Multos
iuvenes carmen decepit. Nam ut quisque versum pedibus instruxit
sensumque teneriore verborum ambitu intexuit, putavit se continuo in
Heliconem venisse. Ceterum neque generosior spiritus vanitatem amat,
neque concipere aut edere partum mens potest nisi ingenti flumine
litterarum inundata. Refugiendum est ab omni verborum, ut ita dicam,
vilitate et sumendae voces a plebe semotae, ut fiat "odi profanum
vulgus et arceo". Praeterea curandum est ne sententiae emineant extra
corpus orationis expressae, sed intexto vestibus colore niteant.
Homerus testis et lyrici Romanusque Vergilius et Horatii curiosa
felicitas. Ceteri enim aut non viderunt viam qua iretur ad carmen, aut
visam timuerunt calcare. Ecce belli civilis ingens opus quisquis
attigerit nisi plenus litteris, sub onere labetur. Non enim res gestae
versibus comprehendendae sunt, quod longe melius historici faciunt, sed
per ambages deorumque ministeria et fabulosum sententiarum tormentum
praecipitandus est liber spiritus, ut potius furentis animi vaticinatio
appareat quam religiosae orationis sub testibus fides.
Petronio,
Sat.
118. 1-6 passim
Accade
spesso a chi oggi si occupa di poesia di
dover ammettere che è in aumento
il numero di quanti sono dediti all'abitudine della
scrittura, specie di quella
che volgarmente è definita poetica. Blog, social-network, chat e
altri fenomeni
del genere testimoniano che un numero sempre più alto
di
esemplari della specie, disdegnando attività poco rassicuranti e
scarsamente
nobili quali, ad esempio, spacciare droga o trafficare armi,
preferisce impiegare il
tempo della proprio vita, qualunque e quanto esso sia, in faccende che,
proprio
perché non direttamente centrate in quella sfera della
sopravvivenza, che è
sempre, e tout court, economica, possano fornirli della rassicurazione,
da
trasmettere anche agli altri, che la parola vale più dell'euro.
E, in effetti,
non si può negare che scrivere poesie sia certamente
socialmente, e storicamente, e
- perché no? - anche moralmente attività da
preferire a tutte quelle, e sono
numerose, attraverso cui c'è qualcuno che non a torto matura la
convinzione che quanti scrivono
poesie siano fannulloni e perditempo. Accade anche, e spesso, a chi si
occupa oggi di
poesia di dover constatare che quelli che storicamente ebbero il compito
di rendere comune il bene (o la merce) della
poesia (e della letteratura), cioè gli editori, sono oggi
ridotti, il più delle
volte, ad agenzie di servizi, che consentono a chiunque, purché
disposto a
pagare, di rendere pubblici i propri sublimi meditati lamenti d'amore e
le
proprie ossessioni. Mai le librerie furono così piene di libri.
Ma chi li
legge, se non chi li ha scritti? E mai fu data a tutti la
possibilità di vantarsi di aver prodotto, in
sedicesimi,
verificabili al tatto e all'odore, e con in copertina il sigillo del
proprio
nome, oggetti che con un poco di fortuna, che non guasta mai nelle cose
umane, potrebbero restare nella memoria della specie
per più di una generazione ed essere più duraturi del
bronzo e delle piramidi.
Ebbene, accade a chi si occupa oggi di poesia, e si trova,
per incoscienza, passione o più semplicemente
perché non ha altro da fare, a manipolare testi in rete (ed
è quanto
puntualmente accade a chi scrive), di imbattersi in strane
creature, che non senza un pizzico di
narcisismo che è necessario nella vita se non altro
perché segno di quella
autostima che anche la moderna didattica dichiara uno dei cardini
fondamentali
di cui dovranno essere dotate le generazioni a venire, dilagano e
invadono la
rete con testi in cui, puntualmente, dopo l'ultimo verso, è
presente il segno
del copyright, per ricordare, a quanti non lo sanno, che la
proprietà privata è
un diritto naturale e inalienabile dell'individuo. In una rete che non
sa cosa
farsene di proprietà privata e diritto d'autore e riguardo alla
quale c'è da
chiedersi se non sia mai la cosa che,
dileguatosi il proletariato, e ogni forma
di opposizione, provvederà a liquidare il mondo oggi esistente e
ad offrircene
un altro che noi certamente non vedremo. Accade anche di verificare che
i
poeti, anche loro, abbiano sempre più fretta, come tutto
ciò che ci circonda:
prima una poesia al giorno, poi una a mezzogiorno e una la sera, poi
tre, poi
ogni ora, come se il mondo non attendesse altro che la loro
parola per
convincersi di essere il migliore dei mondi possibili. Tutti vogliono
essere
presenti, subito e prima degli altri: del resto, il Grande
Fratello ha smesso da
tempo di essere metafora e simbolo e da tempo tutti, anche i poeti,
vogliono
avere nella società dello spettacolo una particina che sia pari
almeno a quella di escort, buffoni di corte e
imperatori con la faccia di petrolini. Solo che è noto a tutti a
cosa servano
escort, buffoni e napoloni.
Certamente è meno noto a cosa siano utili i poeti.
Vico Acitillo 124 - Poetry wave riprende
da qui.
Dalla
consapevolezza che la poesia è inutile. A chi la scrive e a chi la legge.