Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Rino Mele: L'incendio immaginato
di Antonio Spagnuolo



Rino Mele, L'incendio immaginato
Edizioni 10/7, pagg.48, 2000, L. 9.000

Anche se in quarta di copertina viene sottolineata la rivisitazione in chiave poetica della vita,
o parte di essa, di Giordano Bruno, la metafora che sottende tutta la tessitura del poemetto risulta
di una intensità tale, che il racconto del vissuto si confonde egregiamente con la frequentazione del pathos,
traendo spunti di pregevole freschezza recitativa.
La voce narrante, la voce del poeta, diviene tutt'uno con la personalità del filosofo, a raffigurare l'uso
teoricamente impuro del primo significante (il potere) contro l'agilità della leggenda, che intorno al rogo
si è creata attraverso i secoli.
Le forme verbali, gli aggettivi, gli avverbi, sono una sorta di sinestesia personale, che conferisce al discorso lirico
la ambigua possibilità di spostamenti attraverso il tempo storico, dove l'attrattiva del folclore propone
l'improvvisa irresistibile pulsione creativa.
"I ciechi vedono/ come i falchi accecati / per invidia" (pag. 14) e "il pane che si transustanzia , l'aria/ è fredda,
il rigor della fiamma, vede un fanciullo nudo acceso" (pag. 14) sono dei rapidi esempi di cimbalo che risuona
come un corallo nella ritmica sfrenatezza  che la memoria nutre  ed alterna.
"La neve è una parete, le mrosse, / un mare bianco senza onde, le ombre/ dei cacciatori nascoste come
i rumori, il sonno/ attraversato dal grido di pernice ferita/ grigia e oro" (pag 29)
Di Giordano Bruno credo (o spero) che tutti conoscano qualche notizia biografica, perchè qui non si vuole fare storia,
nè tantomeno si vuole riaccendere un "processo", che verie volte è stato  criticato .
Il dettato poetico accenna a ben altro: la luce di un intelletto incompreso e duramente provato, lo specchio
di un abbaglio (e quanti ne furono concepiti) del famoso inquisitore, le incredibili e pur possibili immaginazioni oniriche
o inconsce di un uomo destinato al rogo, la figura emblematica di un martire/non martire, e via di seguito, tra verso
e verso ad accenni di vita familiare :"A Venezia,/ Jacopo, il figlio del Tintore, su una  tela/ di venti metri poneva
il Paradiso nella Sala/ Maggiore del Palazzo Ducale. Gli chiese/ di quell'infinito stare dei corpi/ senza corpo, bianchi
di luce lavata/ di troppa acqua..." (pag.29)
Rino Mele non ama il paradosso, ma con eleganza offre in queste pagine - arricchite con estro e genialità dalle tavole
in bianco e nero di Gelsomino D'Ambrosio - la prova di una difficile sperimentazione, che ingabbia il lessico nella formula
più libera di un racconto ritmato dalla poesia, dove i versi ruotano con agilità attorno ad un nucleo di ricchezza concettuale,
di  collegamenti, che rendono compatto ed efficace il messaggio, attraversato da suggestioni ed evocazioni
senza limiti o vincoli.


Indice recensioni e note critiche
La realizzazione informatica della rivista è curata da Dedalus srl
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


Per informazioni, si prega contattare:
Emilio Piccolo e/o Antonio Spagnuolo