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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Angelo Lippo:  Le sillabe del vento
di Antonio Spagnuolo


Angelo Lippo, Le sillabe del vento
edizioni dell’Oleandro, 2001, pagg. 48, L. 10.000 

La simmetria, quella che domina il nostro corpo e ci fa conoscere a volte le irregolarità fievolmente apparenti del doppio profilo, o della non specularità del viso, la simmetria, quella che ci viene offerta dalle convoluzioni delle conchiglie o dalle architetture, i rosoni, i colonnati, segna un momento in cui l’artista, con un misto di candore, vive e rievoca l’ironia della storia o la spudoratezza del sentimentalismo.

“Qui, dove intuisco il confine,
il sapore aspro della saliva negli occhi,
è un tuffo per non perdermi.
Ogni giorno mi nascondo qualcosa:
giacche, pantaloni, camicie
non bastano più. Pervicace 
è la moria dei gelsomini.
Non so perché, neppure come.
Troppo frequenti i rumori nel giardino
affossato da smarrimenti di lucertole.
Anche la luce giunge assonnata,
quasi perduta. Nulla vibra sui fondali.
Resto la voce dal timbro metallico
che percuote il sonno della ragione.” (pag. 34)
Così Angelo Lippo ritaglia spezzoni del tempo per ri/comporre quelle seduzioni, che ci affascinano spesso senza lasciar traccia, o ci affogano attraverso la curiosità delle innumerevoli frequentazioni, per inventarsi una commensurabilità che possa privilegiare il sogno.
(al mio Galeso)
“Dalle salmastre rive dello Jonio
dove a filo d’acqua s’innalza  bianco
il peana dei gabbiani in volo a sera
si smorzano le nenie dei pescatori
tutt’uno nel risucchio delle reti,
un giorno riascolterai
la scintillante frescura del tuo nome.
E giustizia ti resa.” (pag.26) 
La memoria nei suoi molteplici retaggi mediterranei (quello fenicio, quello bizantino, italiano, greco, arabo, normanno, pagano, cristiano) respira, fra le pagine di questo volume, quasi come un immenso presente che rivendica direttamente o indirettamente la affabulazione dell’abbandono.
“…era umano il canto
dei pescatori all’alba,
alla marina,
e tra i vicoli
lo schiamazzo dei ragazzi
un’allegra baraonda.
Era caldo di vita 
il corpo della donna
intenta a lavare i panni.
E tutto aveva
il sapore delle sere
affogate nelle grida del caldarrostaio…” (pag. 21)
Lippo – scrive Dante Maffia nella prefazione – ha avuto la capacità di rinnovarsi senza disconoscersi, di ripensare la vita e quindi la poesia (o se volete viceversa) non più o non soltanto come un diario di accensioni o come scansione e annotazioni di traguardi perduti o da raggiungere a tutti i costi.
Adesso il suo approccio è più leale, innanzi tutto con se stesso, e il suo sguardo è sereno (non pago, per carità, non conchiuso e definitivamente soddisfatto), privo degli smarrimenti che lo avevano caratterizzato quando tentava di frugare l’imponderabile dei sogni e delle rincorse esaltanti delle rinunce obbligate.
Io aggiungerei che la stagione di questo inistancabile poeta rimane sempre aperta a nuovi orizzonti, portando con se le dimensioni del sogno e della illusione  per ritornare a casa prima che scoppi l’uragano.   

9 marzo 2001


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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Otto Anders