Nel
caso dell’autoironia, poi, la matrice sarebbe senz’altro quella
tragica,
espressione della disperazione di chi ha perduto questo mondo e insieme
se stesso. Subentra allora, dice ancora Cioran, “ un riso amaro,
velenoso
e sinistro (…), e sulle rovine dei sorrisi dolci e carezzevoli
dell’ingenuità
appare il sorriso dell’agonia, più contratto di quello delle
maschere
primitive e più definitivo di quello delle statue egizie.”
Forse
Cioran è un po’ troppo drastico , in particolare su quest’ultimo
punto:
-l’esperienza
del dolore a volte chiude, a volte apre nei confronti del prossimo-,
ma
in questa premessa la sua lucida analisi concorre ad evidenziare le
implicazioni
sottese alla qualità ironica della poesia di Wendy Cope.
Quanto
alla sua “leggerezza”, già in “Wendy Cope: l’ironia della
Musa”(Poesia
104) M. Paola Bartocci trovava la definizione troppo riduttiva, se
limitata all’accezione più comune, arricchendola di quella che
Calvino
chiama leggerezza della pensosità, antitetica alla leggerezza
della
frivolezza: “ La leggerezza per me si associa con la precisione e
la
determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.” Leggeri
come l’uccello e non come la piuma, per citare Valery.
Tornando
al primo punto, per la Cope, oltre che d’ironia (e di autoironia)
sembra
più opportuno parlare di humour, non nel senso grottesco
che assume in Pirandello ( dove il sentimento del contrario vela di
pianto
lo sguardo dapprima inclemente dello scherno), quanto piuttosto nel
percorso
inverso: nella modalità, attribuita da Calvino esemplarmente al
sommo bardo, consistente in “quella speciale modulazione lirica ed
esistenziale
che permette di contemplare il proprio dramma come dal di fuori e
dissolverlo
in (…) una speciale connessione tra maliconia e umorismo, dove la
malinconia
è la tristezza diventata leggera e lo humour è il comico
che ha perso la pesantezza corporea. (…) “non una melanconia compatta e
opaca, ma un velo di particelle minutissime di umori e di sensazioni,
un
pulviscolo di atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima
sostanza
della molteplicità delle cose.”
La
Cope ha il merito di saper condensare questi vapori malinconici nel
nitore
di lucidissimi versi, di rime affilate presentate nella
sottomodulazione
di un’eleganza “casual”, che da un lato le ha giustamente
garantito
la fiducia di una casa editrice come la Faber, dall’altro la
gratificazione
di un largo successo di pubblico anche non specialistico.
1.
A Christmas Poem
At
Christmas little children sing and merry bells jingle,
The
cold winter air makes our hands and faces tingle
And
happy families go to church and cheerily they mingle
And
the whole business is unbelievably dreadful, if you’re single.
Una poesia
di Natale
A
Natale cantano i bimbi, tintinnano allegre campanelle,
l’aria
del freddo inverno di viso e mani ci fa tirar la pelle
e
famiglie felici vanno in chiesa, mescolandosi liete nella folla
e
non sai come l’insieme sia penoso se tu sei zitella.
2.
Bloody Men
Bloody
Men are like bloody buses-
You
wait for about a year
And
as soon as one approaches your stop
Two
or three others appear.
You
look at them flashing their indicators,
Offering
you a ride.
You’re
trying to read to destinations,
You
haven’t much time to decide.
If
you make a mistake, there is no turning back.
Jump
off, and you’ll stand there and gaze
While
the cars and the taxis and lorries go by
And
the minutes, the hours, the days.
Dannati
maschi
Dannati
maschi, come i dannati bus-
tu
aspetti, magari per un anno
e
appena uno ti si accosta alla fermata
ne
spuntano altri due o tre.
Li
guardi mentre accendono le frecce,
offrendoti
una corsa.
Cerchi
di leggere le destinazioni,
hai
solo poco tempo per decidere.
Se
fai uno sbaglio, non c’è più ritorno.
Salta
giù, e starai là a guardare
mentre
le auto e i taxi e i camion se ne vanno
con
i minuti, con le ore, i giorni.
3.
Kindness to Animals
If
I went a vegetarian
And
didn’t eat lambs for dinner,
I
think I’d be a better person
And
also thinner.
But
the lamb is not endangered
And
at least I can truthfully say
I
have never, never eaten a barn owl.
So
perhaps I am OK.
Delicatezza
verso gli animali
Se diventassi
una vegetariana
e per cena
non mangiassi dell’agnello
come
persona sarei, penso, più sana
e
pure con un fisico più snello.
Ma
l’agnello non rischia l’estinzione
e
posso dire almeno senza esitazione
che
mai, giammai ho divorato una civetta,
pertanto,
forse, sono già corretta.
da
Wendy Cope, Serious Concerns, Faber and Faber, 199:
Copyright
Wendy Cope 1992 (Traduzione di Fiorenza Mormile)
Queste
traduzioni sono state pubblicate (insieme ad altre) su Fermenti 222
(Novembre
2000) in “Tra sense of humour e ironia: la leggerezza
pensosa
di Wendy Cope” a cura della stessa Mormile, da cui è estratta
anche
l’introduzione ai testi.
La
poetessa inglese Wendy Cope è nata a Erith (Kent) nel 1945 e dal
1994 residente a Winchester.
I suoi libri
di poesia (Making Cocoa for Kingsley Amis; Serious Concerns, pubblicati
dalla Faber and Faber) hanno raggiunto in patria un altissimo volume di
vendite, ( sulle cinquecentomila copie). Dal 1993 è Membro della
Royal Society of Literature ed ha ricevuto vari riconoscimenti anche
all’estero
(American Academy of Letters Michael Braude Award for Light Verse
1995).
In
Italia una sua scelta antologica di 16 poesie è uscita sul
numero
104 (Marzo 1997) di Poesia, a cura di M.Paola Bartocci “Wendy Cope:
l’ironia
della Musa. La poesia “A Christmas Poem”, è citata, tra l’altro,
ne “Il diario di Bridget Jones”, bestseller di Helen Fielding
recentemente
pubblicato nei Super Pocket Sonzogno nella traduzione di Olivia Crosio.