da
Franco
Pappalardo La Rosa, Libuk, Roma
2003
Cap.
VII
La
scena mutò rapidamente. C'era, ora, un piacevole giardino, con
alberi d'argento disposti a ferro di cavallo. Nel mezzo si trovava un
pergolato di fiori varî, multicolori, e di rose rosse e gialle.
Sul davanti, in primo piano, due sedili erbosi. Accanto al sedile di
destra si apriva lo sportello di una botola, da dove era appena uscito
un personaggio femminile piuttosto malvestito.
Dalle quinte
irruppe
sulla scena un secondo personaggio acconciato alla foggia contadina,
che fece qualche passo di corsa e si arrestò di colpo dinanzi
all'altro presente sul proscenio, all'impiedi accanto allo sportello
della botola. Il giovane vestito da contadino – che cantava:
«Lala... lalala... Neppure una goccia d'acqua / si può
avere da questa gente; men che meno / qualcos'altro...» – era
Papageno; l'altro personaggio già in scena, quello femminile
sbucato dalla botola, interpretava, a sua volta, il ruolo di Papagena
camuffata da donna vecchia e brutta.
Papageno
guardò
con curiosità la donna (e la grossa coppa con acqua che reggeva
in mano) e, non riconoscendola, le domandò: «Oh, [l'acqua]
è per me?».
La donna si
profuse in un
inchino, rispose: «Sí, angelo mio!».
Papageno le
contraccambiò l'inchino, portandosi un braccio dietro la schiena
e l'altro a sventolare davanti ai piedi il cappellaccio con la piuma
bianca che teneva nella mano. Ridrizzatosi, ne ricevette la coppa:
bevve. «Né piú né meno che acqua»,
commentò quando smise. Sorrise poi alla vecchia, le
restituí la coppa: «Senti, bella sconosciuta»,
l'apostrofò: «tutti gli ospiti forestieri vengono /
accolti in questa maniera?».
La donna:
«Naturalmente, angelo mio!».
Papageno:
«Allora i
forestieri non verranno certo di frequente... / Su, vecchia, siediti
accanto a me, il tempo mi è / maledettamente lungo. Dimmi,
dunque, quanti / anni hai?».
Si spostarono
entrambi
vicino al sedile di sinistra: le loro ombre, rese enormi e slungate
dalle fiammelle delle sei lampe ad olio poste sul proscenio,
sciabolarono rapide contro il telone dipinto del fondale.
La donna:
«Diciotto
e due minuti».
Papageno:
«Che
giovane angioletto! Hai anche un amante?».
La donna:
«Oh,
certo!».
Papageno:
«È
anche lui giovane come te?».
Il pubblico
sottolineò la battuta con una corale risata: dai due giri di
palchetti tutti ori e stucchi e illuminati ciascuno da un candeliere a
tre fuochi al lato scoccò anche un breve applauso.
La donna:
«Non
proprio: è circa dieci anni piú vecchio».
Papageno:
«Oh,
dev'essere un amore! E come si chiama il tuo / innamorato?».
La donna:
«Papageno!».
Papageno,
spaventato:
«Hahaha, Papa... Papageno! e dove si trova, / questo
Papageno?».
Di nuovo,
risate e
applausi del pubblico...
Nel
palco imperiale del Freihaustheater, il Theater auf der Wieden, dove
stava andando in scena Il flauto magico, sua maestà Leopoldo II
si divertiva: sprizzava gioia nel largo sorriso con il quale seguiva le
schermaglie in musica dei personaggi che si avvicendavano sul
palcoscenico. In giubba bianca con le spalline e gli alamari dorati,
l'increspato jabot di candida seta, la fascia azzurra che gli spiccava
di traverso sul petto e gli cadeva sul fianco, accanto all'elsa dello
spadino, in un fiocco anch'esso dorato, egli piegava di tanto in tanto
di lato, alla sua destra, l'augusto capo imparruccato, a commentare, a
sorridere verso l'orecchio della consorte. Elegantissima nel suo abito
lungo color albicocca, sua maestà l'imperatrice Maria Luisa
rispondeva ai sorrisi, o assentiva con lievi cenni del capo dall'alta
parrucca tutta boccoli e cannoli pendenti, a metà della quale si
avvolgeva un doppio giro di perle, e, ad ogni minimo suo moto, faceva
scintillare il collier di diamanti che le circondava il collo e il cui
pentacolo, un grosso smeraldo a forma di stella con le cinque punte di
brillanti, le scendeva nel centro del petto lasciato nudo da omero ad
omero fino ai merletti sui margini superiori del seno. Alla sinistra di
sua maestà il Kaiser, sedeva Herr Antonio Salieri, il
compositore di corte e Kapellmeister dell'Opera Italiana; alla destra
dell'imperatrice, l'autore del libretto dell'opera in rappresentazione,
Herr Emanuel Schikaneder, direttore del teatro.
Sul
palcoscenico, i
personaggi proseguirono a lungo ad alternare o a unire le voci sulle
note musicali dell'orchestrina nascosta dentro il golfo mistico. Fra
leggerezza da marionette e azioni narrative da fiaba, fra colpi di
scena, virtuosismi canori di coloritura e arie abbaglianti, l'opera si
avviava ormai alla conclusione. In quel momento, disperato per la
perdita della sua adorata fanciulla del cuore, Papageno aveva deciso di
dare l'addio al "mondo nero": di impiccarsi. Sopraggiunsero,
però, i tre fanciulli, che gli gridarono: «Ferma!
Papageno, e sii assennato! / Si vive solo una volta, ciò ti
basti».
Papageno
ribatté:
«Avete un bel parlare, ben da scherzare; / ma se vi ardesse il
cuore come a me, / andreste anche voi in cerca di ragazze».
I tre
fanciulli gli
dissero: «Allora fai risuonare i tuoi campanelli, / essi ti
porteranno la tua mogliettina».
Papageno:
«Che
stupido, ho dimenticato l'aggeggio magico! / (tirò fuori il suo
carillon). Risuona, cassettina, risuona! / Io devo vedere la mia cara
fanciulla! / Suonate, campanelli, suonate! / Portate qui la mia
mogliettina!».
Mentre
Papageno faceva
suonare il carillon, i tre fanciulli corsero alla loro macchina volante
e ne portarono fuori Papagena. Quindi parlarono di nuovo al giovane:
«Ora, Papageno, guardati attorno!».
Papageno
(girandosi e
vedendola): «Pa-Pa-Pa-Pa-Papagena!».
Papagena:
«Pa-Pa-Pa-Pa-Papageno!».
Papageno:
«Sei ora
completamente mia?».
Papagena:
«Ora son
completamente tua!...».
La
portina si aprí, all'improvviso, e sulla soglia del palco
imperiale comparve l'imponente figura di sua eccellenza il gran
cancelliere di Stato, principe Wenzel Anton von Kaunitz-Reitberg.
L'uomo avanzò di
alcuni passi, si chinò a baciare la mano guantata che
l'imperatrice, volgendosi, gli porse. Poi, passò dietro le
poltrone e si spostò al lato del Kaiser. Abbassò il capo
ricoperto dalla candida parrucca nell'immancabile inchino, da chinato
si accostò a sua maestà, gli parlottò brevemente.
Subito il Kaiser si alzò dalla poltrona e, scusandosi con la
consorte e con gli altri presenti, precedette il gran cancelliere di
Stato, che gli cedette il passo, verso la portina («Sii dunque la
mia amata moglie!», esclamava con ardore Papageno, sul piccolo
palcoscenico di rimpetto; e Papagena, felice, gli rispondeva: «E
tu sii il colombino del mio cuore!...»).
Appena fuori dal palco,
mentre scendevano affiancati lo scalone che dal piano superiore
conduceva al foyer, il Kaiser si rivolse al suo primo ministro con voce
alquanto seccata: «Spero, caro Kaunitz, che quanto avete da
comunicarmi sia d'una urgenza e d'una gravità tali da
giustificarvi per avere importunato il vostro Kaiser al
Freihaustheater».
«Di un'urgenza e
d'una gravità estreme, maestà!», gli
confermò, serio e convinto, von Kaunitz. Il flaccido sottogola
gli ondeggiava ad ogni passo in discesa dei gradini.
«Me lo auguro per
voi. Altrimenti potrebbe costarvi – lo sapete, vero? – la
poltrona», si compiacque sua maestà.
Aggrottò la fronte
estesa ed ossuta, tipica degli Asburgo-Lorena; ebbe una smorfia delle
labbra allungate, che poi atteggiò ad un accenno di sorriso.
«Prima avrà
la compiacenza di ascoltare: dopo vostra maestà deciderà
se licenziare o ringraziare il cancelliere di Stato», gli
restituí un rispettoso sorriso von Kaunitz.
Giunsero nella saletta
riservata del foyer, si accomodarono sul divano di velluto granato. Fu
il Kaiser a prendere per primo la parola: «Allora, ditemi, caro
Kaunitz: pendo dalle vostre labbra», scherzò.
«Appresi, proprio
stasera, che Mozart è in fin di vita», scandí
lentamente l'altro, il viso corrucciato e la pappagorgia tremula, la
ruga piú incisa nel centro della fronte.
«Come, in fin di
vita?», sobbalzò sul divano sua maestà. «Se
tre sere or sono il maestro era a corte, a suonare fughe, a deliziare
me e la mia diletta consorte con i magici tocchi delle dita sulla
tastiera?», concluse quasi gridando.
«Purtroppo questa
è la notizia. E proviene da fonte sicura!», ribadí
il gran cancelliere di Stato, senza aggiungere altro.
«Chi sarebbe la
fonte?», chiese sua maestà.
Tirò il fiato
sfibratamente, come se fosse sfiancato da un'immensa stanchezza.
«Persona fededegna:
il dottor Thomas Franz Clossett, mio medico personale, maestà.
Egli si recò a visitare il maestro a domicilio nel primo
pomeriggio, su richiesta del barone Swieten», lo
ragguagliò il principe von Kaunitz.
«Allora, Swieten
è al corrente! Perché non mi ha informato?»,
replicò il Kaiser, veloce e secco.
Cominciava ad
innervosirsi. Il principe sapeva che, se perdeva le staffe, sua
maestà andava su tutte le furie ed era assai difficile chetarlo.
Si agitava, attaccava a sbraitare, a prendersela con tutti. Diventava
irragionevole.
«Con ogni
probabilità», si affrettò a puntualizzare, e gli
palpitò di nuovo il sottogola, «Swieten non era in grado
di valutare le condizioni di salute del beneamato maestro. Per questo
gli ha inviato il chirurgo Clossett, perché lo visitasse e
accertasse...».
«E che cosa ha
accertato codesto... come si chiama?...», parve calmarsi il
Kaiser.
Si aggiustò con la
mano il parrucchino. La fitta ragnatela di rughe del volto gli si era
imporporata dalla collera. E quel diffuso rossore sulle gote gli veniva
anche incupito dalle fiamme delle poche candele che davano luce al
salottino.
«Clossett,
maestà: Thomas Franz Clossett. Egli ha accertato, appunto, che
il maestro versa in fin di vita: che potrebbe spirare da un momento
all'altro», rispose, serafico e pacioso, il gran cancelliere di
Stato.
«Kaunitz, non
tergiversate!», si alzò in piedi sua maestà.
«Se il maestro è in fin di vita, un male l'avrà pur
colpito?», gli gridò. «Si può sapere, di
grazia, quale esso sia?», riabbassò il tono della voce.
«Bastonate, se ho
ben compreso, altezza!», si limitò il gran cancelliere di
Stato, pure lui balzato all'impiedi.
«Bastonate?»,
ripeté sua maestà, sbalordito.
«Bastonate»,
riconfermò e allargò le braccia in un gesto di sconforto
il gran cancelliere di Stato. Aggiunse: «Benché sia stato
alquanto evasivo – ha anche accennato a febbre assai alta, ad esantemi
diffusi, a varie dolorose enfiagioni...–, il medico ha lasciato
intendere che il maestro sia stato bastonato a morte da qualcuno di cui
lo stesso Mozart e la famiglia tacciono il nome. Se ne sconoscono, per
adesso, le ragioni».
«Se le sarà
andate a cercare: avrà scatenato l'ira di qualche padre o di
qualche marito geloso», commentò sua maestà:
«Egli vorrebbe possedere tutte le donne, come il suo Don
Giovanni. È un joueur che sempre si è fatto beffa di
tutti. Secondo voi, Swieten potrebbe riferirmi dettagli
sull'argomento?», gli domandò, infine, brusco.
«Non credo,
altezza», si dispiacque il gran cancelliere di Stato.
Il Kaiser guardò
per alcuni interminabili istanti il pavimento, come se cercasse fra le
punte delle proprie scarpe uno dei bottoni d'oro staccatoglisi dalla
giubba.
«Sempre
cosí! Ma che ministri ho? Ve ne sia uno che mai sappia
qualcosa...», sbottò e sorrise sarcastico. Risollevando
poi il capo a fissare negli occhi il principe, ordinò:
«Domattina vi attendo a Palazzo. Voi e il signor ministro
dell'istruzione. Alle dieci, va bene?».
Girò sui tacchi e,
mentre usciva nel foyer, brontolò: «Domani, quanto
è vero Iddio, qualcuno salterà!...».
Voce
recitante:
Ilvo Abate; Realizzazione
tecnica: Ugo Fiorina; Ideazione:
Sandro Montalto
Ascolta