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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Emilio Piccolo, Musica da camera
di Sandro Montalto


Emilio Piccolo, Musica da camera, Dedalus, Napoli 1998
«Hebenon», anno VI nn. 7-8, aprile-ottobre 2001  

Definiremo questo libro un romanzo, un romanzo d’avventure nella mente di un personaggio-autore cogitante (e scrivente) in modo labirintico. 

Per il protagonista, che troviamo all’inizio mentre medita su quante estati tutte simili ha visto «seduto qui, tra libri polverosi e spesso indecifrabili, che costituiscono il mio negozio di antiquariato», la vita intesa come insieme di azioni materialissime e quotidiane non è che un fatto che saltuariamente interrompe il flusso magmatico della riflessione. Egli non nega la realtà, ma diffida di chi lo accusa di scarso senso di essa siccome crede (provocatoriamente) che gli uomini che lo fanno «hanno qualcosa da nascondere e non possono tollerare chi ha già smesso di interrogarsi sul senso» (p.8); d’altra parte egli esalta quell’esperienza «deliziosamente banale, che è il grattarsi» (p.9). 

Egli è troppo occupato ad inframmezzare le riflessioni ricostruendo con la sua memoria, fonte di sofferenza a causa della sua incompletezza («qualcosa che manca alla ricostruzione [e che] trasforma un individuo in un caso senza soluzione») e motivo scatenante della consapevolezza che «non conta ciò per cui si soffre, solo il modo in cui soffriamo»; e talvolta una forza invisibile lo trascina «in un punto da dove è possibile fissare lo scorrere del tempo» (p. 11). Il senso di perdita della memoria, del volto delle cose è rappresentato in uno sfuggentissimo passaggio: a proposito dello smettere di interrogarsi sul senso dice di «avere a volte invidiato chi possiede un occhio di vetro, capace di suscitare nell’interlocutore la sensazione della stabilità del mondo», e l’incompletezza di sui soffre è effetto di questo mondo che sfugge dal controllo e troppo veloce per la decodifica. Si paragoni allora questo occhio-simbolo con quella «pallina di vetro» persa dal bambino, e del cui pianto, siccome importa il come si soffre, non c’è nulla di «più sconvolgente». La tentazione di credere ancora possibile la comprensione c’è, ma poi egli ascolta «le chiacchiere dei clienti» ed assume «l’universo sub specie hypotesis» ponendo fine, sia pur provvisoriamente, «alla contraddizione che tiene svegli tutti i miei sensi» (p.12). 

Nulla sfugge all’analisi solo apparentemente erratica del Piccolo. Sensazioni, consuetudini linguistiche, sentimenti, tradizioni, deviazioni, oggetti sono esaminati, strettamente intrecciati e inglobati un una teoria: si vedano le riflessioni sull’amore, che sono esemplari di una teoria che ritroviamo diverse volte nel testo e di una abile vena aforistica: «se amiamo, ciò che provoca la nostra sensazione di felicità è la felicità, che ci trasmette la persona amata, ma restiamo sgomenti quando avvertiamo dai piccoli fastidi della vita quotidiana che quella muta, istante per istante, diventandoci estranea e insopportabile. In effetti, ciò che è unico deve trasformarsi per conservarsi ed è più facile amare, come testimoniano collezionisti, feticisti e lapidi dei cimiteri, ciò che è perfetto che quando non si compie e non cessa di compiersi» (p.14). E’ più facile amare ciò che è perfetto, e anche ciò che, immutabile, è riproducibile: «Nelle mani di Esther, ieri sera, al luna park, ho percepito che la sensazione, per essere perfetta, deve essere ripetibile» p.18). Si leggano a tale proposito ad esempio le riflessioni di p. 22 sulla ricostruzione dei motivi che inducono alla ripetizione di un gesto.

Il protagonista vive immerso nel suo spazio di libri, ma il suo mondo non è di libri, i quali non sono mai esplicitamente citati o presi a modello (ci si dedichi però con attenzione alla pioggia di citazioni e allusioni nascoste e nascostissime) e non sono che «oggetti enimmatici ed erranti, cui è affidata la memoria maldestra della specie» (p.25); consacrarsi alle parole dei libri sarebbe come dedicarsi a ripulirli e ordinarli, ossia «una seconda sepoltura»: «la stanza in cui trascorro gran parte del tempo dopo la chiusura del negozio è un duplicato imperfetto della libreria. Anche qui mi circondano cataste di oggetti scritti, ammassati alla rinfusa sulle mensole ai muri» (p.19, corsivo mio). Come dirà un paio di pagine dopo, egli, contrariamente all’opinione che si aveva d lui, non ha mai letto per intero uno di quei volumi, di alcuni dimenticando anche l’esistenza. 

Come dichiarato a p.33, la cifra stilistica nonché modus vivendi dell’autore è un «riflettere con spensierata incoscienza sull’ordine e il disordine delle cose, a seconda del fluttuare dei pensieri non sempre coerenti». Infatti «pur catalogando con scrupolosità i particolari, non aspiro a quell’esattezza, che solo un osservatore privo dell’abitudine a vagheggiare la natura come elemento morale può possedere» (p.38). 

Piccolo sa inoltre essere, come accennato sopra, deliziosamente provocatorio, e lo fa con ironia mai eccessiva ed eleganza. Si veda come esempio la riflessione degna di Wilde a p.60: «Ritengo queste espressioni appassionate del gusto degli uomini a rendere essenziale ciò che è superfluo, e viceversa, una prova, dotata di cartesiana evidenza, che la contraddizione costituisce la legge impenetrabile dell’universo, e non solo un tratto della psicologia femminile». O si veda, con diversa provocazione, il bellissimo capitolo XIV con la digressione sul suicidio, che nella mente del Piccolo può convivere senza conflitti con la magnifica oasi poetica del cap. XVI. 

La provvisoria conclusione è che «si può rimanere mesi interi a guardare la vita o a viverla, senza accorgersi che essa slitta incessantemente, mancandolo ad ogni istante, verso il suo compimento e che si può essere felici, senza saperlo, ma mai infelici senza accorgersene» (p.210). E «solo la mano che masturba dice la verità» (p.90). 

La difficoltà di spiegare il mondo, e quindi l’irresistibile tentazione di giudicarlo, non fanno per il nostro autore, il quale (fra l’altro con ironica stilettata - mi si perdoni l’accenno - ai recensori) applica anche a sé questo stile di vita: «non è compito mio giudicarmi: altri, con maggiore efficacia e minori difficoltà tecniche, espletano quest’attività di notevole rilievo sociale e degna di ogni comprensione, perché esposta alla monotonia e senza quelle sorprese, che rendono la vita un caso interessante nella vicenda, per altro essa stessa uniforme, di espansione e contrazione dell’universo» (p.158). 

27 maggio 2001


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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