Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Paolo Valesio, Piazza delle preghiere massacrate
di Antonio Spagnuolo


Paolo Valesio, Piazza delle preghiere massacrate
Ed. di Laboratorio, 1999, pagg. 120, L.20.000

Attraverso la lente che scruta con accortezza le tantissime ombre della coscienza,
pronta a verificare quel ricco giacimento di valori, diversi fra loro, ma testimoni attivi
della società che ci circonda, pur trasfigurata da una zavorra massimediale, Valesio riesce
a rafforzare quei legami che nascono dagli obblighi sociali rivitalizzando l’ossatura comunitaria
e cercando di rimanere osservatore prudente di tutti quegli interrogativi che potrebbero,
o meglio che riescono a traumatizzare l’uomo comune.
Il dono della poesia è proprio questo, in ogni autore che si rispetti: rimaneggiare ogni cellula
del pilastro culturale, cellula di base degli organismi più complessi e dialettici,  per condurre
senza colpo ferire ad una percezione che sia altra, o che per lo meno sia al di fuori
della comune sensibilità.

“Come l’ancella di Abramo
fra i due colli correva
in disperata incertitudine
cercando una fonte
nella deserta vallata e rischiava
che il bambino al suo seno aggrappato
morisse assetato.
 Così tu corri  fra due modi d’essere
e aguzzi, sentinella del tramonto,
lo sguardo, ma ancora non vedi
con gli occhi futuribili la bava di lumaca
che lascerai sul viso della terra
nel momento in cui ne disparirai…” (pag.42)

Ogni fibra del linguaggio poetico, che qui si distende verso l’ombra maldestra della travagliata
conclusione terrena, introduce, con equilibrata maestria, alle figurazioni oniriche che ci opprimono
senza intaccare il segreto della nostra psiche, nel fascino del rapporto straordinario fra immaginario
e cosciente, fra  traccia del non detto e segno del dicibile, apparentemente fortunata incarnazione
di un sogno che, nel mentre cerca di mettere a tacere le varie partiture della vanità e della vacuità,
congela le visioni e quelle azioni che risuonano trionfalmente nella vita quotidiana.

Maurizio Cucchi nella prefazione, ripetendo alcuni versi

“Ma sono tutti modi per tentare
di non udir la voce di una bocca
che non appena si apre
viene invasa di terra
(così che il suono di lei
è morbido e grigio e sfacente):
è la voce di Dio l’inevitabile
il cui ricordo per noi
è che la vita umana
è atrocemente strana”. (pag.92)

conclude: “Quest’asprezza drammatica è ciò che più mi ha coinvolto nella lettura delle poesie
religiose di P. Valesio. Il quale, pur nella sua sapienza di letterato e artefice, ha il merito e il coraggio
di non attenuare mai, di non addolcire. Porta tendenzialmente la sua voce al grido e all’esasperazione,
cerca insomma di bucare la pagina. In un libro così particolare, dalla fisionomia così decisa, ci riesce
spesso, producendo emozione, comunicandoci il senso di un’esperienza potente nelle sue vive
accensioni liriche”.
Ma il suo non è un grido interamente modulato sulle lunghezze del tempo e della disperazione,
è il battito percussivo dettato dalla forza psichica che sconvolge e coinvolge ogni essere umano
che senta il bisogno di dirimere il dubbio ancestrale, che nessuna forma può contenere e che qualsiasi
realtà lascia irrisolta, spesso nelle contraddizioni, ancor più spesso nella formulazione sempre più
complessa dell’interrogativo.

 “Dopo la Resurrezione
il mondo è invaso dalla confusione
e le umane vite son corse
che si intercrociano
frenetiche e contraddittorie:
vi è ancor chi muore dopo aver vissuto
ma adesso vi è anche
chi prima di vivere muore
e chi soltanto dopo morto vive.
Saltando e risaltando oltre il confine,
cavallette  della vita attiva,
tentiamo di trascendere la morte;
ed il sublime genera commedia.
Ma dall’ humus  dei campi del disordine
virtuosa pianta germoglia:
la compassione.”  (pag.101)

L’unico strumento capace di risvegliare, con una certa fatica, fra le carte e gli appunti rimescolati
in piacevole disordine, resta quella reticenza al mondo che,  scivolando alle spalle di ciascuno di noi,
sviluppa una visione alternativa, al di là delle esperienze e decisiva per comprendere ed apprezzare
l’importanza dei valori spirituali, dico quelli umanistici rispetto a quelli materiali, trasferendo decisamente
la coinvolgente tradizione verso un interrogativo che possa non disturbare ma inventare le inquietanti temerarietà, senza tener conto di ciò che non si comprende dell’attuale destino.
La nudità delle convinzioni non è soltanto la maschera dietro la quale ci nascondiamo per un gioco ironico
delle diatribe o delle dialettiche, ma è gioco di abilità dell’inconscio che riesce a confutare senza alcuna
difficoltà il gusto del paradosso.Gli scarti forniscono spesso i tasselli di una poesia che stabilisce termini
musicali con continuità traboccante, nel tentativo di riprodurre il movimento del corpo e del pensiero
all’unisono con la sommessa preghiera, non ben definita come tale, bensì accennata come necessità intima
di colloquio.
Colloquio con se stesso: funzione arginante il disorientamento che le immagini divine o religiose
fermentano in flussi vorticosi.
Colloquio con l’altro, come nella realtà pensata in misura spazio temporale fuori del presente
in quell’assoluto universale, che soltanto il preconscio riesce ad apprezzare.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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