Per
quanto
sepolto nelle tenebre della mente
percepisco
un uccello di luce nei suoi profondi meandri
che lotta
contro il rapace volo e m’incatena
alla legge
della ragione. Intrappolato nell’angelico intelletto
non posso
scontrarmi in quanto uomo con quello dell’uomo.
A mente
sgombra allora, mai getterò alle ortiche
quest’urgenza
salmastra di conoscere me stesso?
Dalla mia
anima voglio solo ciò che è inferiore al cane,
lo sterile
punto dove convergono gli ordini del mondo,
là
dove sotto l’eterno cambiamento niente vive né permane,
tranquillo
vegetando nel perfetto odio per la mia ombra.
Come assetato
in abbondanti acque bramo l’assenza divina
esigendo
che la causa dell’amore torni al permanente segreto,
che la
sparizione dell’invisibile Essere Perfetto mi restituisca
la reale
capacità di godere per le mie numerose ferite,
che il
veleno del silenzio mi liberi dell’inumano futuro.
Ma quando
penso “voglio” soffro e basta in realtà.
Oh compassionevoli
padroni, allontanate da me il vero oggetto,
concedetemi
quelli che falsi sono,
segrete
piaghe che tra il corpo e l’anima scivolano,
passioni
senza cura come serpenti senza fine
delle quali
il cuore solo può essere responsabile!
Senza esser
tormentati dalla verità o dalla bellezza
tagliare
i lacci che all’amore redentore ci legano,
smettere
di sentire, dire, fare, piangere, eliminare dagli occhi
la madre,
da un trono indifferente guardarla agonizzare
come un
glauco mollusco arenato sulla spiaggia,
affinchè
cessi la febbrile santificazione del Sapere,
affinché
la ferita sia solamente ferita
in una
carne che d'essere necessità dell'anima rifiuta.
Traduzione
di Antonio Bertoli
|
|