Nonostante
si faccia gran parlare di spostamento del centro di gravità
culturale
dall'Europa, e ?dalla Fancia in particolare, al Nord America o dove che
sia, è già occorso, non solo a noi, di trovare il quadro
culturale parigino più che mai rappresentativo e completo nelle
sue componenti e negli esiti di queste, come negli elementi e negli
umori
in gioco, tutti profondamente motivati dalle contingenze storiche.
Ciò
naturalmente assai spesso a dispetto di quel che pretenderebbero
l'esportazione
della cultura e i mercati esportatori. Cosil altra volta individuammo,
nel filone dl’avanguardia culturale dal dopoguerra al '68, nel
movimento
lettrista una fase fondamentale per la evoluzione delle idee e dei
fatti
che sfociarono poi nella gesta del maggio 1968. Un sommario esame circa
le origini e le idee del movimento lettrista ci pare idoneo a meglio
indicare
su quali direttrici si mossero quelle idee ed i fatti che abbiamo detto.
Il manifesto
della poesia lettrista porta la data del 1942. In esso si dice: anche
se
uno non abbia partorito un'idea, può ugualmente considerarla sua
dal momento in cui la fa credere e l'adotta. Designare un'idea col nome
del suo autore è più obiettivo che enunciarla attraverso
le parole, dal momento che un'idea è di quelle cose che esistono
solo in virtù del proprio nome. Intanto consideriamo che tra
sentire
e dire non esiste assolutamente coincidenza. Il dire è
stereotipo
perché designa l'incognito mediante il sempre, cioè
l'usuale
e il cognito: la parola è solo approssimazione e non esprime
mai.
Non s'è mai data parola veicolante gli impulsi che si vorrebbe
farle
trasmettere, poiché la rigidezza delle forme inibisce ogni
potere
di trasmissione. La parola comporta l'abolizione di ogni differenza
psichica
ed obbliga all',espansione in formula uguale. Essa spezza il nostro
ritmo,
uccide la sensibilità, rende uniforme ogni ispirazione, distorce
le tensioni, rende inutile l'esaltazione, crea l'urbanità,
inventa
i diplomatici, pone analogie al posto di emissioni veraci; essa
distrugge
le sinuosità e nasce dal bisogno di de/ limitare. La parola
aiuta
i vecchia ricordare e costringe i giovani a dimenticare: ogni vittoria
della gioventù, infatti, è sempre stata una vittoria
contro
le parole, perché le parole, come la buona educazione,
s'imparano,
e più di un idiota è riuscito ad imporsi alla
società
con tali mezzi. La parola riesce sempre l'opposto di ciò cui si
pretende identica. Essa è il principio del balbettamento e
costringe
gli uomini a copiare da un modello, come bambini. La parola livella e
non
contiene plusvalore. Cosi le sensazioni senza parole corrispondenti nel
dizionario scompaiono, come ogni anno scompaiono migliaia di
sensibilità
inespresse. Preferiamo indossare il vestito cencioso delle parole, su
cui
ormai non vi sono rammendi che reggano, nel momento stesso in cui le
cose,ed
i nonnulla da comunicare si fanno più imperiosi di giorno in
giorno.
E' considerevole la nauseata saturazione dei poeti nei confronti delle
parole: essi soffrono direttamente tale situazione perché le
parole
restano la loro ragion d'~essere. Ora, un superamento della parola
è
possibile, se davvero si vuole una trasmissione d'impulsi senza
dispersione.
Un verbo è offerto, uguale a uno choc. Comincia la distruzione
delle
parole a vantaggio delle lettere: la lettera è la soluzione del
problema parola = rinuncia, purché appaia chiaro che le lettere
hanno destinazione diversa da quella di elementi della parola
esistente.
Quelli che non possono rinunciare alle parole ci restino pure in mezzo.
Quelli che vi rinunciano, non hanno che da prendere tutte le lettere e
da accomodarle fluttuanti come sono in un ordine più denso, tale
da rendere comprensibil e palpabile l'incomprensibile ed il vago,
concreto
il silenzio, scritto il nulla (Palpez l'air ou le vide, inventez une
matière
neuve inexistante ? I. Isou, Précisions sur ma poésie et
moi, Lusanne, 1950); se tutto ciò è proprio del poeta,
costui
lo realizzerà nel lettrismo. Non si tratterà in nessun
caso
di una nuova scuola poetica: per il momento è un'attitudine
solitaria
per cui Isidore Isou richiama l'attenzione sulla propria esistenza e
l'idea
porta il suo nome in attesa che altri se ne appropri, fino alla
‘valanga
lettrista’, il cui annuncio chiude il Manifesto.
Del resto,
le parole senza senso, le onomatopee, le parole dal significato non
conosciuto
costituiscono da sempre i germi del lettrismo. Opere interamente
composte
di analogo materiale, ma realizzate in base a proprie leggi e stile
saranno
le opere lettriste, il cui nome ormai esiste al pari del loro buon
diritto
di affermarsi. Rinunciamo per il momento ad occuparci del pittoresco
dal
cui seme prende vita il movimento lettrista per soffermarci sulle idee
fondamentali, sul punto di arrivo,e su alcuni corollari,che possono
desumersi
dalla stessa esposizione del Manifesto che abbiamo fatto.
Una prima
idea è quella per la quale la lingua è considerata inerte
deposito di parole prodottesi in forza di determinati usi, per cui
attingere
a tale deposito significa tradurre e non esprimere. E' della lingua
come
delle belle maniere: essa risulta l'equivalente dell'ordine sociale
esistente
e, come le belle maniere, s'impara, sacrificando ad essa (cioè
all'esistente)
tutto l'inespresso che essa non può comprendere. Rileviamo
poi l'importante
constatazione che di tale situazione soffrono in particolare i poeti,
come
quelli direttamente colpiti, al punto che annualmente è
impossibile
calcolare il numero delle sensibilità inespresse che
irrimediabilmente
vanno perdute. Finalmente l'identificazione isouiana della potenza
poetica
con la giovinezza, perfettamente sovrapposte nella lotta contro la
stereotipia
della civiltà fondata sulla parola, ci appare l'intuizione
più
profonda e più suscettibile di sviluppi. Ma Isou indica anche
quella
che gli appare come la soluzione idonea al superamento di tale stato di
cose. Egli sostiene che la lettera ha una destinazíone diversa
da
quella per cui la si pretende esclusivamente funzionale alla parola.
Le lettere
dovranno servire alla creazione di ritmi letterici tali da risuscitare
il caos nell'ordine che al poeta sembri più opportuno. E' il
caso
classico del rimedio da sempre a portata di mano; meglio ancora, noi
cercavamo
gli occhiali che avevamo sulla punta del naso.
Sta di fatto
che il lettrismo propugna e pratica la creazione di particelle sonore
(lettere
o fonemi), che possono essere eseguite par Romme avee le corps (Isou),
considerato come strumento. Materiale e campo d'azione del lettrismo
è
dunque la lettera variamente organizzabile e combinabile in contesti di
portata amplica, propria cioè di una fase della poesia nella
quale
questa tende al maestoso e al retorico, al narrativo e descrittivo,
valendosi
di fatti a lei esterni come il soggetto e l'aneddoto. Questa fase si
contrappone
a quella cesellatrice, cui la poesia si ridusse da Baudelaire in poi,
tale
permanendo fino a lui, Isou, il quale, grazie alla nuova
materialità
da lui recuperata alla poesia, fa ritornare alla fase amplica.
In verità
Isou precisa che il lettrismo non è una lingua né un
linguaggio
perché, pur ordinando in gruppo le lettere, non dà ad
esse
alcun significato noto, negando così a tale organizzazione ogni
potere di astrazione utilizzabile e sfruttabile. Il lettrismo non
è
neppure poesia, dal momento che prescinde dal senso abituale
tradizionalmente
attribuito alla poesia, cosi come esso non è neppure musica,
visto
che la recitante voce lettrista deve mantenersi su di una linea
melodica
sì, ma uniforme e monotona. Isou è dell'avviso che il
lettrismo
sia piuttosto una fede (e vedremo subito il perché di siffatto
termine)
nell'in sé, propria dell'essere intieramente preso come
strumento
della propria soggettività, inteso alla liberazione di questa.
Isou, il
quale come abbiamo visto progettava questo programma fin dal 1942, non
a torto considera come suoi immediati antecedenti Hugo Ball, che nel
febbraio
1916 fondava a Zurigo il Cabaret Voltaire, ed Artaud, che nel 1934
sulla
base di un'idea che s'era fatto della consunzione della lingua, aveva
scritto,
« dans une langue qui n'était pas le frangais mai que tout
le monde pouvait lire, à quelque nationalité qu'il
appartint
», il libro Lettura d’Eprahi Talli Tetr Fendi Photia o Fotre
Indi.
Sta di fatto, però, che se il lettrismo appare come il risultato
più vistoso dell'opera isouiana (il lettrismo in campo
poetico?musicale,
approfondito dall'esplorazione della gamma sonora e dalla surtenzione,
dall'estapeirismo o estetica dell'indeterminato, del minuto e del
silenzio,
dall'estetica meccanica e dei rumori, dall'afonismo; dell'ipergrafia
nel
romanzo, pittura e scultura; dal cinema e dal teatro diversificanti;
dall'economia
nucleare, che nella sollevazione giovanile, cioè degli esclusi
da
sempre dall'economia, vede il capovolgimento dei principi tradizionali
di essa; dalla filosofia e dalle scienze psichiatriche e psicologiche
nel
loro insieme o psicokladologia; dalle iperleggi generali della
creatica)
in esso va ancora una volta ravvisata la non taciuta meta della pratica
indistinzione delle arti sotto le citate iperleggi della creatica,
così
come dalla concezione del corpo umano?strumento di codesta fede
estetica,
non meno che dalla stessa aberrante ideologia isouiana scaturisce nel
particolare
sentimento del corpo presente nei testi anche teorici dei lettristi, il
cui movimento, anche a tener conto delle scissioni e delle scomuniche
reciproche
non può essere definito come setta. Stesso discorso va fatto per
il sentimento millenaristico che accomuna la prospettiva escatologica
di
molti lettristi.
Di tutta
l'attività che abbiamo detto si parla, da parte di alcuni
lettristi
in vena di ortodossia, di Tnovimento isouiano, ma più in
generale
da parte lettrista, si preferisce parlare di organizzazione intesa a
formare
i creatori nelle varie discipline (estetiche e scientifiche) al fine di
determinare nell'insieme del sapere un « salto moltiplicatore di
ricchezze » sotto regole generali di lavoro in vista di un
«reale
compimento personale ». Come pure è occorso di accennare
più
volte fin qui, esiste un più profondo, se possibile, retroterra
culturale ed ideologico all'origine di tanta aspirazione
all'universalità,
al quale vorremmo brevemente accennare, a patto che si tenga ben
presente,
anche a titolo di nostra personale riserva, « qu'un
détestable
ésprit de serieux fait souvent sombrer dans le comique
involontaire
» Isidore Isou (Dufrène). E' nella personalità di
costui,
infatti, e nelle sue idee di partenza (e permanenti) che stiamo per
mettere
le mani. Nel quadro della letteratura francese, il meteco Isou (di
origini
carpatiche) sente la necessità di premettere che (« que
les
autres peuples ne protestent pas! ») « méme si le
poète
n'a pas été frangais / c'est la France qui l'a rendu
universel..
(... les poètes éstrangers ont dú passer par
filière
francaise pour arriver » ? Introcluetion à une nouvelle
poèsie
et une nouvelle musique, Gallimard, 1947).
Indipendentemente
dal fatto che questa ed altre numerose persuasioni isouiane (linguaggio
compreso) rientrano a pieno diritto nel bagaglio di certa mitologia
borghese,
sta di fatto che tale ideologia, specialmente nell'opera autobiografica
L’Aqrégation d'un nom et d'un messie (roman, Gallimard, 1947)
(ma
ne sappiamo orinai abbastanza per considerare quanto l'autobiografia
isouiana.
si sovrapponga all'attività pratica) risulta nutrita e
sostanziata
di un vero e proprio delirio megalomane di origine assai dubbia, il
quale
a sua volta, sulla base della nascita ebrea di Isou, si orienta alla
costruzione
teorica di un non meno delirante sionismo a prospettiva universale, del
quale egli stesso si proclama messia. Ora, secondo le nostre lacunose
informazioni
al riguardo pare che l'ultimo esponente di tale illustre serie storica,
morisse musulmano ad Adrianopoli intorno al 1670.
Non riteniamo
che aver fondato il lettrismo ed aver dedicato ad esso l'esistenza (sia
pure concependolo come il nucleo di un verbo giudaico cui, senza troppe
contraddizioni, per giunta, si sommò l'entusiasmo per Stalin e
lo
schierarsi dalla parte del comunismo) sia sufficiente a ridare credito
alla professione di messia. Pare ad Isou che, una volta realizzata la
rivoluzione
comunista, che egli considera già fatto squisitamente giudaico,
il mondo sarà pronto per la realizzazione del giudaismo
universale,
unica « base croyable de tout un passé de
révolutions
et d'accomplissements organiques, éternels ... », non
essendo
altro il giudaismo che « invitation à la Vie, à la
Réussite, au Bonheur ». « Ainsi le judaisme
s'imposera
naturellement ? à la France et au monde ? comme un bien entendu
fondamental de la conscience, comme une dernière courbe de
l'accomplissement.
Et le règne des Juifs, de tous les. hommes devenus Juifs, se
réalisera,
selon les anciennes prescriptions purifiées, comme un art
réel,
concret » (p. 428).
Non ometteremo
di rilevare che questo libro di Isou sembra fatto apposta per spiegare
tutte le più lugubri fantasie della pubblicistica antisemita,
fino
alle Bagatelles pour un massacre. E, ciononostante, rimaniamo
dell'avviso
che le idee di Isou, nel loro insieme, restano cosa troppo ricca e
complessa
per poterla relegare senza appello nel dominio della paranoia
megalomane.
Riteniamo, insomma, che anche a voler severamente giudicare il
lettrisino
come privo di risultati cospicui e troppo preoccupato di estendere la
propria
area di competenza attraverso la costruzione di fragili strutture dalle
strane denominazioni ? e ciò in definitiva non è vero,
parendoci
invece cospicuo il corpus lettrista a tutt'oggi prodotto: si pensi ad
Isou,
Spacagna, Lemaitre, a Chopin, Dufréne, Heidsieck, ad Altman ?
rimarrebbero
pur sempre i postulati critici del manifesto, citato all'inizio del
presente
articolo, i quali, in tutto o in parte, attraverso Debord e compagni,
passarono
al movimento situazionista e si coneretizzarono nel maggio 1968.
(1974) L.
Caruso - S. M. Martini