Lei che
cosa farà?
Che cosa
vuole ch’io faccia?
Un anno
fa cominciava con un prologo in cielo.
Scrivevo
che la vita dell’uomo è dura,
che è
malato di ragione e di sogni,
lo definivo
una locusta che non sa starsene fermo
e grida
sempre on the road, on the road,
ma poi
rimane a casa.
Vi comparivano
il Signore, gli angeli e ovviamente Mefistofele.
Dopo il
prologo, una specie d’introduzione:
c’erano
subito lui, cioè io, e lei, cioè tu
e scrivevo
preoccupandomi che il mio stile fosse preciso
e venisse
fuori un senso che fosse verosimile
anche per
chi ammesso che abbia letto poesie
non sa
cosa farsene dei poeti.
Ero strano
a quei tempi,
lo sono
ancora oggi, e anche di più,
ma qualcosa
è cambiato.
Ho capito
che è impossibile essere veramente soli,
e c’è
sempre qualcuno o qualcosa che ci distrae.
Ho capito
anche che le donne sono come la vita
e somigliano
alla cacca dei pesci in fondo all’oceano.
Non sai
mai se ciò che odori l’ha lasciato lì una balena
o un branco
di cefalotti. Ho capito altre cose
ma non
so se ho fatto bene.
Ma chi
l’ha detto che prima si vive e poi si scrive?
Peter dice
che scrivendo si vive in quantità enormi
e anche
se è chiaro che in paradiso
quelli
come noi non ci andranno mai
vale sempre
la pena fare un tentativo e vedere come va a finire.
Così
ho cambiato tutto e ti ho chiamato Beatrice,
perché
Beatrice
c’est toi e non vorrei
che ci
sia qualcun’altra ad attendermi al capolinea.
Il fatto
è che ne ho le palle piene di fare il poeta
e non mi
rimane molto per essere beato
o per pagare
il conto.
Tesoro,
il mio cuore è pieno di turbamenti.
E per quel
che ne so ne è pieno anche il tuo.
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