Ben strano destino quello della voce!
(Gianni Emilio Simonetti)
Flautofonie
ed altro I (A)
Flautofonie
ed altro I (B)
Flautofonie
ed altro I (B)
Flautofonie
ed altro I (D)
Passaggi
Cometa
Rossa
Le
sirene
Flautofonie
ed altro II
Investigazioni
(diplofonie triplofonie) (A)
Investigazioni
(diplofonie triplofonie) (B)
Investigazioni
Demetrio
Stratos, voce
- Lucio Fabbri,
violino
L'ultimo
canto del Thanatos libera il soggetto dall'incomprensione della
cosmologia
del suono e il suo avvenire.
Demetrio
Stratos
Ben strano
destino quello della voce!
Per la cucina
pitagorica il canto si colloca nella stagione delta frutta matura,
quando,
rotto ogni equilibrio, la maturazione deve all'azione culinaria di
Sirio
i suoi aromi. Essi adempiono ad una funzione di condimento del senso
(Bloch),
e sono gli elementi del culto della seduzione, il suo potere, che sta
agli
antipodi dei regimi umidi, dei luoghi bassi occupati dalla voce,
cereale
per definizione povero quanto essenziale nella catena alimentare
dell'Eros.
In un trattato dt botanica del successore di Aristotele la voce viene
associata
al cattivo odore, della stessa specie di quella degli animali,
"eccezion
fatta per la pantera", e di quella di certi umori del corpo basso,
sudore,
orina, feci, mestruo, sperma? Più tardi sarà l'Alchimia a
denunciare gli effetti di ossidazione della voce sui metalli filosofici
tanto da indurre a considerare il silenzio d'oro, mettendolo in bocca
al
sorgere del sole, prezioso quanto la rugiada.
Alla voce
spetta, per destino storico - per amor di Sion é la notte e poi,
l'androgino, il baphomet, le insegne di Dionisio nemico della
razionalità
apollinea, la rivolta che monta dal basso, la festa, il dolore del
negativo
e l'hegeliana incoscienza. Tuttavia, ben venga la notte se il "conscio"
è la luce!
Questa epifania
di niente, la voce, è, non di meno, gesto corporeo primordiale,
apertura nell'apertura di senso della lingua? La voce, spoglio essere
che
ha vita solo se pensata come sapere (Block) dal volto che parla
(Merleau-Pontv),
è la spada che fa il suo ingresso fosforico in noi (Heidegger)
ed
è subito presenza (Block), narrazione the conosce la propria
unità,
devastante come il ferro del senso net tema (Bloch).
Fra la voce
silvestre e il canto coltivato la linea di separazione non è
segnata
solo dal confine tagliente della parola, la divisione, afferma
Arìstotele,
è più antica e gassosa, lo prova la morte per asfissia
che
corona gli sforzi della società di addomesticare la voce,
giacché
non si coltiva che ciò che è già di per sè
disposto ad addolcire (hèmeroum) e che "un supplemento di
cottura
rende infine commestibile al senso.
Siamo ad
un nodo essenziale della figura/voce, sia pure da lontano i tratti
minerali
in cui si cristallizzano le sue proprietà e lo scarto
dell'alterità
(Block) brillano della loro trivialità. Queste ricerche sulla
voce
di Demetrio Stratos rappresentano, ìnfatti, l'esplorazione della
sua parte irriducibile (della sua trama non-logorabile, Block), della
parte
refrattaria alla dolcezza del canto a ad ogni "supplemento di cultura
",
a dispetto di coloro vhe pretendono di considerare queste ricerche come
una nuova cucina della vocalità, uno sforzo energumeno, in
negativo,
e uno strozzamento metaforico del significato.
La balbuzie
psicanalitica si diletta, oggi, con un'autonomia sessuale delle vocali
e delle consonanti, con una antropologia dei fenomeni per meglio
dimenticare
una fenomenologia della voce corpo di una nudità che è
disoccultamente
dell'alterità del mondo, questo è precisamente il senso
di
quel giocarsi la vita di cui parla Demetrio Stratos: di un'apertura
nell'apertura,
appunto. L'eccezionalità dei risultati a cui egli - sul serio -
era approdato fa sì che le sue ricerche siano prese per i loro
effetti
piuttosto che considerate nelle loro intenzioni. Lo prova il gergo
reichiano
dei suoi critici musicali, o il "babysh" fonoiatra degli allievi di
Dufrenne,
come se la manifestazione eccedesse l'inevitabile perché la
sorpresa
è grande: la voce parla! Miracolo clella produzione? (E dialoga
con gli strumenti musicali, di cui rappresenta l'anima quando la
protesi
è perfetta, come si dice nel caso della liuteria, un dialogo
amoroso
che sa vibrare di effetti virili e di languori femminili, tenace filo
d'Arianna
di un discorso musicale che le astuzie illuminano di significati).
Questa
voce che parla vanifica la sovranità del canto, libero pensiero
che, a questo, mostra il volto dell'identico denunciandone la miseria:
l'epifania della voce è visitazione: incontra lo strumento della
musica senza voltarsi indietro, la voce sa di essere una esagerazione,
una turgescenza della materia corporale. Umore che bagna, come tutti
gli
altri umori, che viene dal basso, pasto nudo: armatura del mito
della
nascita. E' prendendo per i piedi l'omelette lacaniana e sculacciandola
che si canta venendo alla luce, si sputano le acque della madre, si
aprono
gli occhi alle ombre del mondo. Ed è il ritorno di questo mito
che
il lavoro di Demetrio Stratos ha trapassato vivendolo fino al calice
della
morte. La voce - questo sudore polmonare - è come la cassia di
cui
parla Plinio, difesa a colpi d'artiglio da una specie spaventosa di
serpenti
alati, serpenti che l'ideologia psicanalitica scambia per i falli su
cui
inciampano le consonanti e la nostra voglia di sputare la
calcificazione
del carattere. Ma lasciamo la "Mona" ai monemi!
Una volta
messo a nudo, con mezzi empirici-critici, il mundus subterraneus della
parola, la voce incontra il phantasticon vhe la rappresenta simile ad
un
ductus calligrafico, ad una veste liturgica sotto cui s'agita
l'«uno»
ipotetico del Parmenide, «nè simile, nè dissimile,
nè identico, nè non-identico». Nella crittografica
teologica più antica l'universo era formato da tre libri,
Sèfer,
Sofer, Sifur, la scrittura, il numero la parola. Ma è la voce a
fungere da cifrario cosmico, da traccia che riconduce il simbolo al
mondo
in cui appare: il corpo dell'uomo. Si può dire: la meraviglia
della
voce dipende dall'altrove da cui proviene a in cui è stata
costretta
a ritirarsi, non è un caso che le lezioni sulla voce di Demetrio
Stratos partano dall'esame dubitativo delle teorie funzionalistiche che
pretendono di spiegarla a partire dai suoi effetti per consincersi
sull'autonomia.
La critica di queste teorie era già fatta prima che vedessero la
luce, nel particolare dei "pistoni d'aria" del Large Glass di Duchamp,
la sposa alza la veste...il resto è conseguenza. Questo
insistere,
qui sugli alambicchi delle ideologie "neo-anatomiste" ha uno scopo
preciso:
di fàr cessare la confusione del volto con la maschera, della
voce
con il canto che invece la presuppone. Se significare equivale ad
indicare
- per dirla con Emmanuel Levinas - allora la voce sarebbe
insignificante.
E se il luogo della voce è il deserto polmonare perché
meravigliarsi
che il canto è un semplice vuoto del mondo? ll suo destino
è
concluso, indica ma non rivela, esso si commuove dìleguandosi,
il
canto è puro passato, per questo la voce è l'unica
apertura
in cui l'Altro (e, insieme, la comunicazione che ne è tramite
entra
in una dimensione immanente con l'«uno».
Cinnamomo
e cassia, canto e voce, sono la materìa pulsionale di una catena
di miti antagonisti il cui destino è di separarsi affnché
sia possibile una mediazione, e questa mediazione ci viene indicata a
chiare
lettere dalla tradizione popolare: la caccia, nella prima coppia,
l'eros,
nella seconda. Essa è una relazione dì senso, non
è
complicato scorgervi un protagonista: Dedalo. Le parentele sono
assicurate
dalla successione degli arvenimenti, ma a noi basta il conforto
dell'etimo,
giacché la voce che si perde nel dedalo del significato è
proprio il lavoro artistico che costruisce il labirinto della
signicazione.
La grande fabbrica della forma/valore. Ma passiamo ai cancan,
perché
Dedalo regala ad Arianna il filo per far fuggire Perseo? Perché
la traccia, cioè la voce, comunque scompiglia l'ordine del
mondo.
Lo scompiglio della voce - ne restano delle scorie nell'etimo della
parola
"slogan" - ha questo di eccezionale. Che esso è al di fuori di
ogni
sua intenzione, di ogni progetto preso di mira. La voce è
ebrezza,
laddove il canto è misura. Conclude Nietzsche, questo è
lo
spirito della musica.
A noi interessa
altro. Per esempio, la sanzione, che è il volto illuminato
dell'ebrezza
e parte integrante del mito. 0, l'enigma. Le sincopi della voce: la
mania
che l'impregna: questo sudore erotico che vive solo del e nel presente,
costituscono la fisionomia pre-logica della sanzione... di quel
rischiare
la vita che l'esperienza della voce porta in sè, distinguendola
dal canto, come traccia sulla traccia: il signifcato di passare. Di
contra,
la voce non passa, si spezza.
0, l'enigma:
guardati da quello dei giovai uomini, dice l'oracolo ad Omero. La voce,
questa cosa che portiamo perché non l'abbiamo nè vista
nè
presa. Eraclito è perentorio: "la morte è tutto
ciò
che vediamo da svegli ". Lo scompiglio della voce altera la
sovranità
del canto che concatenazioni di significati e congiuntura storica
sanciscono
come espressione sensata dell'universo artistico, ed esso è
ancora
più radicale nella misura che la voce diventa canto senza
esserlo
- è il caso femmmile delle sirene che si tramutano in pesce
appena
sotto l'ombelico rendendo vano ogni alzare di veste - audacia della
nudità
che interrompe l'ordine disfacendolo. Un canto ricco di oblii, che nel
lavoro di Demetrio Stratos è costituito dalla citazione
orientale,
dall'erranza del canto asiatico. Prendendo distanza dal passato nello
stesso
modo in cui lo smemorante latte asiatico ci accomiata dalle cronache -
questi oblii si vestono di evoczioni cromatiche, di eccessi allargando
quella che, chiamata béance, in realtà non è altro
che il vuoto stesso a cui si condanna il canto. 0, la traccia sulla
sabbia.
Da una parte il corpo, dall'altra il canto. La voce è
direttamente
l'umore di questo conflitto che la genera e la mantiene con la sua
stessa
presenza. Tossico della sua Identità.
Gianni-Emilio
Simonetti (Laveno,
giugno 1980)