Lamento
d’una vergine
Dolce augellin
dell’alma mia, contrito,
io sono
d’aspettare ormai sì stanca
che ti
vurria nel ventre ancor più ardito
ché
la dura valanga ancor mi manca.
Non sono
forse sempre le cavalle
che giocano
a lusinghe del ricordo
rompendo
strane voci tra le palle,
tra
sonni
e chiose, prese del balordo
che mi darà
soccorso a l’ora estrema?
Quasi rifugio
di parole accorte
le
mammelle son brezza senza tema
per l’incisa
scintilla de la sorte.
D’amore
stringe i lacci più possenti
a gire
de la tua valente impresa:
lega o
signore agli occhi vostri assenti
la mia
scintilla troppo vilipesa,
e donale,
degnando del tuo verso,
il luccichio
del membro nerboruto,
e che per
voi sì crudo e si perverso
la mia
chiave divenga il vostro imbuto…