VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo



Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
I poeti di Otto Anders


Beppe Salvia

   
Il portatore di fuoco
Abbiamo nel cuore
Canzone d'estate
Ultimi versi




Il portatore di fuoco

 
nudo smagrito le ossa forti
corre gli altipiani e si nasconde
 
tra fronde, dove scintilla quel lume,
e le foglie ne primeggiano l’ombra;
 
inseguito assomiglia l’inseguitore a
nulla, notte non offre specchio,
 
il suo volto, da nulla apparso, là
dove biforcano a sella i rami
d’una sacra querce, è sottile
 
e non ha occhi come stelle
bocca che meravigli un sorriso,
 
e spavento e meraviglia
al fulmine che breccia le stelle –
 
l’ampio gesto che atteggia lontano
il braccio a ricevere l’ampio
lontano frastuono di nebbie
su chiarità d’acque, nelle acque
 
quel gesto non specchia
altrimenti che schegge scagliate
 
da dita che han l’unghie
lambite dal filo d’un chiaro lucore;
 
sull’acqua chetata a disappunto
le bianche spille del fuoco
 
rapiscono un crepito, ramifica
il loro disegno sottili cristalli,
 
le valli s’accolgono al varco
d’un lago, le cime spezzate
dei monti d’intorno, alle rive
circolari accrescono creste
 
poi cespi rovéti e l’intera
foresta –
 
avvertono i passi, e il profumo
di siepe avvicina quel fiato,
una cagna e i miti ospiti
dei nidi, trema il manto
della gazzella, lascia cadere uno spigo;
 
non corre il portatore di fuoco
s’è riconosciuto in quel luogo
 
e riposa il dolore ove nasconderlo
è stolto;
 
nel vuoto più sotto una rupe
s’apre la chiara lontananza
del mare, e su quelle altre rive
gli abitanti –
 
abitarono dove non s’accorse
divieto, il più gramo, o fu povero
d’offese il vento lavico, e abitarono
propria riconoscenza dove poi
abiterà l'inganno, abiteranno
 
il borgo amico e abiteranno
il borgo pavido, come abitarono
il crinale di schisti ove nascondersi,
 
abiteranno un tempo là
dove abitarono non visti,
non visti e infine fatti arguti
menzogneri d’un limite
 
malinconici gli abitanti –
 
l’alba respira, ammirando, le nebbie
s’animano, adesso corre
lasciando l’orma brillare
il portatore di fuoco, solitario
 
animale, animano le sue peste
mille abbagli, iscrizioni egli
incontra sulle vie, nei sentieri
le sue orme una brina, scintille
di ghiaccio, sfavilla –
adesso la preda ha preso vigore
 
attraverso deserti pochi fiori
piccole corolle rosa dell’erica
sono le faville, il portatore
di fuoco demone alato erede
d’ogni dono, regnante ignoto
s’è fermato;
 
ascolta nelle mani lo strepito
le prime parole avvezze
al cieco dimorare,
 
                             e sulla terta gocciano
                             da quelle mani i petali
                             raccolti, le rosee scintille,
 
                             e quella terra ha nuova
                             tetra vitalità,

                             dimenticato è il fuoco –
 
 
 
sotto una roccia a tetto, e fuori
è nuvolo, lampeggia, un fuoco,
 
un nido raccolto splende,
 
il soffio che entra nel coperto
spuma le faville, un vortice
 
le brilla contro l’urlo aperto,
il dispiegato paese di bufera –


Abbiamo nel cuore

Abbiamo nel cuore un solitario
amore, nostra vita infinita,
e negli occhi il cielo per nostro vario
cammino. Le spiagge i cieli, la riva
su cui sassi e rovi e il solitario
equisèto, e colli erbosi grassi
rioni, città dispiegate come
belle bandiere, e nude prigioni.
Questa è la nostra vita. Questi nostri
volti vagabondi come musi
di cani ci somigliano. Il vento
il sole le corolle rosse e blu,
i sogni mai sognati i nostri sogni.
Questa è la nostra vita e nulla più.


Canzone d'estate

I
m’appare sempre risolto
ogni giorno d’estate
ogni moto dell’aria ogni sogno
posa più affranto che lacero
io soffro il dolore di vivere
la vita già sognata
adesso che cieche ammende ognuno sa
scegliere a cesello, e anch’io,
nel fregio svilito d’un gioiello
nel vuoto tempo che ripete specchi
ansia sofferta di morire
l’inanimato mestiere
provo, lo strido che mi possa
avvincere, nei volti nelle cure
trovo di tutti la vecchiezza
dimentica,
il deserto smemorato ricordo
dove bianchi impossibili abbagli
dove tremano rari tenaci
fuscelli consunti, bruciate
cortecce arrossano,
e sanno di brezze saline
i labbri umidi,
più lontano è chi sprezza
sul limite d’uno stagno falso
prima di colli piani e calmi
l’ilare libertà dell’ebbro.

II
vivono e il mio sogno è destarli fuoco
m’avvampa e inchino a quell’oro tocca
più in alto il cielo di fuoco il mio fuoco
e poi lontano in un segno che scocca
chiare ali dal nuvolo son nate
s’avvertono i ritorni delle fiere
bestie e uomini s’incontrano nati
in un simile vuoto di chimere
oggi al fuoco s’è raccolta una gente
avvilita nel mondo ha occhi attenti
avvampano quegli occhi e membra afflitte
cedono alla venia del sonno – mette
chiedere s’è desto il mondo davanti
a quanto ha roso il ferro della notte?

Ultimi versi
 
Ultimi versi
di lume bianco ora m’assembra lieta
e povera e lieve luce questa mia
terra dei morti dove all’alzata ormai
dei giorni io nascondo, m’ha aperta
la finestra non so quale dei venti
m’ha veduto di là forse uno strambo
bimbo morto, io dormo in un presepe
di fango e di lucerne, a quest’alba
nel gelo una lista d’ombra mi schiara
per mezzo e in me dimora, schiva face
a quegli occhi nel viso fa cenno
cenere di bistro, l’avviva, chiara
è la vita e tutta viva a questo mio
mare di mezzo in me vero e dolente,
di che l’insegna in ciclo buio oscura.
.
da che t’affanni in levitare eloquio
a strambo stile dei versi e d’abbandono
hai limite e sicura abilità
di dire in eguale virtù e vuoto,
so che ti par selvatica una tale
miseria di questione e vanti
libertà dell’occhio e della preda
che verità fosse e senza idea.
.
passione a ricercare avida meta,
più che in te certa attenzione è in quella,
a che cristallo di fragile corso
di rugiada giù dal ramo si figuri
e intenda e da sé rappresentato
l’ordine del mondo in suo disordine.
.
del tempo mio sogno d’universo
che si dispone a compiere è l’eguale.
in sua misura e per sua misura
ogni cosa ch’è in sé non sa misura
e cosa, ma per intanto vanità
e verità sono quelle ammirate
che tutto a questo perdifiato colto
stolto mi fan sembrare. non quelle
alle finestre tue le belle insegne,
non è che sogno nudo silenzioso,
io m’avvedo alla morte, è là la morte.
.
cosa immortal minima dice lode.
misura non è per ridere di Leopardi.
io non ho tempo, e non ho voglia all’arte.
.
l’angiole che son matte non son dèi,
volano alte in cielo. Quando molte
al suo trogolo le mele mézze dei
porci sembrano verdazzurre frotte
di nubi in cielo e son corolle false
d’arcigno odore in un brago fetente,
in vespro arde ferrigna l’aria, terse
celesti l’iridi ammalate tonde
del verro versano nella pietra e
nel ciclo.
Esclamativo il vano moto
sgraziato che assomma, a far dello
universo l’epifonematico
velo. Io segno nero
su bianco.
.
- tanto può
e vale
gentilezza italiana!
.
la notte ha reso le pareti bianche
della mia stanza e le parole bianche,
i petali della rosa sfioriti
su le pagine aperte dei Riti
di Castità, io non so più mentire,
tra le mie morte cose vivere,
.
seguitar me m’abbandono, canto
e di mai veri ricordi l’impazzire
del mondo e le sue rime serrate, io,
sono quasi cieco attorno a me la notte,
vivo già morto e affanno a cose cieche
che una cieca pencolante illumina,
.
la luna dal lucernaio azzurra,
il letto bianco.
.
cose davvero vaste e silenziose
intorno, poi tanta castità del male,
ancora la pietà perdonami
un’ultima volta, un’ultima volta
ammaestra d’una soltanto mia pace
la tenebrosa maraviglia stolta
cui mi piace cennare e mi conduce
per mano or questa fida voluttà
al mio danno al mio silenzio all’ironia
della sorte ineluttabile fato.
ma più per questo buio che io so
m’annego, per vedere da vitrea
superficie il funebre raccatto,
e poi davvero infinita follia.



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