Vede
cani, campane e altre cose aperte
sulla
campagna. Vede
cose
trascolorare: una certa avversione, un certo silenzio, certi
corpi
smisurati. Gambe
e
attrezzi, cose che smettono
di
lamentarsi e lasciano
scie
di luce nei ghiacci, vede loro
innalzarsi
come radici di gioia
poi
si mette a baciare la consolazione di quella bellezza sulla faccia di
lui
nudo
come la battitura del miglio.
Sulla
faccia di lui bacia la terra e tutta l’acqua di vegetazione
bacia
la tramontana e l’avere portato questa possibilità di baciare
fino
al mattino, bacia le masse ancora addormentate in uno smisurato
sconforto
le
onde fatte di graniglia azzurra e di cobalto, bacia anche il corpo
che
si secca tra rovi di more
con
un rumore molle
di
mucose, come un fiore spiccato, una leggera
anomalia
del giardino, bacia il giacere del corpo
tra i
semi delle rosacee
e il
suo calmo saldarsi alla terra
con
un suono di fiori schiacciati e di congiungimenti,
bacia
il cielo in ognuno dei corpi
che
lo attraversano
fermi
nelle carlinghe; le
pulegge e gli spalti del frumento
bacia e
lo bacia
invisibilmente
con il
dolore e l’oro della lisca, con
l’aria che ruota
intorno
ai corpi con coincidenze
elettriche, bacia la continenza di quei corpi
che,
trascurati, diventano santi
bacia
chi ha immaginato di morire
per
mancanza di luce e poi ha detto sia
benedetto il giorno
che ti
ha vista nascere, bacia la perla
delle cartilagini
e
l’obice degli omeri
abbassati
sul petto, bacia il cuore
che
vistosamente declina, bacia chi le ha
portato l’equilibrio,
questo
modo di mettere insieme
cosa con
cosa
e
poiché ho attraversato con la bocca
indenne
tutto il
disequilibrio della notte, so che
è stato
per
questo
poter
baciare in te ogni fenomeno,
perché
giungesse l’Ora Immaginaria
con
macchine terrestri nel fango naturale
e
fosse appariscente
tutta
la gioia e tutta la crescente
riconoscenza
perché,
ecco, io ti amo senza dolore.
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