avesse meditato su Die Tot im Venedig avrebbe capito
che Platone amava troppo le donne e Aschenbach
mai e poi mai avrebbe sfiorato Tadzeus nemmeno con un dito.
Ma El Topo non ha letto Platone, né Mann
e ignora chi sia Erwin Rodhe. E’ omosessuale, e basta,
di quelli che fanno di tutto perché il mondo si convinca
che hanno il pallore dell’asceta, e di chi possiede
disciplina ed equilibrio.

El Topo  non ha studiato alla Sorbona, e nessuno più lo crede.
Consuma le sigarette fra le dita, come una donna, e come una donna
aspira il fumo e lo libera nell’aria. Ripete ciò che legge,
e legge ciò che ripete. E ora che è nella terra
dove è il profumo degli aranci e il principe di Salina
intuì che per non cambiare nulla tutto deve essere cambiato,
non gli resta che spiare, dalla fessura di una persiana,
un corpo nudo di maschio che come un dio
accende il suo desiderio, e gli ricorda,
senza che lui possa comprenderlo,
che ciò che è bello non può essere posseduto.

4. Lucien de Rubempré

Lucien de Rubempré vive nell’hinterland
E questo non gli sta bene, no, non gli sta proprio bene.
Lui pensa che l’aria della città rende liberi
e sarebbe contento di trovare
un’annetta meier che gli portasse in dono
un orgasmo fuori misura e l’ebrezza della trasgressione.

E si veste come gusto e cultura gli consentono,
ignorando che i calzini rossi sono amati da ruffiani
e sagrestani e che baffi e pizzetto li aveva
anche Picrochole, quello di Rabelais,
che nei fumetti degli anni cinquanta
alimentò i sogni dei bambini che nel ‘68
avrebbero sognato di cambiare il mondo
ma che cambiarono solo il loro modo di essere infelici.

Lucien de Rubempré fa parte del comitato di salute pubblica,
che si preoccupa dove lavora di vigilare
che i vizi privati non restino solo privati
ma siano pubbliche virtù e certifica che le fantasie
sessuali degli operatori culturali
siano conformi alle direttive dell’Opus Dei.
Del resto, ha poche occasioni per dimostrare
che anche lui ha letto quello che si deve leggere
e che pilucca da Aristotele come dall’uva
che non è mai matura.

Lucien de Rubempré ha un gemello. E ci vorrebbe un plutarco
che scrivesse vite parallele ad usum delphini
per spiegare a chi legge che è sempre possibile intendersi
per chi crede nelle sinergie dello spirito e della stupidità.
Anche se il dna è diverso e chi viene dai monti
ha lo sguardo acuto e diffidente che mai potrà avere
l’uomo della pianura costretto a far coincidere
l’orizzonte con il palo della luce elettrica
a dieci metri dalla sua casa.
Così accade che Lucien de Rubempré continui a sognare la torre Eiffel,
senza mai aver udito lo strazio di Carmelo Bene
che grida con verdiano entuasiasmo: A Parigi, a Parigi!,
mentre il gemello difenda da pierrot lunaire
il diritto a viversi la vita come se fosse l'incubo di un idiota.

Ma questa è la storia, e neanche Honoré avrebbe disdegnato di parlarne.
Neanche Gogol che certo di anime morte ne capiva. E Majakovskj
che fece di una pulce l’anima barocca del partito.
Ma Lucien de Rubempré conosce poco di Honoré e Nicolaj e Vladimir
e non può consolarsi con la poesia, che gli è rigorosamente estranea
come è giusto che sia per chi pilucca da Aristotele come dall’uva
che non è mai matura.
Il fatto è che vive nell’hinterland
e questo non gli sta bene, no, non gli sta proprio bene.

Per questo se ne andrà a Parigi
e ascolterà una guida turistica che come lui non sa chi è Violetta
e la Callas mentre spiega Courbet e l’origine della vita.
Guarderà stupito la cattedrale di Rouen e la Senna che scorre pigra.
Ricorderà, peû etre, Juliette Greco, Yves Montand e che in terra di Francia
è d’uopo la soupe d’onions, la côte de boeuf e un’escursione
a pigalle con la nonchalance di chi ha da tempo superato
le turbe dell’intelletto e del basso ventre.
Poi ritornerà nell’hinterland e racconterà al gemello
che a parigi sì che si respira l’aria della città che rende liberi
senza accorgersi dello sguardo acuto e diffidente
di chi sui monti ha appreso che la vita
è arte drammatica e sublime.

5.  Ritratto di Signora

La Signora ha letto Possessione di A. S. Byatt, e ne è entusiasta.
Lo consiglia a tutti: parenti, amici e colleghi e tutti credono
che Randolph Henry Ash sia esistito davvero e ne cercano le tracce
nelle librerie e su internet. Ma lei sa che non c’è differenza
tra un poeta che è esistito e un poeta che un altro poeta ha inventato.
Sa bene che in poesia, come in amore, le bugie rendono più bella,
e invidiabile, l’esistenza. E si diverte a parlare in giro
di Ash che scrisse Il giardino di Proserpina e credeva
che ai limiti del vecchio mondo se ne aprisse uno nuovo.
Passa così il tempo, che le resta, non molto,
fino al giorno in cui si ricorderà
che Ronsard era un poeta molto acuto, ed esperto del mondo.

La Signora è in menopausa. E ora che i figli le ricordano
che ha già dato quanto doveva alla specie e nulla può più dare,
perchè la natura non ha pietà per la vecchiaia, può leggere
solo libri, che le ricordano che un giorno anche lei
ha amato un poeta, e un poeta l’ha amata,
che, una sera che aveva un po’ bevuto,
immaginò che il libro che aveva scritto sul loro amore
l’avesse scritto un poeta che non era mai esistito
e fece credere al mondo che lui fosse un po’, o molto, folle
e lei la Signora una donna come ce ne sono tante,
che per sua sfortuna amò un poeta
che credeva che la letteratura fosse la vita, e viceversa.

La Signora, ogni mattina, va al bar. Ma evita accuratamente
di frequentare quello in cui potrebbe incontrare
il poeta che un giorno scrisse versi in cui il dolore
è più forte del pudore. E si porta a fianco un cagnolino,
un collega con un po’ di peli sotto il labbro inferiore,
che le dà a parlare e consente al suo sguardo
di non incrociare gli occhi di Ash,
quegli occhi in cui non può più mentire alla sua vecchiaia
nè chiedersi più chi è la più bella del reame.

Così, non le resta che leggere Possessione di A. S. Byatt,
e consigliarlo a tutti: parenti, amici e colleghi, e poi attendere a sera
che il marito ritorni a casa, dopo avere portato a spasso il cane,
e si sieda a tavola, per la cena, e parli con lei
di come è buffo questo mondo dove si pubblicano libri
dove i poeti inventano poeti che non sono mai esistiti
e trovano anche chi li legge, e li consiglia
a parenti, amici e colleghi.
 

6. La bella Otero
 

La bella Otero non è bella e di Otero non ha né gli occhi
né il corpo con cui ricordare al maschio che un giorno nella foresta
non avevamo bisogno dei preliminari che prescrivono i manuali
del moderno erotismo. Certo, lei si sforza di rendersi credibile,
racconta agli alunni le acrobazie di cui è capace anche
nell'abitacolo ristretto di un'utilitaria, i voli d'angelo di cui solo l'alcova
può testimoniare. E per provare che ogni corpo ha un'anima
a quello adeguato e di essere in grado di mettere insieme
tradizione e rinnovamento, istino e super-io, morale e trasgressione,
ovvero che vizi privati pubbliche virtù, quando parla in pubblico
ha sempre l'aria compunta di chi ricorda che il mondo soffre
ed è nostro dovere dar da bere agli affamati e rendere intelligenti gli stupidi.
Questo per lo meno si intuisce dietro le parole,
che sembrano ricordare l'autore del Tractatus quando ci ricorda
che il linguaggio è come un labirinto che vieni da una parte
e ti raccapezzi, giungi da un'altra e non ti orienti più.
Così, anche quando dice oggi piove a chi ha un minimo di cultura
viene da pensare alla logica degli stoici e chi non ce l'ha
non ci capisce nulla

La bella Otero insegna matematica, che è arte sublime e del demonio,
ma non ha mai letto ciò che ha scritto Musil sul numero immaginario
né conosce il problema geometrico delle bolle di sapone. 
Si limita a disegnare con il gesso sulla lavagna
quelle formule che il libro propone con maggiore chiarezza tipografica,
indispettendosi se il giovin signore le dimostra con il suo disinteresse
che la matematica inquina lo spirito e rende la vita noiosa.
Del resto, ha poche occasioni per dimostrare che la logica non distingue
un sesso dall'altro e che un disadorno ammanto non impedisce
alla virtù di lucere e riscaldare il core.

La bella Otero canta. Canzoni della sua terra, dove cantarono le sirene
e il poeta d'andes nascose con l'uovo il destino della città. Canzoni
che a cantarle ad un datore di lavoro che parte per altra sede
ti viene da pensare che poi hegel non aveva poi compreso molto
dei rapporti tra servo e padrone. Ma canta bene, però, 
la sua voce è melodiosa e impostata con sentimento,
c'è l'anima, il cuore e tutte quelle parti del corpo,
esofago, cistifellea e coratella che entrano in funzione
quando mangi troppo e non sei troppo lucido.
E quando è sera, quando a casa chi ti è vicino non s'accorge
che tu sei lì vicino, non le resta che cercare in una chat
quello che cercano tutti quelli che in una chat
si sforzano di dimenticare che non si sfugge a quell'io
che, come voleva l'antico poeta, nessuno di noi
può pensare di perdere per strada,
quasi fosse un ombrello che, come tutti gli ombrelli,
tocca a tutti di perdere a ripetizione e nei posti più impensati.
 

7. Fortunata
 

Fortunata ignora che di lei già parlò Petronio. Ignora anche che Binswanger
dimostrò che un linguaggio che cerca i preziosismi spesso nasconde
la trivialità. Sculetta: quando era un po' più giovane usava
calze a rete e tacchi alti quanto basta per dimenticare che siamo nani
sulle spalle dei giganti. E ora che è un po' più vecchia,
mescola il veneto col partenopeo, l'english con l'yddish, l'hystorical background
con le più avanzate tecniche dei moderni bignami.
Così che non sai mai in quale parte del mondo è nata, e non ti resta
che apprezzare le virtù muliebri che dalla ceramica alla culinaria,
dai balli latino-americani al tango che Jorge assunse a simbolo
del mondo, confermano che la donna è un mistero
che se lo conosci lo eviti. Va a teatro, dove si destreggia con disinvoltura
tra fescennine licenze plautine e le paludate magniloquenze
di William. Ma non disdegna il cinema, ama muccino e wenders,
alvaro vitali e  buster keaton: da tutti prende il meglio,
perché chi è saggio fa a meno di paraocchi e ideologie
e non sa cosa farsene del pensiero, che ti fa infelice
e meschino.

Fortunata ama viaggiare. Ha visto le bianche scogliere di Dover
e la terra dei sicomori, dove Giuda tradì con dio l'uomo
che non sarebbe mai stato. Ha visto Medjiugore, dove le statue piangono
dinanzi ad uomini che non sanno più né piangere né ridere
e hanno bisogno di miracoli per non sembrare ridicoli.
Così, ora che la primavera tarda e i mandorli sono ancora secchi,
se ne va nelle contrade avare della Catalogna, dove
tra ramblas piccole e grandi si proverà ancora una volta
a ricordare com'era quando più giovane e snella
con calze a rete e tacchi alti ignorava che i giganti
non sanno cosa farsene dei nani sulle spalle.
Vedrà il flamenco, parco Guel e la Sagrada Famiglia; mangerà il gazpacho
e la paella innaffiata con la sangrìa che rende euforici e meno acri.
Poi tornerà a casa: con un rotolo di cotone in più nella sua collezione
di donna amante di taglio e cucito, con una cartolina
dell'Avenida Generalissimo Franco e la convinzione
che la vecchiaia è solo uno stato mentale.

8. Padre Corvino

Padre Corvino è un uomo di mondo. Come Ignazio che giovane ebbe modo
di sperimentarne i piaceri e passò il resto della vita ad impedirlo agli altri.
E lui mai ha rimpianto il giorno in cui decise che essere soldato di Cristo
poteva garantirgli non solo l'aldilà che nessuno sa se ci sia davvero,
ma anche l'aldiqua che è cosa di cui nemmeno il più acuto degli scettici
può dubitare, perché tutti prima o poi soffriamo per una carie
o per la puntura di una zanzara. Del resto, lo ha anche
pubblicamente affermato: mai lo ha rimpianto, e ha additato come modello
ai giovani d'oggi così poco sensibili al sacro e alla tenerezza,
Santa Teresa del Bambin Gesù, che fu donna attenta
ai segni del suo tempo e capì, con intuito tutto femminile,
che dinanzi ad un bambino che nasce tace l'invidia del mondo
che da adulto lo manderà a morte. E non a caso, chi s'intende
del diavolo e dell'acquasanta, l'ha fatta dottore, perché pervenne alla sapienza
senza mai avere studiato. Come fanno appunto i giovani cui Padre Corvino
ricorda che la semplicità è dono impagabile, ma che è dubbio, però,
se mai, così facendo, perverranno a una sapienza che li condannerebbe
all'infelicità.

Padre Corvino è un uomo di mondo. E sa bene che non bisogna disprezzare
quanto di buono questo ci passa, perché ogni giorno ha la sua pena,
e tutto prima o poi finisce. Ha letto Sofocle e non può ignorare
che un uomo può essere felice per sessantanni e poi in due giorni
pagare gli interessi su ciò che ha goduto. Ha letto in Santa Teresa del Bambin Gesù
che questo è il cielo, questo è il mio destino e ha intuito che bisogna vivere
il proprio tempo, senza essergli ostile. Non per altri motivi, egli che è uomo di mondo,
di questo mondo, non può non assecondarne il gusto ed essere attento
ai mutamenti delle tecniche, che ci consentono di attraversare l'aldiqua senza l'ansia
di non farcela che prova chi pensa che allo spirito poco quelle si addicano. 
Così ha avuto cura di attrezzare la stanza dove dovrà addormentarsi e svegliarsi
di tutto quanto può consentirgli di non rimpiangere il giorno che decise
che per impedire agli altri di sperimentare il piacere bisogna conoscerlo.
Ha fatto fare e rifare il vano doccia, riverniciato a fuoco l'auto, comprato lampade,
e mobili di massello, e un cellulare con cui telefonare, fotografare, filmare
e navigare su internet, ha fatto allacciare una linea su fibra ottica
che bypassi il centralino per consentire al mondo di conservare
l'anonimato quando ha bisogno di lui e lui ha bisogno del mondo,
riempito i suoi cassetti di collane, bracciali e monili
che gli ricordino ogni giorno le tentazioni del Maligno,
perché un soldato, che lo voglia combattere,, deve pur sapere quali armi usa.

Padre Corvino è un uomo di mondo. Egli sa che prima o poi
dovrà abbandonare quella stanza, perché un soldato, specie se di Cristo,
è chiamato a combattere dovunque ci sia bisogno di lui.
Forse conoscerà altre terre, forse ritornerà là dove profumano gli aranci
e Archimede ebbe morte da un soldato che non lo conosceva.
Forse questa sarà l'ultima stanza da cui mai avrà guardato il mondo
da quella distanza cosmica, di cui parla Ignazio e dove più semplicemente
si addormenterà senza mai più svegliarsi
lasciando vano doccia, auto riverniciata, lampade, mobili di massello, cellulare,
fibra ottica, collane, bracciali e monili ad un altro soldato di Cristo,
che attento al gusto del suo tempo farà rifare tutto daccapo.
E il giorno dopo additerà come modello a giovani poco sensibili al sacro e alla tenerezza
Santa Teresa del Bambin Gesù, che senza rimpianti lasciò il mondo
senza mai averlo avuto.
 

9. Akakij Akakievic

Akakij Akakievic cerca casa. Come Totò. Ma questi sapeva ridere
di se stesso, e per finta o perché era vero aveva lo stile
di un principe, fosse solo della risata. Akakij Akakievic, invece,
è solo un professore di materie scientifiche che pensa
che l’universo è tutto chiuso in una calcolatrice
ed è fatto di due più due o quattro diviso due
o quattro per due. Anche quando scopa
calcola esattamente il tempo che intercorre
tra erezione ed eiaculazione,
lo divide per due, lo moltiplica per un coefficiente fisso
che solo lui conosce, e anche la moglie ignora,
e alla fine può stilare tabelle, statistiche, percentuali
che gli consentono di convincersi
che il sesso è una faccenda solo per chi si muove
obbedendo al metronomo nascosto nella materia
dell’universo e nei testicoli.

Akakij Akakievic cerca casa. Ne visita una ogni trentasei ore.
Si presenta puntuale all’appuntamento del venditore,
con in mano una bussola per stabilire in che parte
dell’appartamento sorge il sole, e in che parte
la luna ammicca inutilmente ai suoi sogni.
E non ne ha trovata una che gli vada a genio.
Questa è troppo piccola, quella è rumorosa,
quest’altra poi troppo vicino allo svincolo delle strade
che dalla città menano a quella provincia
in cui mai lui abiterebbe, perché chi è nato in città
ha una percezione dello spazio più articolata
di chi è topo in campagna e in campagna vuole morire.
Non ha mai letto Bachelard, ma è come se lo avesse fatto.
Non ha mai letto Cassirer e non gli importa se non lo ha mai fatto.
Del resto non ha mai capito perché Einstein in tutti i poster
è venduto con la lingua che fa sberleffi. Si limita a sorridere,
a pensare che una mela che cade sulla testa
quella sì è una cosa concreta,
a usare i computer per giocare a flipper
e a redigere tracce di fisica, e matematica,
su cui fare esercitare il giorno dopo chi a diciottanni
non sa cosa farsene di mele che cadono sulla testa
ma ha imparato che ad un professore di materie scientifiche
non bisogna mai disubbidire.

Akakij Akakievic cerca casa. D’inverno va in giro con il cappotto,
e con i baffi. D’estate con i baffi, e senza il cappotto.
E se qualcuno gli chiede che cosa ne pensa del mondo
lui risponde che questo è affare da filosofi,
e che un uomo, che sia per giunta anche un matematico,
ha la responsabilità morale di indicare alle nuove generazioni
come non perdersi in una vita in cui a tutti tocca prima o poi
di cercare una casa senza mai trovarla.
 

10. L’uomo venuto dal nord
 

L’uomo è venuto dal nord, dalle terre in cui Calvino
aveva le visioni di baroni rampanti e visconti dimezzati,
e Montale contemplava falchi alto levati e rivi strozzati.
Ma poi crebbe nelle nebbie di una Milano che fu tutta da bere
e apprese da Ignazio che la vita è feroce, se non la rendi
più digeribile con quelle bugie che solo le donne e i preti
ti sanno spacciare quasi fossero indulgenze per questo millennio
e quelli che verranno.
L’uomo è venuto dal nord, e ricorda allampanato com’è
un max von sidow che non ha mai conosciuto il protestantesimo
e deve accontentarsi di un mastai come tanti e di avere
come amici leghisti e gente di arcore.
L’uomo è venuto dal nord e non sa cosa vuol dire mangiare uva puttanella,
o avere a che fare con gattopardi costretti dalla provvidenza
a fare le fusa come gatti di casa un po’ melanconici.
Usa parole che il marchese Puoti non avrebbe disdegnato
e se ne frega del Devoto-Oli e dell’impertinenza
della gente del sud che usa il dialetto come se fosse una lingua
e la lingua come un idioletto cui solo Gadda saprebbe
rendere giustizia.
L’uomo è venuto dal Nord e non sa che il vento del sud
rende flasques come voleva Paracelso e predispone ai sogni
cui tutti un po’ somigliamo, specie quando smettiamo di sognare.
L’uomo venuto dal nord ha smesso di sognare.
E si entusiasma se ricorda a gente di diciottoanni
che ignazio prima di avere fede era un paggio di corte
e conobbe la violenza carnale. Intuisce che in un corpo
di donna stuprata s’annida il fascino della specie,
e del potere, che s’arrende a dio
solo per non arrendersi dinanzi agli uomini.
Ma l’uomo venuto dal nord ora è vecchio,
e non ce la fa più a ricordare ciò che non vale la pena di ricordare
e anche se questo è bene, lui non lo sa.
Così, alle otto dice a e alle otto e cinque dice b
e non sa più impedire al suo volto di dire quanto disprezza
l’una puttanella e i gattopardi, smentendo le labbra
che troppe cose hanno mandato a memoria
per poter dimenticare che nelle terre del sud
aprile è un mese crudele quanto gli altri.
L’uomo è venuto dal nord
e non capirà mai che i punti cardinali
li ha inventati dio perché gli uomini
la smettessero di infastidirlo.
 

11. Lucien de Rubempré e la cybercultura

Lucien de Rubemprè è esperto di cybercultura. Ne sa poco lui di computer,
ma quanto basta per assemblare sulla rete con cut e copy, dai siti opportuni,
quei quindici-venti periodi sufficienti per un articolo da pubblicare sul giornalino
della parrocchia. Del resto, non occorre molto di questi tempi perchè gli altri dicano
è un uomo di cultura, uno attento alle sinergie dello spirito e della materia.
Un animale politico, insomma, che prima o poi te lo ritrovi, con serietà e devozione,
a rappresentare la voce del popolo e anche di dio, se occorre.
Lui ne va orgoglioso, di questa sua saggezza e giudica maestrine delle elementari
o talenti ingegnosi ma bizzarri quelli che si sforzano, con dolore e ansia,
di mettere insieme il sogno e il mondo così com'è.
Ed è anche umile, sempre quanto basta, per sedere,
lui esperto di cybercultura, nei banchi di un corso di informatica
dove ti insegnano, senza sapere ciò che stanno facendo, che il computer,
come la vita, obbedisce alla logica dell'on-off e non a quella hegeliana
dell'aufhebung. Non a caso, tranne quando è raffreddato, ha sempre un sorriso
per tutti: se ha un impegno veste con giacca, cravatta e calzini rossi;
se può concedersi un giorno di minore concentrazione, con il giaccone
che gli ha regalato un alunno che non poteva fare altrimenti.

Lui è fatto così: ama la concretezza, che ti ricorda che se fai politica
è il particulare che devi seguire, senza cedere al fascino di quelle idee
che sono buone per insegnare filosofia e farti avere un reddito fisso al mese
ma non sono sufficienti a farti da guida nel casino del mondo.
Ama anche viaggiare: Amsterdam, Parigi, Praga, e ora Berlino
dove alloggerà in Alexanderplatz che è anche il titolo di un romanzo
che non ha mai letto, e non ha nessuna intenzione di farlo.
Tanto, leggere non è indispensabile per chi con con cut e copy,
su internet, dai siti opportuni, può assemblare un articolo da pubblicare
sul giornalino della parrocchia e inventare un mondo
che è il riflesso speculare di quello in cui c'è ancora
chi crede che sia umano troppo umano obbedire a dio.
 

12. Marchesa

Marchesa è nata là dove un tempo acuto fu l’odore delle capre
e a settembre i pastori lasciavano gli stazzi per un mare
che nulla più conserva del verde dei pascoli cui somigliava.
Là fu bambina, là arcani mondi arcana felicità fingeva al viver suo,
e città dove la bellezza non si misura in pienezza di forme
e di attributi, ma gambe esili e naso adunco trovano asilo, e gloria,
e uomini che hanno scordato la lezione della natura
né più sanno cos’è una nutrice. Ora lei non ricorda
la casa dove più nessuno è rimasto, né tiene più il capo o la coda
del tempo che gira senza pietà. Ora lei, Marchesa, ama la ceramica,
le borse di Fendi e un profumo Aromatic Elixir con cui si sforza 
di rievocare annusamenti e notti arabe a chi, un po’ triste sulla poltrona,
l’attende a sera per mangiare un brodino e poi addormentarsi
davanti alla TV. Lei sa anche che a un simile destino
non si sottrasse la bella addormentata nel bosco
e ha imparato sulla sua pelle che non bisogna mai chiedere ad un impiegato di banca
di diventare il principe filippo né tanto meno l’uomo di girgenti cui somiglia
per il pizzetto che rende omaggio al tempo che gira senza pietà.
Del resto, dopo i Greci  anche Jodorowski insegna che le figlie ripetono
il destino delle madri ed è triste per un uomo avere moglie e figlia
che amano ambedue lo straniero che le seduce e ambedue
rendono onore all’Aretino, alla Pippa e alla Nanna.

Marchesa non ama molto il lavoro. E a Casalpurga tutti lo sanno
e si dicono l’un l’altro che è una vera ingiustizia che lei sia sempre pronta
a rosicare il minuto dal dì feriale per farlo festivo, quando poi guadagna
come tre di loro messi insieme e non si sa perché. Qualcuno sospetta
che è per via del marito esperto in Mibtel e in Down Jones;
qualcun altro parla genericamente di un prelato che non ha mai disdegnato
la seduzione del mondo; altri ancora, più semplicemente,
e senza mai aver letto don Lisandro, sottolineano che la storia
è la più tragica delle esperienze umane, perché ai più deboli
non resta che subire il torto, perché se fossero in grado di farlo
non sarebbero deboli. Ma c’è anche chi, un po’ più colto,
e politicizzato, sostiene che non è un caso che Marchesa
sia convinta che l’ebreo-tedesco con la barba voleva fare camminare il mondo
sulla testa, quando sosteneva che ognuno dovrebbe dare secondo le proprie capacità
e avere secondo le proprie esigenze. E quello, persuaso ancora
che il pubblico è privato, come ha appreso quando aveva venti anni
e faceva il sessantotto, non ha pudore a sostenere
che le esigenze di Marchesa sono inversamente proporzionali
alle sue capacità, non foss’altro per essere in linea con lo spirito dell’epoca
che dopo essersi incarnato di volta in volta in Alessandro, Cesare e Napoleone
ha scelto ai nostri tempi d’assumere il volto gli occhi e i capelli
del presidente che sorride-sorride sempre,
del quale Marchesa quando può e come può e sa non perde occasione
di ricordare a chi incontra che anche lui ex umili potens
è la prova che il potere corrode solo chi non ce l’ha.

Marchesa è amica di Fortunata, ed è amica di Mondialcasa,
ed è amica della Signora, ma alle cene non le invita tutte.
Non invita Fortunata, che dinanzi a un piatto di brodo parla alla nove di sera
il fiorentino e dieci minuti dopo quella dei negri di Genet. 
Non invita Mondialcasa, perché non sa scegliere il colore dei collants,
che le dame del tempo andato e di quello presente  amano brown  fumée
e le cameriere  e Mondialcasa preferiscono gialli.
Così che non le resta che la Signora, e un’amica della Signora,
che fu di casa un tempo a Casalpurga e fu ed è ancora
esperta dei vizi umani e del valore, per parlare di amanti, 
e del presente, e del passato, perché nel futuro, come insegna il poeta,
è d’uopo non credere.
Ma com’è triste la vita quando un marito è così mediocre
da bloccarti il conto in banca per impedirti di andartene!
Come è triste sentire che rien va plus dopo che hai compiuto da un pezzo cinquant’anni
e le hai perse tutte proprio tutte le scommesse della vita e non ti resta
che dirigere a Casalpurga una sola classe,
un solo docente, un solo alunno.
E sì che ha ragione Seneca che è meglio un solo libro piuttosto che la serie infinita
di pagine con cui si trastulla chi bada alla quantità e non alla qualità.
Ma anche così, que triste
sentire che ora in terra d’abruzzo ci sono ancora pastori
per i quali l’odore delle capre si mescola con quello del mare
e dei pascoli che, ancora verdi, stanno lì fermi a ricordarci
la lezione della natura, che non deficit in necessariis
e ama le nutrici che non cambiano ad ogni stagione le borse di fendi,
né sanno fare le figurare ma hanno latte e seni opulenti
per chi ha ancora voglia di succhiare,
e di toccare.
 

13. Padre Vertov

Padre Vertov è laureato in fisica, ma ha insegnato per trent’anni latino e greco
senza mai capire che egerat è più che perfetto indicativo di ago agis
e non il congiuntivo presente di egero, egeris.
Ha cercato anche di fare la concorrenza a Ghezzi e a Wenders,
convinto com’è che la macchina da presa possa funzionare
da metafora non c’è male dell’occhio di dio e dei suoi profeti
e che Serafino Gubbio con i suoi diari sia una sorta di Bartleby dell’immagine,
a cui Debord avrebbe potuto pure rendere omaggio,
prima di farla finita con quel film dal finale scontato
che è la vita.

Padre Vertov è un ottimista. E ama socializzare, ama stringere tra le sue mani
la mano di chi incontra e mano nella mano condurlo a visitare i saloni
dove specchi e ceramiche ricordano che nel settecento non c’era solo voltaire
a chiedersi di dio e dei suoi profeti. Ama convincere chi gli è vicino
che lui, padre Vertov, non si dimentica dei compleanni e degli onomastici
degli amici, non dimentica che a Natale e a Pasqua è necessario fare presente
a chi lui ama quanto li ama. Non per altro, sul computer,
un foglio di Excel ogni giorno gli impedisce di dimenticare che bene, sì,
oggi è il 3 novembre e la Signora compie sessant’anni
e domani suo marito dovrà fargli
un elettroencefalogramma che lo rassereni
e lo rassicuri che ha ancora sessant’anni da vivere.

Padre Vertov non ama chi si sottrae alla sue cure, o perché è privo di affinità elettive,
o perché convinto che l’amicizia richiede una parità cui poco s’addice
l’umile accondiscendenza che lui esige da chi si lascia proteggere chi lui protegge.
E giudica un tipo pericoloso quello che trascura di testimoniargli ogni giorno
che la libertà del sentire e del pensare sono gli strumenti
attraverso cui il diavolo ci rende superbi e poco mansueti.
Lo addita discretamente come cattivo maestro, uno che plaude al vizio e la virtù deride,
un don Giovanni dello spirito e delle sottane, che si diverte come Socrate a corrompere
i giovani e come Rasputin a sedurre zarine.
Tanto, è sicuro che ci sarà sempre una Mondialcasa di turno che darà voce a ciò che lui pensa
e andrà a dire in giro che quel tipo è davvero pericoloso, perché vuole convincere
chi ha solo sedici anni che il re è nudo e nuda è la sua corte.

Padre Vertov ritiene che il tatto sia dei sensi quello che meno ci rassicura
sulla stabilità del mondo e che è compito morale di chi è avanti negli anni
e da tempo è immune dalle lusinghe del copulare, convincere i giovani ad astenersi
dall’esercitare il diritto a fare uso della mano e della pelle per non essere vittime
di quei deprecabili squilibri attraverso cui la specie si riproduce,
fregandosene di santi di impotenti e di guardoni, che qualcuno chiama peccati.
E padre Vertov è ossessionato dal peccato. Come Mondialcasa, e Marchesa,
e Airobica. Lo vedono dappertutto:
lo vedono nelle gonne nelle calze nelle borse che nascondono
profilattici e anticoncezionali, negli ospedali negli ospizi nei rifugi di montagna
negli chalet in riva al mare sulle seggiovie sulle ovovie sugli aeroplani sui deltaplani
tra i banchi nei bagni in cucina e in salotto
come se il Maligno non avesse ben altro da fare se non assumere
i giorni pari le sembianze di un fallo inturgidito,
quelli dispari di una vagina che pulsa,
e il dì festivo trastullarsi a devastare i sogni
di chi ritiene che il tatto sia dei sensi quello che meno ci rassicura
sulla stabilità del mondo.
E lui che ha insegnato per trent'anni latino e greco non si capisce bene
che cosa abbia mai detto ai giovani dei nostri tempi
di quella gente del tempo andato che era convinta che far bene l'amore
fa bene non solo all'amore, ma anche all'intelligenza
e ai villi intestinali.

Padre Vertov non dovrebbe temere la morte, ma la teme.
Sicuramente non ha letto né il Bartoli, né il Segneri, ma, visto il suo statuto sociale
certificato dalla Curia, se non da dio, dovrebbe in ogni caso essere sicuro
che il giorno della nascita lo attende, quando tornerà il bambino che non è mai stato
e potrà chiamare papà e mamma sicuro che quelli verranno e non lo lasceranno solo
come hanno fatto per i primi ottantanni della sua vita.

Padre Vertov teme la morte, perchè non è poi così sicuro che dopo
ci sarà qualcosa o qualcuno a risarcirlo di non aver mai avuto
ciò che non ha mai avuto. Del resto ogni giorno ha la sua pena,
come è sancito nelle sacre scritture e nei films che nei cineforum
confermano che la vita è amara e che hanno sempre tutti una fine
perché tutto prima o poi finisce, anche il dolore e l’amarezza
d’aver capito che la vita è solo un film.

Padre Vertov è laureato in fisica, ma non ha mai capito perché la terra
oscilli sul proprio asse e non su quello di dio: Ha insegnato per trent'anni latino e greco
ma non ha mai capito cosa voglia dire orazio quando invita leuconoe ad assaggiare la vita
come si assaggia il vino. Si è limitato a proiettare per vecchie signore, che potevano fare a meno
di lavorare per passare i pomeriggi a vedere films, pellicole in cui a 25 fotogrammi al secondo
il diavolo si divertiva a fare il verso a dio e ai suoi profeti.

E ora che è vecchio, ora che il dì futuro è più noioso e tetro
del dì presente segnato sul foglio di Excel che gli ricorda che sta per compiere gli anni,
a padre Vertov non resta che chiamare dopo cena al telefono la Signora
e assicurarsi che domani suo marito venga a fargli l’elettroencefalogramma
che gli dia la certezza che ha ancora sessant’anni da vivere.
 

14. La Signora e i suoi amici
 

La Signora di tutti parla male, ma di tutti è amica. La discrezione
le si addice così naturalmente che non ha bisogno di tecniche particolari
né di aver letto Guicciardini per sapere che, da sempre, l’onore e l’amicizia
sono le sole cose che nel mare della vita possono garantirti
che se c’è burrasca c’è sempre qualcuno ad aiutarti
e se c’è sereno puoi dimostrare agli altri come sono inutili.

La Signora sostiene che Mondialcasa è ignorante come la sua verdummara
e per chi sa quali motivi a Casalpurga non si può fare a meno di lei. Insinua
che a furia di lustrar mobili, pavimenti e scarpe qualche merito
se l’è pure guadagnato. Insinua anche che uno zio arciprete non fa mai male,
e non fa male avere la solidarietà di un marito che non ti disturba più
e si limita a dormire senza mai allungare una mano e nulla avere più a pretendere. 
Ma la Signora queste cose a Mondialcasa non le dice. Non le dice che è lei
ad aver coniato per la figlia e il compagno di sonno i nomi di Mortimer e Mortisia,
ben sapendo che nomen est omen. Anzi, qualche volta ci passa anche l’estate insieme,
condivide con lei l’indolenza delle notti di agosto quando la luna diventa rossa
ed evoca umori che sarebbe meglio non evocasse, le racconta
che un giorno il Poeta le ha chiesto a che punto fosse la notte
ma che lei ha ignorato la domanda, invitandolo a non turbare né l’universo
né il pudore di chi altrimenti non saprebbe cosa farsene del suo pudore.

La Signora ritiene che Matrioska dovrebbe studiare un po’ l’ astronomia,
visto che Gaudì è un po’ complicato, e che l’arte è lunga e la vita è breve.
Pensa che se ad Akakaii Akakievic capitasse di ascoltare la Cavalcata delle Valchirie
mentre scopa, andrebbe in tilt, hoc est avrebbe l’eiaculatio precox. E’ convinta
che El Topo sarebbe una moglie deliziosa e obbediente, e Ninetto uno di quegli amanti
che ti fanno apprezzare la monotonia di un marito. Sa, per averlo colto in flagrante
e con i peli del petto bene in mostra in un corridoio, che Buzzanca non disdegna
le bionde anche se attempate e con le rughe su cui non è stato applicato ancora il botulino.
E’ a conoscenza anche che a Berruti quando mette le mani in culo alle tredicenni
vengono le polluzioni diurne. Ritiene che Lucien de Rubempré sia tutto sommato
un bravo ragazzo che ha avuto solo la sfortuna di trovare una moglie
che lo comanda a bacchetta.
Teme che Egidio non abbia mai scopato Gertrude ma si sia limitato a toccarla
solo in quelle parti che è bello tacere e che lei questo non glielo ha mai perdonato,
anche se poi a dio ha chiesto perdono dei suoi peccati, specie di quelli per cui avrebbe voluto
essere perdonata, se Egidio non fosse stato così prudente.
Tante cose sa la Signora che nessuno sa, e tutti le sono amici e parlano bene di lei
e dicono tutti che a Casalpurga se lei non ci fosse qualcuno dovrebbe pur inventarla,
e tutti ricordano il buon tempo andato, quando ancora giovane e snella
per i giorni della festa ella s’ornava e a tutti andava ripetendo
che la vita è bella e lo sarebbe ancora di più se non ci fosse sempre qualcuno
a ricordare urbi et orbi che a parlare male di tutti e di tutti essere amici
son bravi anche il diavolo, padre Vertov e tutti quelli
di cui la Signora parla male, ma è sempre amica.
 
 

15. La scuola cresce
 

La scuola cresce. Proprio come te. Così recita
lo slogan che vuole convincerci che c’è qualcuno ancora
che non solo si preoccupa del permanere della specie sul pianeta,
ma anche della qualità spirituale di mammiferi che furono
un tempo scimmie, o orsi, a seconda delle teorie.
Chi l’ha scritto ignora la differenza che c’è tra crescita e sviluppo
e che anche i dinosauri ingrandirono a dismisura il loro corpo,
e rimpicciolirono, per la legge di compensazione, il cervello.
La scuola cresce. Proprio come te. E ti viene il dubbio
che non hai capito nulla di quello che accade nel mondo,
anche se l’hai letto in tutti i libri che poco è cambiato
da quando Ettore alle porte Scee salutò Andromaca
per andare a morire. Ti viene il dubbio
che l’occhio del collega che ti guarda e che ti sembra
privo di tono e di bon ton nasconda un’intelligenza
che tu non sei in grado di cogliere: perché credi
ancora nelle ideologie, che non sono più di moda,
credi che c’è ancora qualcosa da fare in questa piccola cosa
che è la vita, e che non è detto che la stupidità
debba essere sempre l’unica gioia di cui siamo capaci.
Ma poi guardi l’occhio privo di tono e di bon ton del collega,
che ricorda nei muscoli facciali e nello sguardo
la serietà compunta e sagrestile di Himmler
e capisci, d’un tratto, quasi fosse una crociana intuizione
che può fare a meno della sua realizzazione pratica, 
che chi ha scritto quello slogan ha lo stesso occhio
di Akakij Akakievic che un giorno fu scimmia, o orso,
a seconda delle teorie, ma ora usa la calcolatrice
per stabilire che l’intelligenza del diciottenne che ha davanti
è pari a cinque e sette periodico.

16. El Topo sbarca in Sicilia
 

El Topo è innamorato della terra, in cui Empedocle intuì
che dei quattro elementi il fuoco è quello che più si addice
a chi voglia purificarsi dell’empietà della vita e Archimede
diede prova che non sempre la scienza ne migliora la qualità..
Ne è innamorato al punto che anche quest’anno vi ha fatto ritorno.
Per inebriarsi del profumo dei limoni. Per assaporare
l’indolenza dei lunghi pomeriggi quando il vento del sud
rende flaccidi, come voleva Paracelso, e più sensibili
a sentire che il confine tra la vita e la morte
è così incerto che ti viene voglia di strappare
all’esistenza l’estremo guizzo e darti al piacere blasfemo
dei sensi che poco si curano di quanti esigono da te gusti sessuali
conformi agli attributi anatomici che la natura ti diede in sorte.

In questa terra qualcuno scrisse di sirene
che anche senza il canto sanno strapparci di notte a quel sonno
che è spesso la ragione, e affermò che la gente che qui ha la culla
e poi la tomba è tutto ciò che rimane degli dei che un giorno
si illusero che anche gli uomini potessero diventare dei.
Perciò El Topo vi fa ritorno: per ritrovare nelle pietre dei templi
e nel sorriso di Rock Hudson l’innocenza del tempo
in cui non c’era la bacchetta di suor Concetta
a impedirgli di giocare con le bambole e con la sua felicità.
 

El Topo ha deciso. Oggi darà a tout le mond la prova
che non è vero ciò che di lui si dice e, se gli va bene, anche Rock Hudson
che è così avaro nei suoi sentimenti, ne sarà geloso.
Del resto, ma che vuole quella hostess lì che li accompagna in giro
se non trovare nel primo che capita l’ebrezza di cinque minuti
in cui non è tenuta a spiegare a nessuno che Teocrito e Virgilio
non avevano mai subito la puntura di un’ape iblea?
Che vuole con i suoi ammicamenti, col seno che fuoriesce dalla blusa,
con la gonna che s’accorcia sulle gambe, se non di essere innocente
come non lo è mai stata? E allora perché non assecondarla,
recitare a soggetto, come s’usa da queste parti, fare come in quella canzone
in cui lui invita lei a togliersi uno dopo l’altro gli indumenti
con cui cerchiamo di dimenticare che tutti davanti alla vita, e alla morte,
siamo nudi come quando fummo gettati fuori
dall’utero benedetto della madre? 
 

El Topo ora è quasi nudo, e anche l’hostess, E gli alunni ridono,
e applaudono. E Rock Hudson non è più così compunto,
come deve esserlo un filosofo che è convinto che filosofia non serve a nulla.
E tutti lì a dirsi: ma che simpatico El Topo, è uno che sa stare agli scherzi,
uno che può parlarti di Erodoto ma sa anche sostenere l’insostenibile leggerezza
dell’essere e, al momento opportuno, dimenticare che tutto ciò
non sarebbe certamente gradito all’uomo del nord,
che è convinto che la vita è bella solo quando soffriamo.
 

Ma El Topo tutto questo lo sa. Sa bene che l’uomo del nord,
se venisse a saperlo, dimenticherebbe la regola antica che ai servi
è d’obbligo perdonare. Si consulterebbe con Mondialcasa, e con Marchesa,
che El Topo conosce troppo per ignorare che amano fare come i cani
che di solito mordono chi ha già le vesti stracciate.
E se necessario chiederebbe il parere anche di Padre Corvino, e padre Malatesta
e padre Vertov. Per poi prendere le decisioni che aveva già prese
prima di consultare tutti quelli, di cui deve fingere
di tener conto solo per mondana prudenza e aristocratica alterità.
E mentre gli alunni ridono, e l’hostess ricompone nella decenza
dell’abbigliamento il corpo che per un istante fu tutto il suo regno,
a El Topo non resta altro che invitare tutti,
alunni, hostess, Rock Hudson che non ha detto una sillaba,
a raccogliersi in preghiera, e a concentrarsi,
con intensità e serietà, su parole, che come da uno getsemani
in cui confessare tutto il proprio smarrimento, possano,
attraverso lo spazio e il tempo, far giungere al cuore dell’uomo del nord
la prova che chi vive a Casalpurga non può fare a meno
di credere nello spirito, che perviene alla sua apoteosi
solo attraverso il pentimento.
 

El Topo prega. In silenzio. E tutti pregano. In silenzio. E c’è un grande silenzio
tutto intorno, tra gli alberi di limoni e le pendici del monte in cui Empedocle intuì
che dei quattro elementi il fuoco è quello che più si addice a chi voglia purificarsi
dell’empietà della vita. Un silenzio molto simile a quello che un istante prima del bing bang
dovette vivere dio quando decise che la terra avrebbe continuato ad oscillare
sul proprio asse, anche quando sarebbe stata priva di parassiti, e di saprofiti.
 

17. L'uomo del nord scopre la luna

L’uomo venuto dal Nord ha vissuto più di quanto è consentito
mediamente a chi dovendo fare i conti con il decadere degli atomi
e dell’intelligenza non ha il distacco necessario per intuire
che la storia è solo una variazione impercettibile del tempo
e non è né una ruspa né il trampolino per il Giudizio Universale.
Ha letto l’Ecclesiaste e sa bene che se hai guardato in faccia
ad un uomo l’unica cosa è non fare, perché non c’è nulla da fare,
se non quel poco di dolore che tocca a tutti di fare.
Ha letto Dostojevsky ed è convinto che il Grande Inquisitore
non è che poi avesse tutti i torti. Ha letto Paolo Sarpi
e ne ha tratto la persuasione che dopo Trento solo l’errore,
e il Maligno, hanno potuto spingere chi ha il compito
di illuminare lo spirito della specie a credere
negli anni sessanta di potere restituire all’uomo
la libertà di cui quello non sa cosa farsene.
Così che anche le Osservazioni sulla Morale Cattolica
gli appaiono l’espressione di un animo che, se avesse potuto
ai suoi tempi fare un po’ di terapia o un esercizio spirituale
si sarebbe liberato a tempo non solo della madre fedifraga,
ma anche dell’amante della madre che peut etre era suo padre,
e del nonno blasfemo ma famoso.

L’uomo venuto dal Nord ha scoperto da poco
che Eliot si è occupato di Dante e che Benigni è delizioso quando ci fa capire
che il paradiso è alla nostra portata. E da poco ha scoperto con Friedrich
che esiste la lirica moderna e che è bello in tempi in cui la poesia è bistrattata
ascoltare le voci del passato, che ci ricordano come un giorno c’era l’alloro
a incoronare cesare e poeti. Tuttavia non si indigna più di tanto
se oggi c’è chi preferisce la bandana. Non si indigna nemmeno
se padre Corvino reclama ad alta voce il diritto di cambiare
il condizionatore portatile con uno fisso a parete.
Chi ha vissuto più di quanto è consentito sa bene
che mondo era, mondo è e mondo sarà,
e che se non fosse così chi avrebbe potuto
non ce ne avrebbe fornito un altro in cui andare a raccontare
come siamo stati buoni, non ostante gli altri fossero cattivi.

L’uomo venuto dal Nord si commuove quando parla
dei giovani che non sapendo cosa farsene dell’aria e dell’acqua
preferiscono lasciarle agli altri da respirare e da bere,
e per sé scelgono la celeste corrispondenza d’amorosi sensi,
che possa ricordarli a chi in ogni caso li dimenticherà.
Si commuove, e non mente. La voce gli trema, gli occhi
si velano di pianto, l’omelia si fa incerta e poco convincente.
Cerca lo sguardo di Padre Corvino, per un aiuto, una parola
che possa scaldare il cuore di chi è convinto
che chi crede all’anima ce l’abbia davvero.
E quando i giovani sciamano, cercando la piazza
e l’ammiccare reciproco degli sguardi, egli se ne va:
con lo stesso passo con cui era venuto, deciso e cadenzato
come deve esserlo il passo di un soldato persuaso
che si vis pacem perfice bellum.

18. Ficusecca

Ficusecca non ha molte occasioni per rendersi visibile. Dietro una scrivania,
per tutto il giorno le tocca lavorar d’uncino, quasi fosse una penelope
o una silvia che tesse con mano leggera la tela con cui adescare
il procio o il poeta di turno. Solo che lei tesse per colleghe
che fanno a gara ad avere il maglione l’una identico all’altra.
E se quella l’ha voluto celestino e con il dovuto rilievo al dorso
che s’incurva là dove il fondo schiena lascia intuire
che la verità ama nascondersi, l’altra, per distinguersi,
le chiede di adoprar filo ciclamino di scozia,
che renda onore a lombi opimi in grado di ricordare
a chi le contempli che la bellezza è coincidenza
di forma e contenuto. 
Non per altro Mondialcasa, e Matrioska, e Fortunata, fanno a gara
perché Ficusecca sia solerte e fornisca l’opra anzi il chiarir del giorno
in cui esse s’attendono che Big Jim sciolga i suoi dubbi
e decida chi di loro è la più bella.

Altri compiti ancora ha Ficusecca. Di certificare che a Casalpurga
tutti rispettano l’orario di entrata e di uscita, e di segnare nel libro della memoria
chi fu assente quando tirava la tramontana e chi non fu presente
quando lo scirocco rende incapaci di agire. Di educare
attraverso i debiti esercizi i corpi ad essere sani anche quando la mente non lo è
o, più verosimilmente, non c’è. E Ficusecca ne va fiera, è fiera
d’esser polifunzionale e di dimostrare che ha ragione chi ai nostri tempi
sostiene che occorre essere elastici nel mondo del lavoro
ed in grado di fare il re anche se si è da sermone
e di fare sermoni anche se nelle vene scorre sangue reale,
di saper servire con la stessa disinvoltura e competenza dio e mammona
e, se occorre, di saper sorridere quando si ha voglia di piangere
e di piangere, se bisogna convincere chi sta davanti
che è il momento del lutto e del dolore.

Del resto, non a caso Ficusecca è come un sicomoro rattrappito
sul ramo dell’albero e se la guardi bene negli occhi triste,
come la goccia d’acqua di Chopin. Le tocca lavorar d’uncino,
e certificare che tutti a Casalpurga rispettano l’orario di entrata e di uscita
e convincere tutti che mens sana in corpore sano, quando poi se  la guardi bene
ti viene da pensare che a Casalpurga ne sanno una in più del diavolo.
Così che non le rimane d’essere ubbidiente, e ligia ad eseguire ciò
che Mondialcasa esige da lei, quando evita di compromettersi
con chi dovrebbe, senza discutere, eseguire le sue disposizioni
ma potrebbe sempre prima o poi esercitare la divina virtù dell’impazienza.

E così Ficusecca quasi fosse iris che porta i messaggi della dea
va dalla collega che tutti pensano non abbia la testa a posto
e le dice: devi guidare gli alunni in attività extrascolastiche
E l’altra dice. Ma dove devo portarli.
E lei dice: a visitar castelli.
E l’altra dice: in aria?
E lei dice: anche a visitar musei, uno qualunque.
E l’altra dice, e lei dice e l’altra dice e lei dice finché Ficusecca non è costretta a tornare
da Mondialcasa e a dirle che non tutti sono disposti a fare ciò che lei vuole che si faccia
perché fare tanto per fare lo può fare solo chi nulla sa fare
e Mondialcasa inarca le narici  e si lascia sfuggire che la collega
dice così perché non ha uno che se la fa ogni sera
e Ficusecca pensa ma non lo dice che Mondialcasa ce l’ha uno che se la potrebbe fare ogni sera
ma non se la fa e Mondialcasa aggiunge che la collega si merita la vita che ha avuto
e Ficusecca pensa che anche Mondialcasa si merita uno che se la potrebbe fare ogni sera
ma non se la fa e Mondialcasa ripete ora è chiaro perché la collega
non ha mai trovato un compagno con cui dormire 
e Ficusecca annuisce e mangia patatine e lascia che Mondialcasa continui a ripetere
che se non ci fosse lei Casalpurga dovrebbe chiudere
e che di questi sessantottini è stanca e bla, bla, bla
e Ficusecca lemme lemme se ne torna dietro la scrivania
dove le tocca lavorar d’uncino a confezionare il maglione che Mondialcasa
le ha ordinato proprio ieri quando le ha chiesto di andare dalla collega
che non ne vuole sapere di castelli in aria e in terra
e di fare finta che a Casalpurga si progetta
in nome di cristo di berlusca e del demonio
il futuro della specie e anche di dio.
 

19.  Mission

Sua Eminenza ama la vita, e si vede.
Ha lo sguardo vivo di chi contempla il mondo senza essere schiavo
della sedia su cui è seduto, ma sa che le prospettive sono infinite
quante gli sgabelli su cui poggiamo i piedi.
Non è più giovane, ma nemmeno vecchio abbastanza per non credere più
all'eternità. Così, è sempre pronto a mostrarsi al passo con i tempi
che esigono da quanti credono nello spirito di essere sempre pronti
a mostrare, e dimostrare, urbi et orbi, che il tempo è una deformazione
della materia, che ama i buchi neri e non ha rispetto
per i semplici di cuore, e di cervello.

Sua Eminenza è un uomo di mondo, e si vede.
E' sempre dove è necessario che sia presente chi ha a cuore
il futuro della specie e della rigorosa distinzione dei sessi
che sola può garantirle la sopravvivenza su un pianeta
che cambia troppo spesso clima, inclinazione e composizione chimica
dell'atmosfera. Ha letto Boccaccio, ma fa finta di non averlo letto.
Ha letto Machiavelli, ma si guarda bene dalll'andarlo a dire in giro.
Sa anche che al ghibellin fuggiasco il rispetto non impedì di condannare
col suo maestro ciò che dei chierici è compagno,
e per i laici è un vizietto. Così, non gli resta che andare qua è là
da un'emittente all'altra a coltivare il sospetto che la collera sublime e terribile
di dio è pronta ad entrare nella storia, per ricordarci
che siamo come le foglie che prima o poi vengono giù.

Sua Eminenza è esperto di tutto quanto ha da esserlo
chi si piglia cura dei renzi di questo mondo, che non sanno
cosa sia una cellula staminale e ignorano che perfido è il demonio,
quando vuole farci credere che se cristo fu povero
debbano necessariamente esserlo tutti quelli
che si preoccupano di creare intorno a una croce
un'audience che faccia più mercato di allah, budda
e di quel giove che ormai nessuno più ricorda.

Sua Eminenza è un fans di John Wayne. Li ha visti tutti i suoi films,
dove quello cavalca col volto spavaldo di chi ha capito senza mai
aver letto William che la vita è l'incubo di un idiota e sa
che il mondo vuole essere gabbato, e gabbato sia.
Ma ha letto anche Wittgenstein, che pensava che ciò di cui non si può parlare
si deve tacere. E l'Accetto. E McLuhan. E Baudrillard. E il corpus intero
di Ermete Trismegisto. Ha letto anche Beccaria: col sorriso indulgente
di chi perdona al nonno solo perché il nipote lo ha tradito.
E quando nella Papanìa qualcuno pensò che fosse lui,
sì, proprio lui l’uomo della provvidenza che avrebbe potuto restituire
a Casalpurga l’antico splendore, pur sapendo come lo sapeva Metternich,
che un edificio corroso dai vermi prima o poi viene giù,
non esitò a pensare: io mi sobbarco, perché prima o poi
qualcuno avrebbe pure dovuto provvedere a rimettere
su la barca anche se non si sa se è di pietro, di paolo o di ernesto
e drizzarla al porto sicuro e glorioso dove s’adunano
tutti quelli cui non resta che credere a dio,
visto che gli uomini che attraversano il tempo e non ci sono più
possono essere solo servi delle proprie passioni
e del ritmo della materia, che è stupida
e non sa cosa farsene delle parole, e dello spirito
che le pronuncia.

Sua Eminenza ora se ne va per Casalpurga con lo sguardo
di chi è convinto che se salvi una farfalla è come se avessi salvato
l’universo intero. Parla con tutti, e tutti ascolta. Li convince che è dalla loro parte.
Tace, e non risponde. Dice solo che se è lì non è per liquidare la storia
che a Casalpurga ha scritto pagine gloriose.
Mondialcasa annuisce. E annuiscono anche la Signora, e Lucien de Rubempré
E Gertrude e Richelieu che Sua Eminenza ha scelto, in segreto,
perché, in segreto, progettino per Casalpurga un futuro
che non tradisca il passato e smentisca il presente.
Annuiscono, perché non hanno altro da fare se non convincersi
per una o due settimane che l’isola che non c’è esiste davvero
e di essere, almeno una volta, protagonisti almeno della propria vita.
Mondialcasa li guarda, mentre annuisce. Si vede che è arrabbiata,
e molto. Specie con la Signora, con cui sa bene ha poco da spartire
in intelligenza, cultura e savoir faire. Si chiede perché Sua Eminenza
non abbia per lei parole di coinvolgimento, per lei che pure fu scelta
perché a Casalpurga facesse come il timoniere nella nave,
anche se tutto ignora dei venti e delle bizze del mare.
Ma poi tace. Guarda la Signora, e Lucien de Rubempré
e Gertrude e Richelieu. Guarda Sua Eminenza che sorride sornione
e invoca sui presenti la benedizione dei celesti
e del bambin gesù. Guarda l’uomo che è venuto dal nord
e al nord ora torna, senza mai avere capito il sud. Guarda Marchesa
che cerca non si sa cosa nella borsa di Fendi poggiata sulle gambe stecchite.
Guarda El Topo che siede con la rigidità di chi si vergogna del proprio corpo.
Guarda padre Vertov che muove senza parlare le labbra
per ricordare almeno a se stesso che la vita è amara, è amara, è amara.
E per un istante sente che c’è nei suoi occhi un pianto
cui non può cedere, come non cedette quel giorno
al marito che voleva fare l’amore con lei in un treno vero,
e non in quei trenini in miniatura con cui a sera
si sforza di dimenticare che si vive una sola volta,
e dopo non ci attende quell’eternità
cui solo Sua Eminenza sembra credere,
non foss’altro perché ognuno recita come sa
e in nessun luogo come a Casalpurga
il diavolo che ama il teatro, e l’arte,
nulla ebbe a invidiare a quel dio
che ci volle impasto di sogni e di menzogne.

Kimbo è davvero una persona squisita
un gentiluomo di altri tempi che non si fa pregare due volte a offrire il caffè
a chi gli sta vicino specie se ha la gonna e gli fa sentire
che le donne hanno un profumo  di cui si può godere
anche quando il tatto ha smesso da tempo di turbare
le ore dedicate al sonno al sogno e ai progetti
per il futuro
 

20. Kimbo

Kimbo è davvero una persona squisita
un gentiluomo di altri tempi che non si fa pregare due volte a offrire il caffè
a chi gli sta vicino specie se ha la gonna e gli fa sentire
che le donne hanno un profumo  di cui si può godere
anche quando il tatto ha smesso da tempo di turbare
le ore dedicate al sonno al sogno e ai progetti
per il futuro

Kimbo è anche uomo devoto
si commuove se da qualche parte del pianeta una statua che piange
sui peccati degli uomini e sulle donne che li inducono in errore
ci ammonisce che è giunto l’ora di ravvedersi  prima che una selva oscura
ci inghiotta senza che nessun virgilio ci venga incontra
e non a caso annualmente compie il suo pellegrinaggio
nei luoghi che ci ricordano come non sia vero
che il lavoro rende liberi
pratica la pietà e la mansuetudine che può avere solo chi
dopo aver attraversato la storia ha appreso
che la storia non serve nulla
 
e lo sanno bene i giovani che lo ascoltano e non sanno
di cosa lui parli e ne parla perché parlando si porta a casa
di chi vivere e può sottrarre al giorno la noia
che s’annida nei lunghi pomeriggi dove solo un bigliardo
gli può far dimenticare che a notte
non avrà nulla da sognare o da toccare 
 
Kimbo parla di filosofi ma non ha mai letto Epicuro
discute di dialettica ma ignora che i greci
davano alle parole un peso simile alle cose
che ci cadono sulla testa durante un temporale
così si limita a scaricare da internet i testi da proporre
a chi a sedici anni non ha ancora capito che si diventa adulti
solo quando hai capito che il mondo vuole essere gabbato e gabbato sia
ma che prima o poi intuirà che la storia e la filosofia non servono a nulla
visto che nulla ne sai né più avrai il tempo per trovare
chi te le racconti
 
Kimbo è così
si tinge i capelli sfoggia cravatte con disegni da decifrare
su Facebook intrattiene le nuove generazione alle 5 del mattino
sui ritmi di Trenet e di Brel fa il comunista e poi il socialista
e il sindacalista e il cattolico e l’islamico e offre caffè
offre tutto ciò che ha da offrire
offre anche la sua anima a chi è disposto ad ascoltarlo
ma a notte quando nulla ha da sognare e da toccare
non gli resta che attendere il giorno quando di nuovo potrà offrire caffè
parlare di Lourdes e di Auschwitz
trovare prima o poi uno che a sedici anni sta lì ad ascoltarlo
solo perché ha già imparato che  il mondo vuole essere gabbato e gabbato sia

 

21. Bephi

I
 
Bephi è una donna che ha stile. Ama il vintage, i funghi delle dolomiti e le lunghe sciarpe
che le nascondono il collo da Madonna del Parmigianino. D’estate, frequenta i concerti
che di notte, vicino al mare, le fanno vibrare l’animo di nostalgia. D’inverno,
predilige le trapunte, sotto cui simulare d’essere un feto che non ha voglia
di conoscere il mondo che non vuole conoscerlo.
 
Bephi ha a disdegno chiunque sia dotato di un pene. E non perché
non ne apprezzi il moto. Anzi, quando le capita, è in grado di gustare l’andare avanti e indietro
che fa di quello un’occasione per la specie, e per una femmina. Ma poi pensa
che è faticoso assecondarne il gusto, e pagare il prezzo che si deve
perché quello con continuità ed efficienza ti fornisca di ciò di cui crea in te il bisogno,
e accettare che diventi signore della tua vita dopo che lo è divenuto
della tua vagina.
 
Bephi ritiene che non ne valga la pena. I calzini di un maschio non hanno certo
un bell’odore, né lo hanno le sue mutande, né sono da giustificare le sue pretese
che due volte al giorno sul tavolo ci siano piatti in grado di soddisfare la sua bocca
e una volta almeno la settimana i suoi genitali. Bephi non sopporta
che un maschio possa condizionare la sua vita al punto di impedirle
da andare a dormire alle otto di sera o di pretendere che un sabato sera, all’improvviso,
non le consenta di ascoltare l’idillio di Sigfrido perché i condotti seminali sono intasati.
 
Bephi è una donna di cultura. Ha letto la Yourcenaur, Etti Hillesum e Simone de Beauvoir.
E ogni volta si identica in qualcuno di quelli di cui legge. Ora, per esempio, è convinta
che J. P. Sartre non avrebbe potuto fare a meno di amarla. Ieri credeva
che la piccola ebrea avesse con lei in comune il desiderio d’essere posseduta
in tre ore da due uomini diversi. Un mese fa immaginava che Marguerite
l’avrebbe scelta come concubina del suo principe.
 
Ma Bephi è una donna, e basta. Avesse un po’ più di umiltà, chiederebbe aiuto.
Una manciata di orgoglio, non andrebbe in giro a lamentarsi. Un pizzico di pietà
per se stessa, la smetterebbe di amare il vintage, i funghi delle dolomiti
e le lunghe sciarpe che le nascondono il collo da Madonna del Parmigianino.
E non frequenterebbe più i concerti che di notte vicino al mare le fanno vibrare
l’animo di nostalgia. E la mattina, quando va a scuola e incrocia lo sguardo
di Mondialcasa che le fa sentire come a Casalpurga tutti farebbero a meno di lei
e delle sue sciarpe, avrebbe almeno il coraggio di dire a Mondialcasa:
“Non ho un compagno di sonno, io,  ma ho dormito tutta la notte, stanotte”.
 
II
 
Bephi insegna italiano, ma ignora perché Campana chiamò i suoi canti orfici,
anche se poco hanno da spartire con i segreti dell’universo, che impedisce
alle pietre di muoversi e alle bestie di essere mansuete. Ignora anche
che la Merini è una donna come ce ne sono tante, ma che ha preferito
la follia della poesia a quella più discreta e quotidiana della casalinga.
Eppure lei finge di sapere apprezzare, quando occorre, chi ama la bellezza
e con parole, o colori, o suoni si ostina a farci credere che quella non perisce,
come i surgelati nel freezer o la frutta nella cesta dimenticata in cucina.
Ama il tango di Piazzolla, le armonie della notte e gli accordi arabo-spagnoli di Turina.
Ama le rose che non ha mai colto, loreto impagliato e le foto che le ricordano
che sì, anche lei è stata bambina, piena di dolori e offese.
Del resto, chi vive da solo ha poche occasioni per sentirsi vivo.
Così, va a raccontare in giro strane storie.
E dice che a Casalpurga non è rimasto più nessuno a insegnare
a chi è troppo giovane per essere disposto ad impararlo,
che la poesia è un vizio assurdo che ti fa scendere nel gorgo muto
come chi si è stancato di parlare, perché nessuno lo ascolta.
Dice anche che nessuno dovrebbe dire male di Casalpurga,
non foss’altro perché lì c’è ancora lei a testimoniare
che la poesia è inutile, come un calzino bucato dall’unghia dell’alluce.
Lascia anche sospettare che lei ha rifiutato di andare altrove,
quando poi l’avrebbe pure potuto, perché solo a Casalpurga
chi lavora è libero come l’ebreo che perdona
il boia che lo tortura.
Ma nessuno ha mai chiamato Bephi fuori da Casalpurga,
nè le ha offerto occasioni per riscattarsi dal rendere ossequio
alla Papanìa e ai suoi profeti.
E’ rimasta a Casalpurga perché altrove il mondo è ancora più crudele
e ha scarsa pietà di chi ama il vintage i funghi delle dolomiti e le lunghe sciarpe
con cui nascondere il collo da Madonna del Parmigianino.
 
E anche questa estate, quando ancora una volta
sarà difficile per chi è solo fingere di non esserlo, a Bephi non resterà
per dannunziana consolazione che pensare a Mondialcasa,
che, stesa in un letto, senza ciabatte e mutande,
guarda il compagno di sonno e conta
quanti giorni ancora mancano perché Casalpurga riapra i battenti
e le sia consentito, con il consenso dell’uomo del nord
e di Marchesa, ricordare a Bephi e a tout le mond
che se ciò cui rinunci in un istante non te lo restituisce l’eternità
è pur vero che dopo tutto e non ostante tutto
se la vita è un piacere è solo perché
la specie non ha trovato altre alternative
e disporre dell’esistenza altrui è più eccitante che avere nel letto
un compagno che dorme, e non allunga la mano.
 
 
III
 
Bephi dice di essere amica di Luther Blissett. Di ammirarne l’intelligenza,
e la sensibilità, lo spirito critico. Ma quando il gioco si fa duro
nulla la distingue dall’amico Marco, che fra realpolitik
e disordine dei sentimenti, sceglie per sè il nascondiglio
confortevole della sua stanza, e di una coscienza che preferisce
al coraggio il dolore della colpa, e alla coerenza l’hegeliana inquietudine
di chi non capisce di essere il simbolo del mondo, e del suo gioco.
Così, ma senza vergogna, rende omaggio a Mondialcasa,
e all’uomo venuto dal Nord, e a Marchesa, e a Felice Sciosciammocca
che l’attendono, il primo settembre, perché di nuovo abbia inizio
la recita che a Casalpurga vuole che chi non ha le palle
per fare l’attore accondiscenda a spolverare le quinte e la pedana.
Ma Bephi è una donna che ha stile. Ama il vintage, i funghi delle dolomiti
e le lunghe sciarpe che le nascondono il collo da Madonna del Parmigianino.
E quando la sera si avvicina, e l’ora della cena, non le resta
che rannicchiarsi sul divano ad ascoltare il Valse Triste di Sibelius
che la convince che la vita è come una danza
in cui anche il primo ballerino ha il volto depresso di un pierrot,
che smesso il vestito a palle bianche e nere si agita sullo scena
come un feto nudo che non ha voglia
di conoscere il mondo che non vuole conoscerlo.

 

22. Nella terra di Lucilio

Se fosse vivo, ne avrebbe da scrivere Lucilio sulla gente
che frequenta il suo paese. Se ne fregherebbe che Orazio gli ha consigliato
di censurare il vizio e non l’uomo, o la donna, che ne gode.
Metterebbe insieme versi in cui un critico fra mille anni,
fornito di cultura e filologico acume, ricorderebbe al lettore
che da sempre è un passatempo della specie fare dei vizi privati
pubbliche virtù. Direbbe, forse, che la Signora ha mancato di gusto,
e di stile, a ritirarsi con Mondialcasa a riflettere sul destino dell’anima
in luoghi che poco si addicono a chi, nata da umile stirpe,
ha meritato, grazie a fatica, abnegazione e sottomissione, di godere
di quei panorami di cui furono esperti Tiberio, Lenin e Malaparte
e non dovrebbe accontentarsi della campagne
dove il sole che brucia alimenta passioni sconce che poco si addicono
a chi, come Ermengarda in convento, cerca di dimenticare
che in ogni donna c’è Gertrude, e qualcos’altro.
 
Ma alla Signora poco importa di Lucilio, e Orazio, e Ermengarda, e Gertrude.
Poco importa se un poeta scrive di lei cose che lei può sempre smentire,
perché i poeti si sa sono mentitori incalliti e ne sanno una più del diavolo,
e delle donne. Del resto, Mondialcasa è lì per questo, per testimoniare,
a chi dubita, che Lucilio le cose se le inventa, viola la privacy,
è uno che ama il gossip a buon prezzo. E Mondialcasa è brava in questo.
Ci ha costruito una carriera su: humile servire et humiliter pulverem abtergere.
Dirà che Lucilio è un cafone del sud, che loro sono andate lì per pregare Iddio
che il dì futuro sia men tetro del dì presente e confermi loro
Un posto in prima fila nel talk show dei campi elisi.
 
Le crederanno. Tutti. Anche l’uomo del nord che se n’è tornato al Nord.
Anche padre Malaluce che è del sud e nell’ora di religione di Bertolucci
con ci fa certo una bella figura. Perché è così a Casalpurga.
Tutti credono a tutti. Ed è così bello avere una fede
che ti consente di andare nella terra di Lucilio
convinti che Lucilio abbia perso con morte non solo la vita,
ma anche la parola.

 

(continua)



Cristo!, che Cristo al miocardio!
di Antonino Contiliano

Con Eraclito, ma anche con Musil della “Cacania” o altri…, due parole e qualche riflessione su “Cuore di Cristo” di Luther Blissett.
Questo racconto su Casalpurga e i suoi personaggi “grotteschi” e ridicolizzati, sferzati per i loro vizi, i loro tic e la loro ignoranza, è un vero serraglio che vede crescere il fior fiore del semenzaio stupidario “personificato” dai vari s-docenti sdicenti. Tutt’altro che autobiografica – consistenti e sintomatici i riferimenti culturali e storico-contestuali (passato/presente) extra-bios – la narrazione è una microstoria che, emblematicamente, può benissimo saltare i ristretti confini di Casalpurga (rabelesiana) e l’esperienza diretta del narratore, Luther Blissett. Il tracciato, colto il modello storico-ideologico che non manca, può benissimo estendersi a tutti quei luoghi ( e non sono rari, né unici) che non praticano neanche la “trasgressione del pensiero per accertarsi del piacere della sua esistenza” o del “pompino” che una donna ti regala come atto d’amore fondendosi con il tuo caz…; che i “giganti non hanno bisogno dei nani sulle spalle” né di comitati “di salute pubblica” alla Lucien de Rubempré (di stampo Opus Dei) che vigila “perché i vizi privati non rimangano solo privati ma siano pubbliche virtù” ... 
IRONIA e sarcasmo – attenuati dal comico del quotidiano e dai doppi e tripli sensi, ma non per questo meno dirompenti –, sferzanti e “formativi” per personaggi che agiscono per cliché e adombrano formule manualistiche per cultura, sono il vero ordito di questo racconto, mentre lo stesso dice che i raccontati avrebbero bisogno di battezzarsi alle fonti del “Silenzio di Cage” e dell’immaginario critico e vissuto; e ciò almeno una volta, e prima di morire, specie se “uomo di mondo” come padre Corvino sperimenta per sé quello che poi impedisce agli altri.
Non manca l’autoironia, se Luther Blissett, congedandosi dagli auguri, all’insegna di una parodia dantesca, si schizza
[…]
ed è eccellente l'om che sè presume 
d'aver le ali al volo e alla mignatta 
ma matta sei tu anche amore mio 
che di fellatio ed altro che non dico 
riempi le mie notti e la mia mente 
che nullo altro sente e ad altro tende 
al punto dove il tutto coincide 
la possa la fantàsia ed anche il velle 
che come sempre è question di pelle 
[…]
ma Luther mo' saluta e corre a nanna 
auguri a Casalpurga e a zia Giovanna 
auguri agli amici ed ai nemici 
ma quando mai sarete un po’ felici?

Marsala, 15 marzo ‘05


Luther Blissett: Beatrice
Luther Blissett: Di Bebeep. Di Rowski. E altre storie
Luther Blissett: Lettera al figlio sull'utilità della scuola

Luther Blissett
De rebus vulgaribus. Lettera a una professoressa sull'ignoranza, sui cattivi maestri e su ciò che ci passa il convento
(di prossima pubblicazione)

Lettera a Giuliana su Giulio Cesare Cortese, Freud e il vento del sud
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