Vico Acitillo 124
Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Raffaele Piazza: La luce
di Francesco Perrotti



La montuosità del luogo della nascita di lei
si fa iridata in una luce soprannaturale
(lo deduce da quello smembrarsi dei pini
dagli aghi di un verde trasparente).
L'aria è tesa nelle cellule di luce
nell'erba a farla crescere per gli animali
a giungere nel sacro abbeverarsi.
Poi salgono le vesti dei morti verso la cima
addobbata dai corpi di noi
a levigarsi nelle bare di vento.
(da Sul bordo della rosa) 
 
 
 

La lirica impone sin dal primo verso una riflessione chiarificatrice riguardo alla natura di un "luogo" apparentemente definito ma in realtà sfuggente e surreale. 

Il Poeta cerca di dare un rilievo storico al luogo in questione, tentando di mascherarne, almeno al principio, la chiara natura di luogo introvabile, attraverso l'arguzia retorica del "luogo d'origine" di colei che, creatura rarefatta, lo accompagna in questo vero e proprio viaggio incorporeo, in cui ogni sostanza di materia si trasforma in pura essenza di luce. Dunque, il luogo di cui al v.1 è uno degli infiniti e introvabili angoli dell'anima in cui si svolge questa graduale ascesa dell'uomo-poeta e della sua donna ad uno stato perfetto (diremmo angelico) di incorporeo sentire per mezzo dell'Amore. 

Se nel v.1 ancora permane un indizio di storicità ("nascita di lei") e di corporeità ("montuosità del luogo"), già dal v.2 assistiamo a una graduale rarefazione del Tutto in un'esplosione di luce che fa del luogo poco prima ancora reale, un luminoso prodigio di soprannaturalità, dove le categorie del dove e del quando, cioè di spazio e tempo, si tramutano negli assoluti dell'ovunque e del sempre, cioè dell' infinito e dell'eterno.

L'improvvisa presenza di una schiera di "pini" sembrerebbe poter turbare tale processo di "smembramento" e rarefazione, senonchè l'occhio sottile del poeta non vuole soffermarsi sulla consistenza dei tronchi ma sull'esilità degli "aghi" resi quasi invisibili dal loro colore, purificato sino alla trasparenza.L'aria stessa attraversa la luce e da essa si lascia attraversare in reciproca compenetrazione (la vera essenza delle cose si è ridotta a una "cellula di luce": così mi par di poter interpretare il v.5); inoltre quest'erba che nasce esclusivamente dalla luce e che di luce si nutre, eliminando ogni presenza di terra (terrena!) e l'atto purificatorio del "sacro abbeverarsi" sembrano figurare, attraverso il simbolo degli "animali" al pascolo, il riscatto del poeta e di Lei da ogni istintualità nel battesimo della vita nuova, fatta di spirituale sentire.

E' a questo punto che i due personaggi lirici, giunti, in virtù di questa ascesi d'amore, alla cima della sublimazione alla quale sia concesso giungere conservando la coscienza di se stessi, tentano e vogliono la definitiva liberazione dal peso di se stessi e del mondo, e la cercano nalla morte e nell'ansia di morte, in una dialettica di assenza-presenza, nella comparsa, più che altro memoriale, di quelli che già hanno compiuto il passo estremo della nullificazione (v.8) e proprio consolati e incoraggiati dalla memoria, i due, vocati all'atto sublime, pongono oltre la vita il sigillo della loro ascesi, per diventare un tutt'uno col Nulla o, se vogliamo, col Tutto naturale, dove i corpi si facciano "addobbo dei monti", levigati dal vento che è sublime mutamento della forma che muore in un'essenza che sopravvive...


Indice della sezione
Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


Per informazioni, si prega contattare:
Otto Anders