Io
non
sono mai partito da Itaca né ad Itaca sono mai tornato.
Non ho
visto Priamo piangere sul corpo del figlio, né odorato
il profumo
del legno con cui erano fatte le assi del cavallo
da cui
sbucarono a notte i guerrieri che avrebbero distrutto
una città
e fondato l’impero di una civiltà. Non ho rubato le armi
di Aiace
né mai ho convinto Circe o Calipso a donarmi
per amore
il corpo o la giovinezza, l’estasi o l’oblio.
A casa
non ho mai avuto Penelope ad attendermi né Telemaco
ha mai
cercato il padre che non sono mai stato. Sono arrivato qui per caso,
qui dove
non fioriscono gli ulivi e le mandorle non hanno il sapore
dell’estate
e della sete. Ho visto molto, ho visto troppo, o troppo
poco. Quanto
basta per capire che in quel poco di spazio
che c’è
tra un pianeta e le stelle c’è posto per tutto,
e che ogni
giorno è felice se vuoi che lo sia,
e pieno
di dolore, se non sai farne a meno.
Ora sogno
di varcare un giorno le colonne d’Ercole
e d’incontrare,
su una montagna bruna che esce dal mare,
un uomo
che abbia il mio volto, le mie mani, i miei occhi
e mi dica:
eri tu che io aspettavo, eri tu.
Non incontrerò
mai quell’uomo, lo so,
ma a notte,
mentre una donna che somiglia a Penelope
mi carezza
con una tenerezza che Penelope non ha mai avuto,
sento che
quell’uomo, nel buio, mi guarda
e mi parla
di un‘isola lontana, dove non sono mai stato,
dove non
andrò mai perché è tempo ormai
di essere
felice, qui, in questa via chiassosa di Manhattan
dove guardando
un fast food intuisci
che il
tempo è un’invenzione degli dei
che hanno
invidia per gli uomini che muoiono.
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