Ciò
che non devo tacere
Viaggio al centro della ferita
Se non eri tu
Cosa sono disposto a sacrificare?
Di parlare tra loro gli dei non hanno
bisogno
Siamo gli unici guardiani della luce
Se dalla mia voce potessi liberarmi
Vieni a me come brezza senz’uscita
Ciò
che non devo tacere
Costretto
a vivere ogni secondo come tornando
da un viaggio
in cui non si è potuto trovare il tesoro,
di ritorno
al presente, a casa, a mani vuote,
come se
il fare fosse il da farsi,
come se
trattenersi fosse smettere di essere
e l’unico
modo di vivere fosse creare utopie,
Wittgenstein,
Tractatus Logico-Philosophicus, disse:
“Ciò
di cui non si può parlare, deve essere taciuto”.
Ma precisamente
di ciò di cui non si può parlare bisogna parlare,
affondare
la lingua nell’invisibile convertendo in specchio le parole,
navigarci
dentro sapendo che sono barche senz’equipaggio,
senz altro
interesse che l’enigma di chi o cosa le ha trasformate in fantasmi,
una presenza
impalpabile ma densa che dobbiamo avvicinare con passi da cieco
in
quest’universo
dove tutto è approssimazione o miracolo di cera!
Con i passi
d’un cieco che col bianco bastone fende l’ubiquo centro,
là
dove palpita l’origine eterna che produce vita a fiotti.
Di lui
nulla possiamo dire, ma propno per questo nell’oscurità è
la nostra guida.
Se accettiamo
l’ignoranza essa diventa lume:
sotto
l’apparente
vacuità si nascondono i divini splendori.
Benchè
ora qui non resti altro che uno sguardo
qualche
voce, qualche fugace bagliore, passi affrettati
che indugiano
finchè non sprofondano nella polvere
e orme
di piedi, di zampe, lunghi solchi lasciati da vermi d’ombra
larve che
piangono, reclamano, esigono carezze da chi è privo di mani,
avvolti
nel vuoto come in una fitta cappa,
crisalidi
di feltro che aspettano di mettere le ali,
di popolare
finalmente gli spazi della nostra eterna assenza,
dall’interno,
tirando calci alla torre,
scaraventando
fuori l’anello dai suoi muri
affinché
si apra come un fiore d’oro.
Nudi in
mezzo alla notte aprire la bocca
inghiottire
i lampi che il cielo ci manda.
Ripetere
la parola arcobaleno fino a raggiungere l’estasi
rendendola
ponte fra una lingua morta e un vuoto vivo
dove si
trova il non incarnato futuro
che annuncia
il fine d’ogni speranza:
il ronzio
delle mosche diventa la voce di Dio.
Se quello
che cerchiamo non è qui, non è da nessuna parte!
Colui che
ha perso le parole anche d’amore deve parlare:
con
l’indifferente
occhio sommerso in un universo di carne
di pelle
e di marmo, di ardenti chiome e onde fluviali,
di luminose
labbra che nascondono spirali d’ombra,
nel centro
del piacere che assassina gli dei
scavare
come una bestia ferita fino a trovare l’anima.
Capire
che l’Essere è qualcosa che si consuma,
un
falò
senza legna che fiamme lancia dal sogno.
Traduzione
di Antonio Bertoli
Viaggio
al centro della ferita
Per
quanto
sepolto nelle tenebre della mente
percepisco
un uccello di luce nei suoi profondi meandri
che lotta
contro il rapace volo e m’incatena
alla legge
della ragione. Intrappolato nell’angelico intelletto
non posso
scontrarmi in quanto uomo con quello dell’uomo.
A mente
sgombra allora, mai getterò alle ortiche
quest’urgenza
salmastra di conoscere me stesso?
Dalla mia
anima voglio solo ciò che è inferiore al cane,
lo sterile
punto dove convergono gli ordini del mondo,
là
dove sotto l’eterno cambiamento niente vive né permane,
tranquillo
vegetando nel perfetto odio per la mia ombra.
Come assetato
in abbondanti acque bramo l’assenza divina
esigendo
che la causa dell’amore torni al permanente segreto,
che la
sparizione dell’invisibile Essere Perfetto mi restituisca
la reale
capacità di godere per le mie numerose ferite,
che il
veleno del silenzio mi liberi dell’inumano futuro.
Ma quando
penso “voglio” soffro e basta in realtà.
Oh compassionevoli
padroni, allontanate da me il vero oggetto,
concedetemi
quelli che falsi sono,
segrete
piaghe che tra il corpo e l’anima scivolano,
passioni
senza cura come serpenti senza fine
delle quali
il cuore solo può essere responsabile!
Senza esser
tormentati dalla verità o dalla bellezza
tagliare
i lacci che all’amore redentore ci legano,
smettere
di sentire, dire, fare, piangere, eliminare dagli occhi
la madre,
da un trono indifferente guardarla agonizzare
come un
glauco mollusco arenato sulla spiaggia,
affinchè
cessi la febbrile santificazione del Sapere,
affinché
la ferita sia solamente ferita
in una
carne che d'essere necessità dell'anima rifiuta.
Traduzione
di Antonio Bertoli
Se
non eri tu
Niente
passa però il mondo si sfuma
per sempre
la rosa qui sembra restare
ma tutti
i treni se ne stanno andando
nessuno
che dorma nella mia cuccetta di fango
le radici
del sogno sono altri sogni
Se non
sono io, chi si veste della mia carne?
Se non
è qui, da dove salpa l’illusione?
Se non
è adesso, quando può essere l’ora?
Se non
eri tu, cosa riflette la mia coscienza?
Nella sua
stessa ombra naufraga il muro dell’anima
in basso
il corpo striscia con le sue oscure ansie
in un mulinello
d’acido l’io stesso si dissolve
la mente
vaga aperta come un fiore di niente
Senza poteri
dovrà abituarsi a vivere
ingrassando
la coscienza come un tacchino natalizio
costruendo
la speranza su falsi miracoli
dell’incomprensibile
facendo la bandiera del saggio
agonizzare
crocifisso nella penombra del presente
Se non
c’è punto finale come parlare della nascita?
Se non
eri tu chi illumina le strade del sogno?
Se non
c’è inizio quando tutto ciò può cessare:
un diamante
che per sempre naufraga nel vuoto?
Traduzione
di Antonio Bertoli
Cosa
sono disposto a sacrificare?
COSA
SONO
DISPOSTO A SACRIFICARE?
Mi recherò
ai macelli per bere sangue di pecora?
In nero
uccello mi trasformerò tra le fronde dell’ultimo albero?
Venderò
l’ombra del matto senza chiedergli il permesso?
Muoverò
le orecchie come un cane quando grideranno il mio nome?
Domine
non sum dignus ut intres sub tactum meum
Lascio
che la mia casa bruci per trasformarla in nave
Nel mio
sepolcro la gloria dell’altro accetto
Cammino
sullo stesso punto fino a farlo diventare un pozzo
Del dolore
mi libero come d’un vecchio cappotto
Traduzione
di Antonio Bertoli
Di
parlare tra loro gli dei non hanno bisogno
DI
PARLARE
TRA LORO gli dei non hanno bisogno
è
un coltello verde ogni parola che ci dettano
le loro
lettere sono ventisei grumi di sangue
e una rete
senza fili i loro idiomi sacri
che indifferenti
attraversano invisibili pesci
Se il sublime
è il picco dove sfuma la coscienza
un raggio
che il leone addormentato sveglia in ogni pietra
per così
poter cantare dovrei incendiare la mia casa
fino a
vederla diventare un’aquila nera
che leggera
s’innalza come viva tomba
Se nel
chiedere non c’è inganno chiedo che la cecità mi tolgano
per morire
nell’arduo cammino dei dieci splendori
Chiedo
anche la totalità del respiro I polmoni riempire
col vento
che soffia senza rivelare il suo destino
e nel centro
di me stesso ritirarmi
in quei
limiti che sono l’essenza del mio errare
Il crocevia
dove sfociano tutte le passioni
dove solo
il pericolo è senza limiti
e ad esso
m’arrendo con un piede tra due alberi appeso
E’ forse
la metafora l’unica nostra possibilità di far affiorare il
sublime?
Sfuggendo
il pericolo cancelleremo il lusso della nostra memoria?
Per arrivare
primi ci forniremo d’un pungiglione di sarcasmo?
Ci butteremo
nell’abisso o esalteremo l’abbrutimento e le bastarde imitazioni?
Traduzione
di Antonio Bertoli
Siamo
gli unici guardiani della luce
SIAMO GLI
UNICI guardiani della luce
nel mondo
che noi stessi ci siamo creati?
Dobbiamo
continuare divorando i nostri figli
in un Universo
dove l’altro è tenebra?
Quando
smetteremo di bramare l’aldilà
sbattendo
la testa contro la porta chiusa
che la
nostra coscienza crea per eccesso di veglia?
Come si
può continuare a vivere
quando
tante tentazioni ci rinfocolano il desiderio?
Come liberarsi
dal laccio che ci lega agli specchi
per entrare
in solitudine nella città delle ombre?
Lasceremo
che l’invisibile cacciatore per un secolo ci insegua
Indifferenti
alla sua pioggia di frecce?
Legheremo
il fiore d’oro con filo nero
per annichilire
lo splendore dei suoi petali?
Viaggio
di ritorno al porto di ogni speranza
da cui
anche se il mondo percorriamo non salpiamo mai
procedendo
nel futuro come bruchi che il frutto scavano
per arrivare
al seme che la rinascita del passato promette
e lì
la pelle lasciar cadere sì che si propaghi il profumo
che crea
i corpi che lo esalano!
Ardere
Incenerirsi in vita Carbonizzare la carne
fino a
rendere puro il diamante e nell’agonia
lasciarlo
tendendo un’ambigua mano
che mentre
lo dona lo sottrae
e con esso
nel nulla s’immerge!
Traduzione
di Antonio Bertoli
Se
dalla mia voce potessi liberarmi
SE DELLA
MIA VOCE potessi liberarmi
per attorcigliare
la tua gola alla mia
e solo
usare quell’oceano
formato
dalle tue parole che nettare sono
per la
mia lingua di orfano di vedovo di straniero
Se smettere
potessi d’essere assente
per trasformare
la tua anima nella mia patria
lasciandoti
sentire per una volta
l’impatto
mortale del mio silenzio
In fondo
altro non sono che il ricordo della tua voce
Ogni volta
che mi rifiuti
finisci
di partorirmi
Traduzione
di Antonio Bertoli
Vieni
a me come brezza senz’uscita
VIENI A
ME come brezza senz’uscita
per nascere
in ciò che dalla ferita scaturisce
là
dove non è più possibile nidificare
Umile e
silenziosa t’abbandoni al torrente
libera
non ti dici ma sai sorridere quando non chiedi
perchè
tutto hai perso tranne te stessa
Entrando
nel piacere ombra su ombra
io della
tua pelle vuota, tu dell’oblio della mia anima
come sopravvissuti
di tutte le guerre
ogni carezza
è un uccello miracoloso
ogni bacio
un parto
ogni orgasmo
un Eden nel nulla
Traduzione
di Antonio Bertoli
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