Esergo
Non si
sa mai cosa volere, perché, vivendo una sola vita, non possiamo né
paragonarla con le precedenti, né migliorarla in quelle a venire.
Milan Kundera,
L'insostenibile leggerezza dell'essere
Prefazione
dell'autore
Ho scritto
e pubblicato il mio primo racconto nel 1963, cioè venticinque
anni
fa, e da allora sono sempre stato attirato dalla forma racconto. Penso
che in parte (ma solo in parte) la mia propensione verso questa forma
breve
e intensa sia collegata al fatto che oltre che narratore sono anche
poeta.
Ho cominciato a scrivere e pubblicare poesie e racconti più o
meno
nello stesso periodo, all'inizio degli anni Sessanta, quando andavo
ancora
all'università. Ma questa doppia identità di poeta e
narratore
non spiega tutto. Ho sviluppato una specie di dipendenza dalla
scrittura
di racconti e non sarei in grado di smettere neanche se lo volessi. E
infatti
non ci penso nemmeno.
Mi piace
il salto rapido di un buon racconto, l'emozione che spesso comincia
già
nella prima frase, il senso di bellezza e mistero che si riscontra nei
migliori esemplari; e il fatto ? di un'importanza cruciale per me
all'inizio
della mia carriera, ma una caratteristica essenziale anche ora ? che un
racconto può essere scritto e letto in una sola seduta (proprio
come una poesia!).
All'inizio
? e forse ancora adesso ? i migliori scrittori di racconti per me erano
Isaac Babel, Anton Cechov, Frank O' Connor e V.S. Pritchett. Non
ricordo
più chi è che mi ha passato una copia di Tutti i racconti
di Babel, ma ricordo benissimo il momento in cui mi sono imbattuto in
una
riga di uno dei suoi migliori racconti. Me la copiai su un taccuino che
a quei tempi portavo sempre con me. Il narratore, parlando di
Maupassant
e dell'arte del narrare, dice: «Non c'è ferro che possa
trafiggere
il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto».
Appena
l’ho letta la prima volta, questa frase mi ha colpito con tutta la
forza
di una rivelazione. Era proprio quello che volevo fare con i miei
racconti:
mettere in fila le parole giuste, le immagini precise, ma anche la
punteggiatura
più efficace e corretta, in modo che il lettore venisse
trascinato
dentro e coinvolto nella storia, e non potesse distogliere lo sguardo
dal
testo a meno che non gli andasse a fuoco la casa. Forse, è un
vano
desiderio chiedere alle parole di assumere la forza di azioni, ma
è
ovvio che si tratta del desiderio di un giovane scrittore. Ad ogni
modo,
l'idea di scrivere in maniera abbastanza chiara e autorevole da
coinvolgere
il lettore mi è rimasta. t tuttora una delle mie principali
ambizioni.
Il mio
primo libro di racconti, Vuoi star
zitta,
per favore?, non è uscito fino al 1976,
tredici anni dopo aver scritto il primo racconto. Il lungo intervallo
tra
la composizione, la pubblicazione in rivista e quella in libro è
dovuto in parte al mio precoce matrimonio, alle esigenze del dover
tirare
su due figli, ai molti lavori umili che ho dovuto fare, a quel poco di
istruzione universitaria che sono riuscito a procurarmi al volo. E poi
non c'erano mai abbastanza soldi in casa alla fine del mese. (è
stato proprio in questo lungo periodo che ho cercato di imparare il
mestiere
di scrivere e di essere sottile come la corrente di un fiume quando
pochissimo
altro nella mia vita era altrettanto sottile.)
Dopo i
tredici anni che mi ci sono voluti per mettere insieme il primo libro e
per trovare un editore che, bisogna aggiungere, era molto riluttante a
imbarcarsi in un'impresa tanto bislacca ? pensate un po’, il primo
libro
di racconti di un autore sconosciuto! ? ho cercato di imparare a
scrivere
rapidamente quando avevo tempo, componendo racconti quando lo spirito
era
con me e lasciando che si accumulassero nel cassetto; e poi tornare a
rileggerli
con attenzione e freddezza in seguito, da una certa distanza, dopo che
le acque si erano calmate, dopo che le cose, purtroppo, erano tornate
alla
"normalità".
Inevitabilmente,
visto che la vita è quello che è, ci sono anche stati
grossi
pezzi della mia vita che sono semplicemente spariti, lunghi periodi in
cui non ho scritto narrativa. (Quanto vorrei poter recuperare quegli
anni
ora!) A volte passavano uno o due anni in cui non riuscivo neanche a
immaginare
di scrivere racconti. Spesso, però, riuscivo a impiegare un po'
di quel tempo a scrivere poesie e questo fatto si è rivelato
importante
perché scrivendo poesie ho evitato che la fiamma vacillasse e si
spegnesse del tutto, come a volte temevo sarebbe successo. In qualche
modo
misterioso, almeno così mi pareva allora, sarebbe tornato un
tempo
in cui dedicarsi di nuovo alla narrativa. Le circostanze della mia vita
si sarebbero aggiustate o perlomeno migliorate e il feroce desiderio di
scrivere si sarebbe ancora una volta impossessato di me e avrei
ricominciato.
Ho scritto
Cattedrale ? otto di questi racconti sono ristampati qui ? nell'arco di
quindici mesi. Ma nei due anni precedenti l'inizio del lavoro su questo
libro, mi ero trovato in una fase di inventario, avevo bisogno di
capire
dove volevo arrivare con le storie che avrei scritto e come le avrei
scritte.
La raccolta precedente, Di cosa
parliamo quando
parliamo d'amore, aveva per molti versi rappresentato
uno spartiacque per me, ma era anche un libro che non volevo riscrivere
né duplicare. E così mi sono limitato ad aspettare. Ho
insegnato
all'università di Syracuse. Ho scritto poesie e recensioni, uno
o due saggi. E poi una mattina è successo qualcosa. Dopo una
buona
notte di sonno, sono andato alla scrivania e ho scritto il racconto
"Cattedrale".
Sapevo che per me quello era un racconto diverso, non avevo dubbi. Non
so bene come, ma avevo trovato l'altra direzione verso la quale volevo
andare. E ci sono andato. Di corsa.
1 nuovi
racconti pubblicati qui sono stati scritti dopo Cattedrale e dopo che,
per fortuna, avevo deciso di prendermi "una vacanza" di due anni per
scrivere
due libri di poesia. Sono sicuro che questi racconti sono di natura e
di
livello diversi rispetto a quelli precedenti (o perlomeno, io sono
convinto
che lo siano e credo che anche i lettori siano d'accordo con me.
Però
uno scrittore vi dirà sempre che vuole credere che la sua opera
subirà una metamorfosi, un cambiamento di rotta, un processo di
arricchimento se si è dedicato al suo lavoro per parecchio
tempo).
La
definizione
che V.S. Pritchett dava di racconto è: «qualcosa di
intravisto
con la coda dell'occhio, di sfuggita». Prima c'è qualcosa
di intravisto. Poi quel qualcosa viene dotato di vita, trasformato in
qualcos'altro
che illumina l'attimo fuggente e magari si insedierà in modo
indelebile
nella consapevolezza del lettore. Entrerà a far parte
dell'esperienza
del lettore, come ha detto benissimo Hemingway. Per sempre, spera lo
scrittore.
Per sempre.
Se siamo
fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l'ultimo paio
di
righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in
silenzio.
Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena
scritto
o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un
piccolo
passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro
corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso
a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o
lettori,
ci alzeremo e, «creature di sangue caldo e nervi», come
dice
un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione:
la
vita. Sempre la vita.
Leggetelo.
Leggete ogni cosa che Carver ha scritto. (Salman Rushdie)
Bouvard
...
il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in
avanti
rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo
sarà
salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare
regolarmente,
ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e,
«creature
di sangue caldo e nervi», come dice un personaggio di Cechov,
passeremo
alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita.
Come se
fosse facile. Come se ciò scriviamo (e/o leggiamo) non
modificasse
per nulla la nostra percezione
dell'«ordine antico, e feroce, delle cose». Come se la
letteratura
da quell'ordine fosse sempre, e comunque, separata. E non fosse
anch'essa
vita.
Vivere come
si scrive. E si legge.
L'avvicinamento
all'essenziale. L'avvicinamento a.
Per gradi,
approssimazioni, scorciatoie e corto circuiti.
Per ferite.
E folgorazioni. E perdite improvvise.
Ho letto Cattedrale alle tre di notte. Da dove sto chiamando
alle quattro.
Alle sei
l'alba: da quel giorno tutte le albe sono state diverse.
Creatura
di sangue caldo e nervi,
ho scoperto
di avere un buco al posto del cuore,
di essere
occupato a vivere.
Pécuchet
è d'accordo!