Sans
passion il n'y a pas d'art
Calamus
I poeti di
Otto Anders
Angelo Maria
Ripellino
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Dove
ci incontreremo dopo la morte?
Grande era in me l'invidia per i liberi
L'uomo misura e costura di tutti i sarti
Le trombe hanno bisogno di mani
Tu pensi che quando cresce il tuo male
Tutto possibile la domenica: una
qualsiasi sorpresa
Dove
ci incontreremo dopo la morte?
Dove ci
incontreremo dopo la morte?
Dove andremo
a passeggio?
E il nostro
consueto giretto serale?
E i rammarichi
per i capricci dei figli?
Dove trovarti,
quando avrò desiderio di te, dei tuoi occhi smeraldi,
quando
avrò bisogno delle tue parole?
Dio esige
l'impossibile,
Dio ci
obbliga a morire.
E che sarà
di tutto questo garbuglio di affetto,
di questo
furore? Sin d'ora promettimi
di cercarmi
nello sterminato paesaggio di sterro e di cenere,
sui legni
carichi di mercanzie sepolcrali,
in quel
teatro spilorcio, in quel vrtice
e magma
di larve ahimé tutte uguali,
fra quei
lugubri volti. Saprai riconoscermi?
Grande
era in me l'invidia per i liberi
Grande
era in me l'invidia per i liberi,
quando
non sfioravo la terra, perché mi portavano
come un
re malato in un palanchino,
quando
il Signore si rivelava volubile,
come un
barometro pazzo, quando ero scontento,
come l'asino
che porta il vino.
In quel
tempo di turbini e di nubi,
di contumlia
e rancura l'Angelo della Morte
scese sul
mio patibolo a darmi occhi diversi,
perch nello
sfacelo e nella mala sorte
con altre
pupille, frantumi di specchio celeste, io scorgessi
la caparbietà
del miracolo e l'orrore del gretto
equilibrio
dei sani e la nobile, ahimé, poesia del soffrire.
Ma a che
mi serviva questa veggenza cerimoniale,
se io avevo
sete di vita banale
di ruvide
cose, di semplice affetto?
L'uomo
misura e costura di tutti i sarti
L'uomo
misura e costura di tutti i sarti,
di quelli
dal metro falso, dei sarti allegri,
che storcono
la bocca nel tagliare,
che hanno
vergogna a toccarci nell'nguine,
dei mangiaspilli,
dei grilli che saltano
dalla grondaia
delle spalle al frusco della fodera,
e ci entrano
dentro, ci scuciono e scorciano
con delicate
cesoie.
Cerimoniosi
ci avvolgono in palandrane babbuine,
in zimarre
candte, in presepi di crespo sonoro,
in un tremolo
di alpag, in gelatine
di lebbra
sgargiante, nei drappi di Aronne,
carichi
di melagrane e sonagli d'oro.
Son pronti
a imbastire con bave di refe
e con cigolo
di denti di forbici
un egitto
festivo per noi radams distrettuali.
Ma noi tromboni
temiamo le trombe del teatro,
spregiando
il colore che avventa con arroganza di ulno,
e perciò,
sarti, forniteci tuniche declamatorie,
toghe da
baccellieri, quaresime, involucri eguali,
bucce,
spoglie e sudari per condannati che aspettano
l'arrivo
di Tamerlano.
Le
trombe hanno bisogno di mani
Le
trombe
hanno bisogno di mani.
La lussuria
ha bisogno di mani.
Anche i
morbidi vasi di Tiffany, gli iridescenti,
hanno bisogno
di mani.
La cera,
i detriti, i decreti, le chiavi
hanno bisogno
di mani.
I cartelli
che voi inalberate
contro
noi, contro tutto, hanno bisogno di mani.
La vecchiezza
ha bisogno di un groppo di mani,
e i congedi,
congegni squamosi di lacrime,
esigono
sempre stantuffi di mani,
piccoli
scialli di diafane dita.
Mani che
smaniano, mani irriducibili,
mani offese
da guanti, mani flaccide:
infrenabili
trottole, nibbi,
e un giorno
teatralmente ghiacce.
Tu pensi che quando cresce il tuo male
Tu
pensi
che, quando cresce il tuo male,
si spengano
i fuochi, le barche non prendano il mare,
si proibisca
ai cani di latrare,
i figli
si incantino come sculture di sale.
Oh no, lascia
perdere. Osserva
la ghiandaia
azzurra che ruba
il tuo
ultimo cucchiaino d'argento.
Ferma lo
sguardo sgomento
sull'estranea
bellezza di questa caraffa in cui luccica
tutto il
ghiaccio del mondo.
Tutto possibile la domenica: una
qualsiasi sorpresa
Tutto
possibile la domenica: una qualsiasi sorpresa,
un'auto
con amici fuggiti da un umido camping alpestre,
uno scroscio,
uno screzio, una chiamata inattesa.
Sono deserte
le scatole delle finestre,
dormono
le qualità, le analogie, le diatrbe,
dormono
la pecoraggine e la villana dei profeti,
e le colombine
tornate dai balli. Ma tutto possibile:
una fiammata
di ebbrezza, uno scherzo al telefono,
la morte
di un giallo uccellino ucciso dal freddo,
il passaggio
di una nuvolaglia di crespo esequiale,
l'arrivo
di un pittore barbuto da Praga. Tutto possibile.
L'architettura
maldestra del vuoto domenicale
si scompiglia
e si amlgama come il mercurio.
Accada
dunque qualcosa, perché la noia verde-malva
non accartocci
il castello del cosmo in un disperato tugurio.
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