Il
bambino
che va a scuola, a sei anni
muta profondamente
la sua vita,
si ferisce
di continuo e guarisce
da solo,
i ginocchi e i polsi,
prima intatti,
fioriscono di croste
che l'aria
dei mattini d'inverno
lustra
come rubini o come quelle
bacche
per cui la siepe è ancora viva
casa e
dispensa al passero e ai suoi figli.
Se l'anima
gli si lacera, si cura
nascondendosi
agli altri e più a chi
sino ad
oggi gli ha dato gioie e affanni.
Il tempo
freddo e asciutto ha indurito
la strada
e a lui che cammina rivela
nella distanza
dei coltivi inerti
case non
conosciute prima perché perse
a lungo
nell'inganno delle foglie:
il gelo
ne scopre e fissa la presenza
umile a
cui s'aggira intorno
sempre
un uomo freddoloso e assonnato
o una donna
svelta nelle sue
faccende
che non vedono soste
e animano
anche un'ora così incerta.
Ma se il
piccolo pellegrino comincia
a sentire
più caldo, non è
soltanto
l'esercizio del viaggio
sul punto
di conchiudersi, è il sole
che alle
nove, liberatosi dal basso
orizzonte
di bruma e fumo misti
tocca tutte
le cose visibili
tingendole
d'un rossore che inebria
mentre
voci e rumori diversi
s'accrescono
e confondono, esterno
e interno
uniti in una comunione
vivace
sino a che la porta della scuola si chiude.
da La camera
da letto (Cap. XI.)