Frigida
ero,
come la neve, l’avorio.
Pensai
Non mi
toccherà,
lo fece.
Mi
baciò le
labbra di pietra.
Stavo
immobile
come
morta.
Persistè.
Passò
col
pollice sui miei occhi di marmo.
Pronunciò
rozze
parole
dolci, disse cosa avrebbe fatto e come.
Parole
terribili
Le mie
orecchie
erano sculture.
Sorde
come
pietre, come conchiglie.
Sentivo
il
mare.
Lo feci
annegare.
Lo
sentii
gridare.
Mi
portò
regali, sassolini levigati,
campanelline.
Non
battei
ciglio,
Non
aprii
bocca.
Mi
portò perle,
collane e anelli
li
chiamava
gingilli da bimba.
Mi
brancicò con
mani appiccicose.
Non mi
ritrassi.
Bella
statuina,
muta!
Mi
ficcò le
dita nella carne,
strizzò,
pigiò.
Non mi
ammaccò.
Cercava
i
segni,
cuoricini
viola,
stelle
d’inchiostro, livide spie.
Le
unghie erano
artigli.
Non un
frego,
un graffio, uno sfregio.
Mi
puntellò coi
cuscini,
e mi
redarguì
tutta la notte.
Era
ghiaccio il
mio cuore, era vetro.
Era
ghiaia la
sua voce, strideva.
Diceva
nero poi
bianco.
Così
cambiai
tattica,
mi
riscaldai
come cera di candela,
ricambiai
i
baci,
fui
morbida,
malleabile,
cominciai
a
mugolare,
mi feci
calda,
sfrenata,
mi
dimenai,
spasimai, smaniai,
implorai
un
figlio suo,
e
nell’orgasmo
urlai
come
invasata –
tutta
scena.
Da
allora non
l’ho più visto.
Semplice,
no?
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