Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Rossella Fusco: Principe delle fiabe
di Antonio Spagnuolo


Rossella Fusco, Principe delle fiabe,ed. Fermenti, 2000, pagg. 62, L. 18.000

“Fui gatta e gazzella nelle mie vite
precedenti, sappilo. Ho ancora
sulla pelle l’odore selvatico,
addosso ho ancora il destino di femmina
braccata, dentro gli occhi le dolcezze
e fughe d’orizzonti. Abbracciata
al freddo io ho vissuto, rintanata
tra rocce e rocce di un’antica tana,
tra sassi stracci e cocci di comete.
Solo la mia lingua a leccare dolce
la ferita. Oggi vesto parole
e con te posso immaginare i rossi
d’un’alba boreale. Nelle vite
che viviamo con tenera ossessione
sempre mi hai cercata, delineando
in ogni donna che toccavi il volto
mio ancora sconosciuto perché
sciogliessi nell’inverno i miei capelli
e ti tenessi caldo. Mi hai trovata
in una fitta rete imprigionata
con le tue carezze sciogli il tepore
delle alghe del mio profondo mare.”  (pag.47)
La sensualità impressa nel luogo della poesia nuovamente distingue, con un carattere pregnante
e personale, le pagine che  Rossella Fusco scrive quasi inebriata ancora dai suggerimenti del subconscio.
Se Plinio Perilli sottolinea nella prefazione , da par suo, le peculiarità che appartengono alla prima parte
del volume, nella quale il quasi diario di una giovane madre  diviene policroma proposta poetica intorno
ad Alessandro : “ qui il figlioletto – quasi il Gesù bambino di madonna Rossella – già naviga, certo
inconsapevole, nel mare magnum delle implicazioni  psicoanalitiche, felicemente orchestrata e anzi ricamata
è la tessitura, il contrappunto, la componente onirico fiabesca, che giunge con profitto sino ad una fascinosa
e volitiva liricizzazione, diciamo così, di quella ludoterapia cara a Melanie Klein, Luisa Duss e Luis Corman.”
Da altro versante la seconda parte del volume non ha tempo per dimenticare il giorno, quando nella penombra riaffiorano le più calde sensazioni della pelle e degli umori:

“Anni teneri vissi con la morte
amica legata ad un ipotetico
salto in vuoto senza gravità,
Lei
fedele  a letto tra orgasmo e dolore
puntuale in ogni uomo incontrato.
Respirai sull’orlo del precipizio.

Tu non hai ignorato l’umore mio
mughetto di sottobosco e le labbra
rosse t’ hanno incatenato, eppure
le dita tue hanno estratto veleno
da radici di vit’amare. Cigno
nero abbandono putrido lo stagno
di lucido volo assetato e volo.”  (pag. 41)

Le forme, in un mondo di rumori e di grida, appaiono quasi avulse  dal tocco del reale, sospese
nell’atto di transito fra gli episodi raccontati, che sono stralci di tentazioni e di rappresentazioni,
di sussurri e desideri,  e la necessità di staccarsi con ogni sforzo dai luoghi comuni o dagli stilemi
di facili ammiccamenti.
Ecco la donna-femmina rosicchiare ogni pagina per dire di se e dell’amore, per urlare ogni luce
che sia in movimento, e per sottolineare la forza della voce narrante con una maestria
degna di ogni attenzione.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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