Eri
la carceriera del tuo assassino –
e questo
ti imprigionava.
E poiché
io ti ero nutrice a protettore
la tua
condanna era anche la mia.
Facevi finta
di sentirti al sicuro. Quando ti nutrivo
mangiavi,
bevevi a inghiottivi
lanciandomi
da sotto le palpebre occhiate insonnolite,
da poppante.
Tu nutrivi
la furia del tuo prigioniero, nella segreta,
attraverso
la toppa –
Poi, con
un sol balzo, come punta da qualcosa, risalivi
la buia
scala a spirale.
Visi giganti
di papaveri ardevano e si annerivano
alla
finestra.
« Guarda! »
indicasti:
un merlo lottava per estrarre
un verme
dal suo collo di bottiglia.
Il prato
era come la pagina intatta in attesa
di un
rapporto
carcerario.
Di ciò
the vi sarebbe stato scritto a da chi
non mi
curai.
Un essere
muto, che si contorceva davanti alla fornace
sulla sua
forca di demone,
era una
penna the già scriveva
il torto
èragione, la ragione torto.
traduzione
di Anna Ravano
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