Temo
che
da me non avrai mai né un romanzo con il tuo nome
né
un libro dove si parli di te quasi fossi Lou Salomé. Temo anche
che a settant’anni
– tanti me ne sono assegnati – me ne andrò
lasciandoti
un pezzo di strada da fare da sola. Del resto,
fossi stato
più saggio, o stolto, avrei già da tempo
provveduto
a rendermi più credibile al cassiere della mia banca
o sarei
preside in qualche scuola della papania
e avrei
fatto anche due o tre passaggi in tv.
Invece,
così, tutti pensano che sono uno che ha l’insonnia addosso
e avrebbe
bisogno di un prete o di uno psichiatra.
Mi hanno
detto che si chiama principio di realtà ciò che
mi
manca;
che sono
dissipatore di soldi, sentimenti e donne, specie di quelle
altrui;
che non ho capito ancora che la poesia non è la vita
e che come
peter pan ho bisogno sempre di capitan uncino
per fare
a meno de ll’eutanasia o del suicidio.
Bene, d’accordo:
questo è il migliore dei mondi possibili
e ci sta
bene anche che la poesia, una poesia ogni mattina,
sia solo
un espediente un po’ raffinato per portarsi a letto
la moglie
del dottore di turno. Ci sta bene anche
che mentre
due torri crollano e l’antrace ci ricorda
come sono
buoni e generosi gli yankee
c’è
ancora chi per dimenticare ha tempo per le chiacchere
e
interessarsi
ai fatti altrui.
In ogni
caso, a nulla serve uccidere gli angeli e i demoni
che sono
in noi o scordare che a dire ti amo ci vuole
tenerezza
e crudeltà quanto basta per restare bambini
anche se
i capelli sono ormai bianchi.
Perciò
non scriverò mai né un romanzo con il tuo nome
né
un libro dove parlo di te quasi fossi la mia Lou Salomé.
Mi limiterò
a dirti ti amo mentre ti guardo negli occhi.
E a settant’anni
me ne andrò
lasciandoti
un pezzo di strada da fare da sola.