VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art

Eidola
Sonora
A cura di Emilio Piccolo


Demetrio Stratos
Recitarcantando
Cremona 21 settembre 1978

   

Ben strano destino quello della voce! (Gianni Emilio Simonetti)

Flautofonie ed altro I (A)
Flautofonie ed altro I (B)
Flautofonie ed altro I (B)
Flautofonie ed altro I (D)
Passaggi
Cometa Rossa
Le sirene
Flautofonie ed altro II
Investigazioni (diplofonie triplofonie) (A)
Investigazioni (diplofonie triplofonie) (B)
Investigazioni
Demetrio Stratos, voce - Lucio Fabbri, violino



L'ultimo canto del Thanatos libera il soggetto dall'incomprensione della cosmologia del suono e il suo avvenire.
Demetrio Stratos

Ben strano destino quello della voce!

Per la cucina pitagorica il canto si colloca nella stagione delta frutta matura, quando, rotto ogni equilibrio, la maturazione deve all'azione culinaria di Sirio i suoi aromi. Essi adempiono ad una funzione di condimento del senso (Bloch), e sono gli elementi del culto della seduzione, il suo potere, che sta agli antipodi dei regimi umidi, dei luoghi bassi occupati dalla voce, cereale per definizione povero quanto essenziale nella catena alimentare dell'Eros. In un trattato dt botanica del successore di Aristotele la voce viene associata al cattivo odore, della stessa specie di quella degli animali, "eccezion fatta per la pantera", e di quella di certi umori del corpo basso, sudore, orina, feci, mestruo, sperma? Più tardi sarà l'Alchimia a denunciare gli effetti di ossidazione della voce sui metalli filosofici tanto da indurre a considerare il silenzio d'oro, mettendolo in bocca al sorgere del sole, prezioso quanto la rugiada.

Alla voce spetta, per destino storico - per amor di Sion é la notte e poi, l'androgino, il baphomet, le insegne di Dionisio nemico della razionalità apollinea, la rivolta che monta dal basso, la festa, il dolore del negativo e l'hegeliana incoscienza. Tuttavia, ben venga la notte se il "conscio" è la luce!

Questa epifania di niente, la voce, è, non di meno, gesto corporeo primordiale, apertura nell'apertura di senso della lingua? La voce, spoglio essere che ha vita solo se pensata come sapere (Block) dal volto che parla (Merleau-Pontv), è la spada che fa il suo ingresso fosforico in noi (Heidegger) ed è subito presenza (Block), narrazione the conosce la propria unità, devastante come il ferro del senso net tema (Bloch).

Fra la voce silvestre e il canto coltivato la linea di separazione non è segnata solo dal confine tagliente della parola, la divisione, afferma Arìstotele, è più antica e gassosa, lo prova la morte per asfissia che corona gli sforzi della società di addomesticare la voce, giacché non si coltiva che ciò che è già di per sè disposto ad addolcire (hèmeroum) e che "un supplemento di cottura rende infine commestibile al senso.

Siamo ad un nodo essenziale della figura/voce, sia pure da lontano i tratti minerali in cui si cristallizzano le sue proprietà e lo scarto dell'alterità (Block) brillano della loro trivialità. Queste ricerche sulla voce di Demetrio Stratos rappresentano, ìnfatti, l'esplorazione della sua parte irriducibile (della sua trama non-logorabile, Block), della parte refrattaria alla dolcezza del canto a ad ogni "supplemento di cultura ", a dispetto di coloro vhe pretendono di considerare queste ricerche come una nuova cucina della vocalità, uno sforzo energumeno, in negativo, e uno strozzamento metaforico del significato.

La balbuzie psicanalitica si diletta, oggi, con un'autonomia sessuale delle vocali e delle consonanti, con una antropologia dei fenomeni per meglio dimenticare una fenomenologia della voce corpo di una nudità che è disoccultamente dell'alterità del mondo, questo è precisamente il senso di quel giocarsi la vita di cui parla Demetrio Stratos: di un'apertura nell'apertura, appunto. L'eccezionalità dei risultati a cui egli - sul serio - era approdato fa sì che le sue ricerche siano prese per i loro effetti piuttosto che considerate nelle loro intenzioni. Lo prova il gergo reichiano dei suoi critici musicali, o il "babysh" fonoiatra degli allievi di Dufrenne, come se la manifestazione eccedesse l'inevitabile perché la sorpresa è grande: la voce parla! Miracolo clella produzione? (E dialoga con gli strumenti musicali, di cui rappresenta l'anima quando la protesi è perfetta, come si dice nel caso della liuteria, un dialogo amoroso che sa vibrare di effetti virili e di languori femminili, tenace filo d'Arianna di un discorso musicale che le astuzie illuminano di significati). Questa voce che parla vanifica la sovranità del canto, libero pensiero che, a questo, mostra il volto dell'identico denunciandone la miseria: l'epifania della voce è visitazione: incontra lo strumento della musica senza voltarsi indietro, la voce sa di essere una esagerazione, una turgescenza della materia corporale. Umore che bagna, come tutti gli altri umori,  che viene dal basso, pasto nudo: armatura del mito della nascita. E' prendendo per i piedi l'omelette lacaniana e sculacciandola che si canta venendo alla luce, si sputano le acque della madre, si aprono gli occhi alle ombre del mondo. Ed è il ritorno di questo mito che il lavoro di Demetrio Stratos ha trapassato vivendolo fino al calice della morte. La voce - questo sudore polmonare - è come la cassia di cui parla Plinio, difesa a colpi d'artiglio da una specie spaventosa di serpenti alati, serpenti che l'ideologia psicanalitica scambia per i falli su cui inciampano le consonanti e la nostra voglia di sputare la calcificazione del carattere. Ma lasciamo la "Mona" ai monemi!

Una volta messo a nudo, con mezzi empirici-critici, il mundus subterraneus della parola, la voce incontra il phantasticon vhe la rappresenta simile ad un ductus calligrafico, ad una veste liturgica sotto cui s'agita l'«uno» ipotetico del Parmenide, «nè simile, nè dissimile, nè identico, nè non-identico». Nella crittografica teologica più antica l'universo era formato da tre libri, Sèfer, Sofer, Sifur, la scrittura, il numero la parola. Ma è la voce a fungere da cifrario cosmico, da traccia che riconduce il simbolo al mondo in cui appare: il corpo dell'uomo. Si può dire: la meraviglia della voce dipende dall'altrove da cui proviene a in cui è stata costretta a ritirarsi, non è un caso che le lezioni sulla voce di Demetrio Stratos partano dall'esame dubitativo delle teorie funzionalistiche che pretendono di spiegarla a partire dai suoi effetti per consincersi sull'autonomia. La critica di queste teorie era già fatta prima che vedessero la luce, nel particolare dei "pistoni d'aria" del Large Glass di Duchamp, la sposa alza la veste...il resto è conseguenza. Questo insistere, qui sugli alambicchi delle ideologie "neo-anatomiste" ha uno scopo preciso: di fàr cessare la confusione del volto con la maschera, della voce con il canto che invece la presuppone. Se significare equivale ad indicare - per dirla con Emmanuel Levinas - allora la voce sarebbe insignificante. E se il luogo della voce è il deserto polmonare perché meravigliarsi che il canto è un semplice vuoto del mondo? ll suo destino è concluso, indica ma non rivela, esso si commuove dìleguandosi, il canto è puro passato, per questo la voce è l'unica apertura in cui l'Altro (e, insieme, la comunicazione che ne è tramite entra in una dimensione immanente con l'«uno».

Cinnamomo e cassia, canto e voce, sono la materìa pulsionale di una catena di miti antagonisti il cui destino è di separarsi affnché sia possibile una mediazione, e questa mediazione ci viene indicata a chiare lettere dalla tradizione popolare: la caccia, nella prima coppia, l'eros, nella seconda. Essa è una relazione dì senso, non è complicato scorgervi un protagonista: Dedalo. Le parentele sono assicurate dalla successione degli arvenimenti, ma a noi basta il conforto dell'etimo, giacché la voce che si perde nel dedalo del significato è proprio il lavoro artistico che costruisce il labirinto della signicazione. La grande fabbrica della forma/valore. Ma passiamo ai cancan, perché Dedalo regala ad Arianna il filo per far fuggire Perseo? Perché la traccia, cioè la voce, comunque scompiglia l'ordine del mondo. Lo scompiglio della voce - ne restano delle scorie nell'etimo della parola "slogan" - ha questo di eccezionale. Che esso è al di fuori di ogni sua intenzione, di ogni progetto preso di mira. La voce è ebrezza, laddove il canto è misura. Conclude Nietzsche, questo è lo spirito della musica.

A noi interessa altro. Per esempio, la sanzione, che è il volto illuminato dell'ebrezza e parte integrante del mito. 0, l'enigma. Le sincopi della voce: la mania che l'impregna: questo sudore erotico che vive solo del e nel presente, costituscono la fisionomia pre-logica della sanzione... di quel rischiare la vita che l'esperienza della voce porta in sè, distinguendola dal canto, come traccia sulla traccia: il signifcato di passare. Di contra, la voce non passa, si spezza.

0, l'enigma: guardati da quello dei giovai uomini, dice l'oracolo ad Omero. La voce, questa cosa che portiamo perché non l'abbiamo nè vista nè presa. Eraclito è perentorio: "la morte è tutto ciò che vediamo da svegli ". Lo scompiglio della voce altera la sovranità del canto che concatenazioni di significati e congiuntura storica sanciscono come espressione sensata dell'universo artistico, ed esso è ancora più radicale nella misura che la voce diventa canto senza esserlo - è il caso femmmile delle sirene che si tramutano in pesce appena sotto l'ombelico rendendo vano ogni alzare di veste - audacia della nudità che interrompe l'ordine disfacendolo. Un canto ricco di oblii, che nel lavoro di Demetrio Stratos è costituito dalla citazione orientale, dall'erranza del canto asiatico. Prendendo distanza dal passato nello stesso modo in cui lo smemorante latte asiatico ci accomiata dalle cronache - questi oblii si vestono di evoczioni cromatiche, di eccessi allargando quella che, chiamata béance, in realtà non è altro che il vuoto stesso a cui si condanna il canto. 0, la traccia sulla sabbia. Da una parte il corpo, dall'altra il canto. La voce è direttamente l'umore di questo conflitto che la genera e la mantiene con la sua stessa presenza. Tossico della sua Identità.

Gianni-Emilio Simonetti (Laveno, giugno 1980)


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