Vico Acitillo 124
Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Hassan Abbas, Emilio Piccolo, Pietro P. Daniele, Otto Anders
di Sandro Montalto



Hassan Abbas, Lettere ai figli, Dedalus, Napoli 1998
Emilio Piccolo, Poesia, Dedalus, Napoli 1998
Pietro P. Daniele - Emilio Piccolo, Les arrangements, Dedalus, Napoli 1998 Otto Anders, Poesie a Tiù, Dedalus, Napoli 1998

«Hebenon», anno VI nn. 7-8, aprile-ottobre 2001  

Abbas, alternativo, più affascinante Luther Blissett, è, come recita il risvolto di copertina, «non-nome collettivo e smembrato nelle sue unità significanti base, ricomposto come simurg della tradizione Sufi [...]. Non ha una storia personale, un volto, non ha forma, se non le mille forme della scrittura». Queso libro ci propone tre “lettere” nelle quali Abbas si esibisce nella sua particolare scrittura: una forma-saggio che si stempera (o si addensa?) in prosa poetica; un dettato che onnivoramente si nutre delle più diverse fonti e forme dello scibile per poi ottenerne un prodotto in cui tutto è sapientemente mescolato, o meglio moltiplicato. In due righe o in una fulminante metafora l’autore restituisce suggestioni mascherate o palesi che vanno dagli scacchi ai quark, da Newton e Platone, dalla geometria piana ai sogni (sia il loro intermediario Carroll, Chuang-tzé o Borges), da Benjamin a La Mettrie, dal comunismo alla cosiddetta saggezza popolare, all’arte. «E allora dobbiamo negare ad ogni forma di razionalismo, soprattutto a quella che si compiace di fughe verso l’altro, l’unità tra il momento teorico e il fare, considerato che ciò che è in gioco è la radicale riformulazione della vita (e del mondo), cui l’individuo deve, in ogni momento, dare risposta. E affermare invece la necessaria compresenza (e irrilevanza) dei fattori socioculturali: l’amore spontaneo per la natura, il rispetto per l’eresia letteraria, la diffusione del culto di Osiride, il reciproco sospetto dei due popoli, la giustificazione di dio e la sua condizione di unico erede del dissolto impero d’occidente». Interpolazione ed elencazione convivono, a tratti in un’abbondanza labirintica che porta la forma ad accartocciarsi ad esempio in parti tautogrammatiche. 

Tutto questo e molto altro, tutto in diciassette pagine lievi, musicali, affascinanti. Diciassette pagine in cui si sperimentano i confini del mondo, forse consapevoli del fatto che «andare tutti insieme ad un medesimo luogo mostra che non si va da nessuna parte e questo è il destino di chi viaggia», ma anche che «le grandi passioni sono inutili, amano la moda, anche se poi ognuno ha la sua arte, le sue passioni e quel che viene, viene». 

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L’apoteosi della tecnica di citazione/deformazione - che nelle sue diverse forme è tecnica caratteristica dei volumetti qui discussi - si ha nel poemetto significativamente intitolato Poesia. Esso nasconde una quantità impressionante di citazioni, modificazioni, riprese e decontestualizzazioni. Non possiamo fare altro che proporre un florilegio quasi casuale di esempi presi fra i casi più lampanti. Diamo qui di seguito i brani di Piccolo e fra parentesi i riferimenti, certi o molto probabili: «O tu che leggi / mia ipocrita sorella» (Inf. XXII 118...), «Anche l’antico dietro all’antico / che l’antico colse» (Pd. VI 3), «pamela di carta e di cobastro» (Fucini, Le veglie di Neri), «e qui m’appunta alla question mia prima» (Pd. VI 28), «trasumanai» (Pd. I 70, Pasolini...), «a farci sventolare nel nostro cranio» (Boris Vian, Quando avrò del vento nel mio cranio), «poiane e cimase» (Pascoli, Canti Castelvecchio 56), «Che ieri ci illusero / e ancora sproloquiamo e più non ci illudiamo» e «e la favola bella che ieri ci illuse» (D’Annunzio, La pioggia nel pineto), «che sì smarriti ora che l’età nostra è quasi piena / vie non abbiamo se non questa d’andare / come quei che va e tirien di stare» e «nel mezzo del cammin della sua vita» (Inf. I), «e volge il disio a chi ne è volto» (Purg. VIII 1), «o forse tutto è nulla» (Guittone d’Arezzo, Canzone 31, 1, Leopardi, Pessoa...), «la sera del dì di festa e del feriale» (Leopardi), «amore bianco e vermiglio / amore senza simiglio / [...] amor dolc’e piacente» (Iacopone da Todi, Laude 70, 117 et al.), «salute più non tengo e canoscenza / né ci ho vertute o altro» (Inf. XXVI 120), «impara a soffrire quale sia il tuo luogo / nella vanità della vanità» (Qohélet). E poi Cavalcanti, Lucrezio, Baudelaire... Inoltre nomi propri («Betsy» richiama almeno Anna Karenina e Il circolo Pickwick), proverbi («a smoccolar su santi e fanti»; «chi senza risicar si pappa tutto / né ci ha chi risica del proprio e il proprio rosica»), riferimenti musicali banali o molto raffinati (da «e dolci baci e languide carezze e viole» a «auscultammo al tatto le Variazioni di Webern»; e più avanti «prestissimo e con dolcezza», corsivo, è indicazione di agogica). Infine un’interessante autocitazione: «clinica aeritalia servi di cristo e di berlicche / Poesie a Tiù che non traduco più / aiax scopa vileda». 

«Ed è in questa prospettiva, in cui un termine sta nell’altro, come l’immagine della cosa (e della parola) sta sì nella cosa (e nella parola), ma è cosa (e parola) essa stessa, senza perciò necessariamente rinviare alla sua origine, che va letta, con la voce, più che con lo sguardo, Poesia. [...] Essa testimonia la fedeltà del testo ad una pratica della poesia, in cui è la durata del respiro (e dell’immagine) a deciderne, di volta in volta, la direzione e l’esito, sempre provvisori, per altro, e del tutto casuali» (dal risvolto di copertina). 

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Il titolo del volume Les arrangements, dalla lettura piacevole, è un falso amico: nonostante in francese significhi “gli ordinamenti”, “gli accordi” (e questi reali significati, come lascio intuire al lettore, sono comunque calzanti), o anche “gli appuntamenti”, sembra che si debba intendere come “gli arrangiamenti”. Dice la Terza considerazione nel risvolto di copertina: «La poesia è di chi la scrive o di chi la copia, di chi la recita, di chi la cancella, di chi la usa, di chi l’arrangia?». Le poesie questa volta non riprendono espressioni e termini ma principalmente toni, idee: gli arrangiamenti sono da intendersi in senso musicale, di ripresa di certe melodie caratteristiche mutando l’ensemble che le esegue ma mantenendo intatta la loro riconoscibilità. C’è qualcosa di più propriamente poetico, quindi, qui, nel penetrare nell’anima dei testi e nel creare autentiche poesie proprie, seppur con altrui modi: significanti propri che generano significati comuni. I due autori si sono dati appuntamento ed hanno generato contro natura poesie con due autori, che come dice la quarta di copertina sono blasfeme «come una coppia di ermafroditi». Questi libri «non pretendono di contenere messaggi né evidenti né in bottiglia, ma soltanto immagini, ritmi, arrangiamenti, percorsi di esistente». 

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Il gioco delle falsificazioni si denuncia in Poesie a Tiù, curato da Emilio Piccolo. Anders fa la sua unica apparizione fisica nei ricordi del curatore all’inizio e fugacemente, la storia dal tono manzoniano del manoscritto di Anders appare un espediente e diversi passi del saggio di Piccolo aumentano il nostro sospetto: «Sospetto, inoltre, Anders di avermi mentito sulla sua identità anagrafica: numerosi particolari mi lasciano credere che il suo nome sia, piuttosto, un simbolo grafico o un accostamento di segni. [...] Otto come il prodotto casuale, ma che resiste all’usura del tempo, di un’intimità vissuta senza risparmio e pregiudizio. [...] Del resto, l’amore di Anders per il gioco, che si prova a costruire, con i frammenti inutili del mondo, oggetti inesistenti e a manipolare il tempo, come se fosse un insieme necessariamente indeterminato, è testimoniato dai versi qui pubblicati». Manipolare i frammenti, costruire oggetti inesistenti: in altre parole costruire poesie come mostri di Frankenstein con frammenti di altrui poesie o di altrui toni, voci, contrappunti. La conferma sta oltre, malcelata: «Non un solo verso, non una sola parola è stata pensata e scritta, se non come ripetizione esatta di versi e parole già reperibili nel mercato della letteratura. Nulla che mi possa far parlare di quella trappola del sentimento, che è la sincerità». 

“Secondo copione” è anche il secondo saggio, di Pietro P. Daniele, polemico con molti giudizi di favore espressi da Piccolo. Tralascio di sviscerarlo ma evidenzio solo che egli cita Pierre Menard alludendo evidentemente all’omonimo racconto di Borges e ciò è molto significativo. Più avanti Daniele, muovendo un rimprovero, ribadisce in realtà la tecnica adottata: «allora tutta l’operazione di Otto appare come un grande monumento alla morte, fatto volutamente con i pezzi, sparsi, alcuni veramente belli e inutili, di passate grandezze». 

Non c’è assolutamente colpa nell’operazione di questo Otto: come giustamente si autoassolve il curatore nella nota di traduzione «Far uso di ciò che è già stato speimentato con successo, è, d’altronde, una pratica comune a tutto gli individui, anche in circostanze meno rischiose della poesia, e dell’amore». Tema dell’indagine è qui l’amore nella sua forma più studiatamente banale: «[Anders] accetta i luoghi comuni e tutto ciò che costituisce la retorica inesauribile dell’amore, non la giustifica né la contesta» (Piccolo). E’ un piccolo canzoniere della passione e dell’amore per l’amore tutto da godere, nonché dell’amore cleptomane per la letteratura («Mentre beveva i miei baci, / ero un mago che trasforma la pietra in acqua, / non un ladro che ritorna a mani vuote») ricco di passaggi affascinanti e in cui persino le abusate metafore paesaggistiche sembrano riprendere vita. 

L’ultima poesia è «E’ un girotondo di amori e di orgasmi il nostro: / io, lei, lui, l’altra, l’altro. / Dovrò farle leggere Roland Barthes». Le ultime parole sono il nome dell’autore del noto e straordinario Frammenti di un discorso amoroso, il quale chiude più che degnamente il ciclo delle nostre riflessioni. 

Piccola nota aggiuntiva. «Una poesia con due padri è blasfema come una coppia di ermafroditi» recita il “manifesto” in quarta di copertina, e blasfemo, empio è il procedimento attuato da chi si cela dietro al nome di Anders: sottoponendo al nome “Emilio Piccolo” il procedimento noto come “cernita” (semplificazione aritmetica delle lettere componenti) si ottiene appunto “empio”, e questo per un inguaribile ludolinguista come il sottoscritto è prova sufficiente. Sia benedetta, allora, con irriverente ed esemplare ossimoro, la blasfemia borgesiana. 


27 maggio 2001


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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Otto Anders