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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Sandro Sinigaglia, Poesie
di Sandro Montalto


Sandro Sinigaglia, Poesie, Garzanti, Milano 1997

«Hebenon», anno IV seconda serie n. 3, novembre-aprile 1999,  pp. 56-57

Finalmente l’opera poetica di Sinigaglia degnamente raccolta, prefata e commentata: morto a sessantanove anni nel 1990, da tempo il poeta di Oleggio Castello meritava questa edizione. Il volume raccoglie i tre volumi Il flauto e la bricolla (pubblicato nel 1954 nella Biblioteca di “Paragone”), La Camena gurgandina (Einaudi 1979) e Versi dispersi e nugaci (Scheiwiller 1990) oltre ad un gruppo di Poesie extravaganti, uno di Poesie postume e la raccolta inedita interrotta dalla morte dell’autore Il regesto della rosa e altre vanterie. Ricchi gli apparati: fine introduzione, notizia biografica di Silvia Longhi, note ai testi e glossario di Paola Italia, bibliografia critica ed incipitario ad opera di ambedue le curatrici. Coraggiosa operazione da parte dell’editore che ha deciso di pubblicare un libro tanto indispensabile ed importante quanto non-commerciale (forse meno di un normale libro di poesia), ma anche, non dimentichiamolo, operazione doverosa per un grande editore. Una ricompensa, anche se come sempre tardiva , alle troppe levate di scudi e ai troppo timidi riconoscimenti del passato.

Sinigaglia è uno di quei poeti che ci insegnano che scrivere in versi è un esercizio lento e difficile, una lotta corpo a corpo con il linguaggio, oltre che con se stessi, una esplorazione dei suoni ed anche un continuo meravigliarsi di fronte alla magia e al potere delle parole. Più che compagno delle parole ne fu amante: fece parte di quei letterati “d’elezione” (quindi non “di professione”) che dedicò alle lettere i ritagli di tempo, a lungo preso in una fabbrica di gemme sintetiche per orologi dall’oscillante destino («Si illude di avere, malgrado tutto, trasferito qualcosa di quelle tecniche millesimali nel suo modo di concepire “l’art de faire des vers”», è scritto nella nota a Versi dispersi e nugaci, edizione 1990). Di intelletto aristocratico, raffinato, appartato e di poche ma buone frequentazioni (una per tutte Gianfranco Contini), fin dal suo primo libro si è rivelato un vero caso letterario. Sinigaglia è da sempre stato un poeta “a parte”: impossibile da ascrivere in un qualche campo, sfuggente alle classificazioni scolastiche e persino refrattario alle attenzioni e all’affetto letterario di devoti commentatori. Nella sua poesia si fondono efficacemente enigma, sperimentazione linguistica e grande sensibilità ed eleganza, per lui le parole (scrisse Enzo Siciliano) «sono cifra di se stesse e significato di eventi, e sono parole gonfie di cultura e magari magre di suono». Una poesia inconfondibile, rara. 

Troppi i caratteri, le peculiarità, le riscoperte e le implicazioni della sua poesia. Per fornire solo qualche esempio, si senta qui come il poeta sia riuscito ad utilizzare l’esclamativo (delicatissimo espediente poetico) alla pari con un certo D’Annunzio e si noti come l’invenzione linguistica si fonda alla perfezione con la tensione lirica: 

Oh memoria di squillanti inducibili
dal borgo inferiore alla piazza
alta risalendo pensile sulla vallea
delle bricche rosse! minimi uccelli
d’ugola d’oro dal mantello fuoriusciti
lassù della mascalcia volteggianti
nella quiete luminosa dei mattini ebri 
a perdersi nei vigneti declivi!

Oppure si leggano questi versi: 

eruciforme vi correva
una velluta via e dischiusi i vivagni
punicea vi si fece un’urna
per un intimo soggolo rosa
rifugio estremo a un latebricolo
pepino di piropo 

Non è senza una certa difficoltà che il lettore comprenderà che si tratta della fiammeggiante descrizione di una vagina. La poesia di Sinigaglia, novello Marziale, infatti spesso ha come temi il sesso (immerso in uno «sciame / ciprigno d’odoriferi atometti»), i bordelli, l’anatomia femminile (parlando delle tavole di un atlante anatomico nella biblioteca di famiglia scrive nella prosa autobiografica Breve anamnesi: «erano tavole confortanti [...] anche le tavole dedicate alle parti vergognose, all’apparato escretore tendevano al sublime più che alla colpa e al peccato»), gli amori irregolari e mercenari e gli ambienti equivoci, argomenti trattati con abbondanza di termini preziosi, rari ed imprevisti (a volte inventati o italianizzati) e proprio per questo il volume è corredato da un utile ed interessante glossario («un primo contributo ancora lontano dal potersi dire definitivo», precisa la curatrice). Un’ispirazione “bordellesca” ma un animo puro, diremmo quasi infantile: è infatti un poetare dei sensi fatto di gioia e brivido della scoperta, invito alla partecipazione. E non senza ironia: si leggano i versi delle puttane che si esprimono in latino con battute memorabili.

Non mancano però nella sua poesia la passione politica (fu militante della Resistenza, e come ne scrisse), le segrete alchimie dei sogni e le loro avventure, le influenze paesaggistiche, l’esaltazione di oggetti modesti e delle figure emancipate («quanto a me furono / benigni sempre i distorti i reietti della vita facchimi / trapeziste baldracchette ladri...»). Di tutto ha scritto questo poeta ricco, coinvolgente, trascinante, pieno, vivissimo e, secondo un’opinione sempre più diffusa, centrale nonostante la marginalità che scelse ed il confine poetico lungo il quale si mosse. Nonostante la vocazione di poeta colto e raffinato, quindi, non mancò mai nella sua poesia la realtà, l’incontro con la cosiddetta vita.

Linguisticamente la sua predilizione per gli iperbati e le anastrofi, la reiezione del verbo in fondo, le scarse rime preferibilmente interne e l’abrogazione della punteggiatura evidenziano la sua attenzione verso i luoghi in cui si affollano particolari intenzionalmente sconvolti nel caos. L’attenzione fonica nei suoi testi è poi ammirevole, si tratta di uno di quei poeti che vanno letti anche a voce alta, godendo della fonica del verso.

Ad una lettura superficiale parrebbe che l’aggettivo “aristocratico” legato a Sinigaglia debba essere inteso nella sua accezione negativa, che il suo sia un linguaggio iniziatico da accademico arzigogolato per iperletterati (critica-aggressione che gli mosse Franco Fortini), ma non è così. Apparentemente felice di essere di difficile comprensione, fiero di un proprio privato Olimpo poetico, assolveva in realtà a suo modo a quella che è una delle funzioni della letteratura: scagliarsi in eroica difesa del linguaggio contro il dilagante grugnire quotidiano. Una stella a prima vista fredda e lontana, forse, ma fissa nello scorrere del magma dei poetucoli consacrati ad un’ostinata e puerile semplicità.

27 maggio 2001


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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