VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo



Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Poesie dei giorni dispari
29 gennaio 2002



Emilio Villa
E lascia che vada

 
Mio padre, muratore
ardente, pratico, pulito,
tiene un braccio indurito
come una leva, stanco
oramai, leggero; ha le vene
grosse, dove transitano
le forze rosse e i dispiaceri, il bene
unico che conosce.

E musico estemporaneo
alla pergola degli Scotti,
alle nozze dei suoi fratelli
magri e crespi come i pioppi.

Dunque sei tu, con quella guancia
se ancora la tua casa,
casa è la nostra oramai,
e sospesa in mezzo al secolo
ventesimo, tra il popolo
d'oro? la tua casa e la nostra
s'è spanta nella nebbia.

E la nebbia è come quando
tu le palpebre socchiudi
alla serena, e sudi
per sensibile ripensando
a una piova di traverso
sul largo di Milano: e una torma
di passeri nell'orma
pura delle rughe, lume
ove una carreggia è un fiume
e un bosco le lattughe
alla morbida misura
della nostra nostalgia
conforme a sottil costume.

Là ho trovato pel tuo sangue
celtico una luce varia,
quella di brina che lamina
le tettoie cariche d'aria
nelle domeniche quando l'anima
rimane un po' più in là,
come una primavera che langue.

Con la bocca piena di sangue
e un lampo nelle caviglie
ti scongiuravo: "Soffiami
il naso, non posso, se no
sono fottuto per sempre, sono
vissuto, ma vissuto adagio,
fantasia, malanno ed offesa!"

La storia come lunga
sarebbe a recitare;
non ho fiato, e la saliva
non ci basta a perorare
questa causa già perduta.

Fu come in sogno, ed ogni
che torna non ci trova
più, neanche la piova,
neanche il popolo dei passeri
oltre dove seguiremo
a chiamarci ancora dopo,
anche dopo, nella brina
fresca e ardita del cognome.

Sì, la storia, la storia,
la storia s'oscura:
quel lacero nel lobo?
la mamma dove tiene le boccole
che rilucevano al di là del paese?

Io ti narrerei del cuore
a caso? Ed il cuore
il cuore dove? Chiamami,
se per caso non è tutto

quel fruscìo delle falde,
quando i carabinieri
con le mani larghe e calde
nel diluculo sulle melighe,
furtiva colpa della notte,
furtiva spiga nel tuo cuore,
ti rapiscono un fratello
magro e crespo come un pioppo,
troppo piano!

Sfoltisce la casa nei giorni, e dirada;
foscamente in seno piscia
così un passero di più
che da lunga piova torni e
posi agli orli della roggia
dove tu t'insogni folti
i contratti sindacali
e la tua rosa dei venti liscia.

Addio, ma cercala, a più non posso,
come cerchi l'unità
coniugale, ch'è si ligia
al tesoro delle vene
grosse, erte. Ma cercala
ancora, perché nel tuo corpo
nostri passi hanno creato
l'uomo fisico: un garofano rosso.

Solerte fronte, come l'onda
del ginocchio silenzioso,
tutto mosso; tonda e saporita!
là ti lambisce
con memorie la brina.

Quella è una fina
Lombardia, dentro e fuori
del tuo petto; resta rada
e visibile la schietta
opera umana. Quindi lascia

e lascia che vada
come viene: i tempi
non mutano, non mutan
come il vento, ma più piano
ancora, perché nel tuo corpo
nostri passi hanno creato l'uomo
fisico: un garofano sano.

E musico estemporaneo
alla pergola degli Scotti,
alle nozze dei suoi fratelli
mio padre, murator
e ardente, pratico, pulito,
e sullo stomaco un dito di pelo.

Ma ogni notte ogni giorno
ogni nuvola, perdiamo
di vista, noi due così discosti,
interamente il medesimo cielo.

Sai tu se l'anima
si unisce, così giovane,
così sola? e si salva? Io
tuo figlio, tuo ramo,

immagino, ed immagino
dalle nostre parti la brina
e il latte e l'aria di mattina
sia una cantata matta
ma un'armonia: un danno!

Ebbene. Ebbene tu conosci
al giorno d'oggi, proletario
nel lume della tuta,
albe utili e pure, di tempo
in tempo. Minuta
è l'ora che ti duole
e dolce spira in tutto
quel che arrivo a immaginare.

Ma mi piace se il tuo universo
non è mai, segretamente,
sottonebbia, un po' diverso,
almeno, da quello che è.

Hai sempre una cosa
da ridere, in tasca,
un sacro profitto, una frasca
del risparmio. Giocheremo
quindi il giuoco della vita
con la tua eredità?

Qualche notte io gridavo:
"Tu, tu, ..."
  Milano è un cuore
mortale nei fianchi
della nebbia, una ferita.

Oh, non credi che risuoni,
in terremoto o in giubilo
il corno di Roncisvalle,
e come una bandiera,
di là dalla tua moto,
di là dalla frontiera?

Così crederò fermamente,
mio padre, muratore,
che tra la notte e il nubilo
fiato delle castagne, fischi
la tua moto monotona
o veloce come il polso
in costa alle montagne,
ed una lancia arrischi
il clakson nei galoppi
delle melighe e dei pioppi.


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