Quell’amore,
che spesso
ne ingannava il sole,
che presentava
immagini e parole,
che ci
portava pensieri di nessuno,
quell’amore,
dal calore
violento e inopportuno,
che Marcantonio
e Cleopatra
spinsero
nella storia,
che travolse
financo lo psichiatra,
quell’amore,
che
corneava tenerezze in gloria,
quell’amore,
che a nullo
amato amar perdona,
che riciclava
ogni passione ed ogni insulto,
quell’amore
intransigente
ed inconsulto,
che torturava
i nervi e imbestialiva,
quell’amore,
che reclinava
per ogni uffizio cavo,
che farneticava
pianoro ad accecare,
quell’amore,
che chiedeva
soltanto di sognare,
che credevamo
serio e definito,
che ci
spingeva ignari all’infinito,
come colombe
dal desio chiamate,
quell’amore,
che difettava
spesso di chiassate,
che ancora
mi percuote e ti rinfresca,
per un
più lungo oblio,
per pianger
con diletto e dolci sdegni,
infedele
e veloce
per li
segreti detti sottovoce,
quell’amore,
che nella
gioventù ti spezza in due,
quell’amore,
che smorfia
è spesso in su la bocca
e dolce
fra le vene d’albicocca,
quell’amore
fra la
luce dei sogni ed i cerotti,
fra un
panino imburrato e un pomodoro,
fra le
cosce, la sete e una bottiglia,
non cede
mai scorgendo le tue ciglia
sfiorare
ancora il mio capolavoro
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