Vico Acitillo 124
Poetry Wave
 

Recensioni e note critiche
Marco Giovenale: Wintertraum
di Sandro Montalto


Marco Giovenale, Wintertraum
Edizioni di Negativo, Roma 1999

Pregevolissimo volumetto, questo Wintertraum. Si apre con una bella citazione da Beckett ("seule certitude la brume"), chissà che l'autore non sia uno dei pochi che hanno veramente letto e amato il genio irlandese, ed esordisce con una bella poesia che in effetti richiama, metabolizzato, il passo di certe poesie o di certi frammenti di monologo beckettiani: "nebbia al sommo: / il mondo non esiste. // Dal binario proprio / morto / cala un filo di guasto / ramato". Segue la sezione Giovenale all'ospedale, sezione serissima dal titolo scherzoso e allusivo alla riduzione e alla mortificazione che aleggiano su questa poesia, atteggiamento che richiama proprio il beckettiano Watt dell'omonimo romanzo, o forse ancora di più Murphy e certe ultime, estreme prose: "troppi minuti - minimi - calici / pianisti, ossicini per / bene articolanti che smielano mattino / uscendo ingenui dalla / radio". Ma non vorremmo che il devastante irlandese monopolizzasse questo libro, che a tutti gli effetti è proprio di Giovenale: si legga ad esempio questo stralcio di condanna: ""Tra la gente" questa è / pari a Regola / fra minoriti"; o questo passo con la sua bella inversione latina: "ernia, catarro, clistere / ed altri nomi, i più diversi e strani / - a chi qui li mastica - / ad aspera per vetera / conducono". 

Segue una serie di poesie sempre vive ed intelligenti talvolta degne di un mondo orwelliano, ricche di invenzioni sia foniche che sinestetiche, dotate di una notevole musicalità e mai ripetitive o scontate, per non parlare dello studiatissimo e lapidario enjambement: "raschia sul velo antracite il / dito mozzo della statua. / […] ciascun cittadino carriera / farà, chiodato al tulle dei sogni"; "non si sente niente, una cerata tesa / di ghiaia va a palude, color rame"; "la violinista / sorda da un occhio / danza la neve - e / niente da bere"; "ripetono gli altoparlanti / di mantenere la calma e che / nuotiamo in una vacca sana". Talvolta compare un più chiaro sussulto di indignazione, ad esempio quello sacrosanto contro gli "enzimi anziani, i padri / esimii della polta patria", o contro le virtualità della "Lesbo di vetro-telecamera / [dove] ieri notte / a sovraimpressioni / due femmine corporative / si vellicavano a vicenda / i grilli e le tonde cadenti", o ancora contro gli "uteri utenti", simboli naturalmente scevri di bigotteria ma significanti un dilagante imputtanimento soprattutto intellettuale, una terrificante consacrazione generale al "porco contesto". 

Insomma Giovenale esorta, domanda senza punti interrogativi, resiste e crea una lingua poetica che funge proprio da corazza trasparente, che resiste al niente dilagante con potenza ma non impedisce nemmeno per un attimo la visione del mondo circostante. Questo sogno invernale ha scelto di incidere i suoi significati con l'unghia sul ghiaccio, incisione forse labile (come tutto l'umano) ma portatrice di un brivido di risveglio fondamentale. 

Non si può tacere che il volumetto è seguito da un ampio ed approfondito saggio di Raffaello Bisso, tutto da leggere.

«Hebenon» anno VII seconda serie n. 9-10, aprile-ottobre 2002, pp. 219-222


16 giugno 2002

Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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