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Poetry Wave

Recensioni e note critiche
 

Marco Palladini, La vita non è elegante
di Raffaele Piazza

Marco Palladini, La vita non è elegante
Fermenti, Roma 2002, pagg. 80, €7.75

Satire, Agoni, Scenari e Agonie, è il sottotitolo usato da Marco Palladini per questa raccolta, sottotitolo che bene fa capire gli intendimenti di questo poeta romano che non a caso cita in apertura insieme a Rilke e Leopardi, il grande Pasolini:-“perché io sanguino/ dal cazzo e dal cuore,/ mentre voi/ appartenete alla specie/ di quelli che se ne stanno/ sotto la croce./ . Il testo, scandito in tre sezioni, è caratterizzato dagli eroici furori, di un uomo e poeta in stabile tensione verso tutto il mondo circostante, ribelle per natura, iconoclasta delle immagini di questo postmoderno occidentale, del consumismo, della pubblicità, dei media, un grido forte e acuto di chi si defila dagli infidi miti del 2002, dalle pubblicità che s’incontrano di oggetti costosissimi anche su rotocalchi della sinistra politica italiana, ed è alla ricerca dell’essenza, di qualcosa che manca a noi tutti, la poesia stessa, come già avvertiva lo stesso Pasolini, profeticamente, in tempi dal costume molto diverso.

Antilirico per eccellenza, Palladini imprime ai suoi versi un’energia vibrante e ossessiva e, come giustamente afferma Eraldo Affinati nella quarta di copertina,:- …questo artista così intimamente gestuale, tra Victor Cavallo e Mike Tison, appare legato allo stesso medesimo modo del condannato al cappio: la sua voce, nascendo solo in mezzo ai vermi dei nostri frantumi, risulterebbe inconcepibile altrove. Quello che, a prima vista, sembra l’estremo canto di un paranoico romanesco poliglotta, si rivela, a conti fatti, una delle più intransigenti requisitorie contemporanee, col sentimento tragico di uno Sturm und Drang, attualizzato, un’esperienza accostabile, per altro, a quella della scapigliatura. La metafora usata da Affinati dell’uomo-poeta condannato al cappio, indica un momento ontologico fondamentale, per dirla in termini heidegeriani, quello dell’attimo, della feritoia tra due momenti, quello dell’esserci e del non esserci, della vita e della morte: è proprio qui che si gioca la partita, metafisicamente, nonostante la brutalità e la stessa icasticità di questa poesia, è qui, in questo varco, che si esprime la poetica di Palladini.

Per esemplificare, leggiamo il componimento Entropia anno 2000 che apre la prima sezione di un libro in se stesso unitario:-“ 1 Merce-feticcio il tempo che svaria da un fuso orario all’altro/ per finissime teste e ‘ minchia che svoltano/ il Millennium Novum che non è/ Duemila auguri di auguri malaugurati/ E a Capodanno non fate danni! Urlano i profeti allibiti chierici sempre inascoltati/ Dalla Plaka du Peuple non si entra né si esce/ prigionieri della rissa/ Nell’ingorgo dei gorgheggi di spaghettari canzonettisti alla chitarra// acchiappanuvole & quattrini dal palco all’irrealtà/ Duemila anni di stronzate e di stragi e di guai/ concentrati nei Gulager dove ogni volta la realtà soccombe al mito/ Perché malotiche leggende scorrazzano e dirazzano/ nella notte di una Roma Giubilea che ha ben poco da giubilare/ La Roma del borghese disonesto/ Roma generosa ingenerosa scorreggiona:/ . 

Si sente in questi versi, e non potrebbe essere altrimenti, un amore-odio per Roma caput-mundi, città che non lascia indifferente nessun visitatore o abitante del luogo: un gioco di parole spesso triviale, volgare, viscerale, un tono forzatamente basso, istintivo e che riflette le caratteristiche di una poetica che è senz’altro connotata da una forte cifra di originalità.

C’è anche Dio, in questa poesia, e viene citato anche il papa: l’irriverenza verso il tema religioso è palese ed è ovvio pensare che empaticamente e in maniera terrestre, il poeta sia stato influenzato dalla collocazione geografica del Vaticano, presenza forte a Roma anche per i non credenti:-“2 Dio da nulla sei come una bolla speculativa alla Borsa del cielo/ Il papa non muore e non vive/ ride, ride e benedice i viziati piccini e i centoCiellini/ La muerte ex la fiesta de l’alma adverte el Inquiridor/ la festa Duemila implode a bòtte di bòtti (illegali, of course)/. La furbizia del mendicante uccella/ i mocciosi che hanno una sfortuna sfacciata…”Duemila le do ar posteggiatore abusivo/ e scoccato er Dumila abbuso pure de la fija de mi ‘ moje”. Palladini usa anche un impasto linguistico tra italiano, romanesco e altre lingue: senza cadute, nel ritmo vitalistico di questa poesia dove è spesso evidente il senso del nuovo Millennio che incombe: ironia, sarcasmo satira, tanto cuore, tutto espresso in una forma che contiene lo slancio, l’accumulo che può lasciare un critico perplesso ad un primo approccio, ma poi si sente davvero l’atmosfera di chi è realmente stato a Roma, città unica al mondo. Palladini sembra lottare contro tutti e tutti e la sua umanità, quando parla di barboni o extracomunitari, è forte, se, come dice Mario Luzi, la poesia è alla struttura delle cose che trova il suo etimo, la sua verità: Ho un presente nonché un passato/extraparlamentare/ posso pure non disprezzare/ coloro che vogliono dare la caccia/ e non la paga agli extracomunitari? E poi chi sono questi eurocomunitari/ meramente uniti da extradialettici,/ strombazzanti patti monetari/ per se credenti e presunti tutti/ re di denari? 

Tra anarchia, caos, dissacrazione, si emerge felici e amaramente divertiti da queste pagine che piacerebbero di certo a Trilussa.
 

3 febbraio 2003 Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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