1) Posto
che la società nella quale viviamo e di cui in ogni modo siamo
parte,
risulta fondata su quel che si dice ragione, constatiamo la
qualità
rudimentale di siffatto strumento e la sua inadeguatezza rispetto ad
esigenze
altrettanto comuni; ciò porta alla conclusione che l'uomo vive
al
di sotto delle proprie possibilità e degli stessi suoi mezzi,
fatto
evidente oggi più che mai. Riteniamo che la dimensione umana che
più viene sacrificata da tale stato di cose è quella
estetica,
nella quale si assommano tutte le istanze che invano, per millenni,
surrogati
filosofici e religiosi hanno tentato e tentano di controllare, e nei
cui
confronti applicano di continuo la liquidazione o l'ostracismo, o
inalberano
lo scherno e l’ostentato compatimento. Una storia del lavorio estetico
dell'ultimo trentennio, (origini e manifestazioni sempre pin certe) non
può essere tentata che ai limiti dell'esperienza individuale,
iscrivendone
i punti nodali nel quadro dello sviluppo del più generale
dibattito
culturale. Ciò non mancherà di far emergere
l’inautenticita
di buona parte del dibattito stesso e degli esiti raccomandati,
rivelando
al contempo gli sbarramenti consapevolmente opposti agli esiti
più
allarmanti, nel quadro di una strategia della sopravvivenza e
dell'ordinaria
amministrazione dell'esistente. Tali fenomeni sono paralleli al
processo
di superamento dell'efficacia dei regimi "moderati", e giungono fino
alle
odierne brucianti esperienze che avviano a una rimessa in discussione
della
stessa govemabilità degli stati.
2) Lo
stato
delle cose negli anni '50 era tale che, ferma restando l’inalienabile
quanto
sterile possibilità del canto individuale, più o meno
sommesso
ma sempre sommerso, qualsiasi intenzionalità diversamente
orientata
non poteva che rimanere per l’appunto allo stadio delle intenzioni,
perché
essendo impossibile scegliere un canale diverso (soprattutto per
l'impreparazione
ad inventarlo ed usarlo da parte dello stesso soggetto), qualsiasi
spinta
o visione non poteva che naufragare e perdersi di fronte alla
banalità
dell'esito, ed anche perché, pensandosi e concependo
esclusivamente
sub specie letteraria, idea e spinta stesse finivano con il presentarsi
come l'insipiente e il troppo poco. Troppo poco, infatti, ed insipiente
era qualunque cosa circolasse, quasi quanto le stesse conversazioni dei
letterati. L'artista ancora giovane scimmia, interessato alla resa
della
soggettività e della vita di relazione di questa, non poteva non
avvertire tali angustie proprio nei termini che si sono appena detti.
Lo
spaccare il capello in quattro a mezzo della scrittura, dopo Proust,
era
stato provato incongruo dalla scrittura automatica, che produceva testi
di complessità non minore della scrittura a progetto, ma
assolutamente
incomunicanti e, nella pratica, anche incomunicabili. La piccolezza del
mondo negli anni '50 veniva sempre più proponendosi come un
punto
di svolta.
3) Ancor
più della consapevolezza dei fenomeni ora citati si imponevano
altri
complessi fenomeni che allora vennero definiti come civiltà
dell'immagine
e civiltà delle macchine. Essi dicevano chiaramente che, con le
parole, non si raggiungeva più il centro di gravità del
mondo
perché i soggetti ora erano lì, nelle pagine dei
rotocalchi
o al cinema, circonfusi dalla gloria di mille rivelazioni non verbali.
Questi stessi soggetti erano stati ripresi da macchine e venivano
proiettati
o riprodotti com'erano stati ripresi, da altre macchine. Pensieri
molesti
attraversavano le nostre riflessioni e l’inflazione verbale, come
quella
di uno strumento ormai inutile, si rivelava irreversibile specie nella
particolare accezione del linguaggio pubblicitario: nel cinema, ad
esempio,
chi produceva mai meno di un capolavoro? E intanto, mentre il poeta e
lo
scrittore in generale venivano sempre più identificati come
autori
di letteratura, l’esistenza stessa di quest’ultima diventava sempre
più
problematica, si capiva sempre meno perché venisse studiata
nelle
scuole e non si voleva, come ancora non si vuole, ammettere che la
letteratura
non è più un fenomeno d'interesse sociale.
4) Il
canto
individuale rimaneva ed era fuga e rifugio dalla società,
<<estrema
voce del soggetto nascosto ed introverso ... modo analogico ed
evocativo
di trovare negli abissi dell'io, di un io sempre più profondo e
tutto abbandonato a se stesso, il nulla, il silenzio modulato in una
maniera
di abolizione degli oggetti o figurato in una maniera di esaltazione o
di concentrazione simbolica degli oggetti stessi... sintesi
illuminante,
pregnante e veloce nel rigore calcolato, coltivatissimo e raro della
parola,
affidata talora alla carnalità del sintagma, talora ad un
ritaglio
significante dell'effimero... tale che si è resa conto delta
propria
temporalità ... >> (L. Anceschi, in Il Verri, n. 1 1962,
p. 15).
Ma se tutto ciò definisce, con buona scorta d'illusioni, il
canto
individuale e solitario nel deserto, codifica ancora i motivi di non
validità
del medesimo sul piano sociale odierno; i motivi dell'inefficacia di un
esercizio anacoretico, per l'appunto che si farebbe meglio a praticare
scrivendolo con l’acqua. I casi della letteratura narrativa e teatrale,
con la patetica pretesa di una maggiore modernirtà, finivano per
rivelarsi come l'aggrapparsi al conosciuto, rassicurante scoglio di una
"diversa" efficacia, ancora pur sempre tutta da dimostrare.
5) Eppure
la clamorosa, spettacolare ondata di interesse promosso in tutti i
sensi
dalle avanguardie storiche c'era già stata, insieme alla breccia
da esse esplicitamente praticata nelle istituzioni estetiche
tradizionali,
nel senso ed in favore proprio dei nuovi mezzi della visione e della
tecnica,
vale a dire delta nuova qualità delta vita per esse avanguardie
gia allora chiaramente delineata. Ma il venir meno e lo scaricarsi
delle
tensioni interne proprio dei movimenti estetici e poi il clima
culturale
dei regimi autoritari e moderati che ad essi succedettero avevano
finito
per frustrare i conati, fatto rientrare i troppo audaci interessi,
spenta
ogni virulenza e le stesse possibilià di quei movimenti. Le
repressioni,
del resto, funzionano sempre e giovano proprio a chi le mette in opera,
né ciò deve fare meraviglia perché esse, lungi
dall'essere
quello strumento miope e ottuso che piacerebbe che fossero, finiscono
col
rivelarsi efficaci anche in prospettiva, perché la ripresa del
represso,
se mai ci sarà, avviene sempre in chiave diversa e
addomesticata,
comunque compatibile con i principi ammodernati venuti in auge dopo il
successo delta repressione. Ma l’indicazione a guardare altrove dai
luoghi
e istituti deputati dell'estetica era stata data, i nuovi spazi
rimanevano
designati e le due componenti necessarie delle opere prodotte, la
destruens
e ]a construens, rimanevano da analizzare.
6)
Tuttavia,
nell'arco degli anni fra i Trenta e i Cinquanta, era venuta
perpetrandosi
in Europa una vera e propria rimozione, alla quale concorsero in ugual
misura i regimi autoritari, quelli moderati e la sinistra. Verso lo
scorcio
di questo periodo, nella generazione che non poteva avere memoria
diretta,
prese a manifestarsi sempre meno confusamente la questione su che conto
fosse da tenere di certe esperienze di un passato, tutto sommato
abbastanza
recente, di cui pur attraverso isterismi e sufficienze si comprendeva
ch'erano
state ardite e spregiudicate. Tutto ciò nelle presenti angustie
poteva essere importante conoscere ed era proprio il caso di togliere
finalmente
l’embargo gravante su quei processi e sui loro possibili effetti.
Perché
accadeva che, di fronte alla nozione di futurismo, a sinistra si
insorgeva
decisamente e, identificandolo tout court con il fascismo lo si
designava
come improponibile, anzi tabù. La stessa cosa accadeva nei
riguardi
del surrealismo, troppo legato a Freud, sul quale pure gravava
interdetto
per non parlare di quegli oziosi perdigiorno che furono i dadaisti. Se,
inoltre, la cultura cattolica ignorava le avanguardie, era per il buon
motivo che le riconosceva irriducibilmente a sé avverse; ma,
passando
alla cultura laica, attestata in Italia su posizioni tardo crociane, si
poteva constatare che essa continuava imperterrita a ignorare
ringhiosamente
ogni novità. Tutti poi amministravano quel che c'era, vale a
dire
residui della cultura prefascista, tardo ermetismo, neorealismo, autori
impegnati e disimpegnati.
7) Se, a
sinistra, 1'engagement serviva da copertura allo stalinismo,
zdanovismo,
realismo sociasta, il sostanziale crocianesmo culturale del PCI finiva
per convergere con quello de Il Mondo nell'indicare moduli
narrativo?saggistici
e satirico?caricaturali come quelli finalmente moderni in senso
autentico,
come loro pareva; e intanto acquistavano fama le opere narrative di
Sartre
e Camus e in particolare da noi imperversava una pletora di pittori
tardo-ottocenteschi
e rozzamente realistici secondo una gamma di infinite varietà.
Non
restava che l’area intorno alla poesia lirica, la più libera
(l’area,
non la produzione) da prevenzioni e ricca di possibilità, e
inoltre,
nel campo delta pittura europea e americana, il mercato manteneva in
auge
nomi ben diversi da quelli italiani. Del resto, a ben vedere,
ciò
che si voleva ostracizzato, era tutto quanto era avvenuto di nuovo
nella
cultura da Rimbaud e Mallarmé in poi. Anche i clamorosi
scrittori
americani che invasero Parigi negli anni Venti, come la stessa
industria
cinematografica hollywoodiana (al cui modello finirono poi per
uniformarsi
tutte le altre), non avevano agito da potenti stimoli e strutture
portanti
per un massiccio rientro nell'ordine delle opere concepite in base al
consenso
del pubblico a priori?
8) Ma,
dalla
zona operativa intorno alla poesia filtravano nomi e nozioni che,
nonostante
il modo in cui erano presentati, finivano più per accendere che
per appagare la curiosità della giovane scimmia. Tutto quel che
di nuovo era avvenuto nella cultura, dalla fine dell'Ottocento in poi,
attraverso i fumosi discorsi dei critici, che se ne servivano da
riferimento
ed illustrazione delle loro elucubrazioni, rivelava l’esistenza di modi
diversi e spazi più ampi. I riferimenti e le citazioni erano
fatte
per scopi artemantici e per dare un'aria di sofisticatezza al discorso,
ma il loro senso chiaramente voleva essere: ci sono stati fenomeni
scandalosi
e malgrado tutto affascinanti (non sempre era chiaro perché);
noi
ne abbiamo ampia conoscenza e nozione spesso diretta, ma indichiamo
solo
per segnalarne i portati da noi accettabili, e solo quelli,
perché
quelle ricerche quei movimenti sono giustamente dannati all'oblio, e se
qualche innovazione hanno mai apportato non manchiamo di farla
rilevare.
Si pretendeva, insomma, che quei novatori avessero per loro conto
scelto
generosamente la via delta perdizione solo perché un giorno
qualche
dipinto di Guttuso o qualche scritto di Moravia presentasse qualche
carattere
di modernità dello stile (fraseggio ellittico e
allusività,
uso dell'analogia, notazione rapida e <<oggettiva>>), ma
niente di
più, perché, tutto sommato, in questo paese non conviene
mai che il volgo dei profani vada addentro le secrete cose.
9) Una
rassicurante
letteratura, o pittura, "degne" al tutto della bella tradizione
peninsulare,
potevano dunque fregiarsi di siffatte arditezze per sentirsi in regola
con i tempi. Ciò però non bastava a fugare il sospetto,
tendente
a diventare certezza, che i precursori e le avanguardie avevano
indicato
ed aperto all'estetica strade alternative a quanto si voleva che
continuasse.
Il fatto era confermato dalla sempre minore credibilità dei
prodotti
che pretendevano invece di essere rassicuranti: scrittori ed artisti
riuscivano
sempre meno a credere in ciò che facevano, e si trovavano
difficoltà
sempre maggiori a dover spiegare che cosa e perché facevano ad
un
pubblico sempre più distante e improbabile. La giovane scimmia
di
formazione letteraria, abituata a considerare la letteratura il mezzo
principe
per la resa a livello sociale della soggettività, non poteva non
sentire ormai la pochezza e l’inefficacia del mezzo e lo stesso venir
meno
del soggetto, la cui dimensione non era più quella privata.
10) Il
cinema,
sulla scorta dell'esempio hollywoodiano, non sapeva che imitare e
produrre
la peggiore narrativa, specie a prescindere dagli onesti prodotti
artigianali:
anche in questo campo erano stati posti al bando gli esempi e le
sperimentazioni
italiane e francesi dei tempi eroici. Sembrava proprio che alla
letteratura
non fosse lecita altra via che quella lasciata in eredità da
Pirandello,
vale a dire il trattamento di problemi filosofico?morali applicati alla
psicologia ed alla sociologia spicciole. Entro pochi anni un ingegnere
cattolico avrebbe fatto di ciò uno spettacolare uso televisivo
e,
se per la televisione egli fu un pioniere, e certamente da considerarsi
un antesignano della confezione di spettacoli popolari prodotti in
serie,
in base al dosaggio di ingredienti prestabiliti e di prestabiliti
criteri.
Alla giovane scimmia fu allora spiegato che darsi alla poesia
significava
sottrarsi all'alienazione. Se così era, evidentemente
1'esproprio
di cui egli era vittima era stato perpetrato dalla chiusura di ogni
possibilità
del diverso, dal richiamo all'ordine delle intelligenze e delle
sensibilità.
A queste ultime non rimaneva che l'esasperazione, l’unica cosa di cui
si
potesse beneficiare senza licenza delli superiori>>, refrattaria
com'era
alla lottizzazione e alla <<zebratura>> delle aree
ripartite a seconda
delle ideologie. A questo punto, il rilievo che il vecchio mondo era
stato
più libero perché aveva lasciato rampollare le
avanguardie,
era solo una riflessione patetica.
11)
L'attività
culturale in Italia negli anni '50 si può descrivere come
dislocata
intorno a tre tipi di strutture molto diversi tra loro per costituzione
e ideologia, ma che raggruppavano tutto quanto esisteva di sedimentato
o in cerca di affermazione. Innanzi tutto si distingueva, nel campo
dell’attività
editoriale, per la vivacità e l'apparente spregiudicatezza degli
interessi, la casa editrice Einaudi, vicina alla sinistra ed in
particolare
al PCI. Veniva poi una variegata mappa di periodici e riviste il cui
esempio
più cospicuo fu il settimanale Il Mondo, nell'insieme più
rispondente ad un'idea di laicità e libertà del dibattito
culturale ed in ciascun caso facente capo a qualche mandarinato o
ristretta
oligarchia di notabili, misoneisti, di cui il periodico era emanazione.
Infine c'era la stampa e l'editoria ufficiale, il cinema con i
cinegiornali,
la RAI presto RAI?TV, e tutti i vari enti ed istituti
clientelistico?istituzionali,
emanazione di una cultura dominante che poteva presentarsi come
clerical?bigotta
o clerical?liberale, ma in ogni caso asfittica e conformista,
subordinata
al regime.
12) Ai tre
citati nuclei di promozione e produzione culturale mirava una modesta
quanto
ombrosa arcadia di nostografi, autori di cinema, pittori, qualche
musicista
a mezzo servizio presso il cinema. Dell'esistenza di questa colonia
faceva
fede Lafiera letteraria, stampata e diffusa <<sumptibus et
superiorum
permissu>>, e quanto ai rapporti tra la detta colonia e il
potere, le contrattazioni
avvenivano a livello personale e spesso erano rivolte alla cattura a
mezzo
prebende dei più indocili tra i meno ignoti. Gli ambulacri della
RAI-TV ancor oggi formicolano di cotali ammansiti. Ma lo scontento
degli
arcadi si rivelava in occasione di velenose polemiche
pseudosociologiche,
in cui si avvertiva distintamente solo il dispetto che essi provavano,
poniamo per il successo e la popolarità cui era assurto un
attore
di rivista fattosi presentatore di un gioco televisivo... 0 anche
nell'occasione
in cui decisero in gruppo numeroso di farsi autori di canzonette, ma di
alto livello, le quali, pubblicate in volume, presero il titolo di Giro
a vuoto. I clamori ch'essi levarono quando un ministro li
definì,
globalmente, <<culturame>>, così come la rinomata
polemica
relativa alla sconfessione da parte del PCI del Politecnico di
Vittorini,
ci sembrano cose appartenenti al folklore di quegli anni. Quando si
diede
inizio all'usanza dei premi letterari, il primo fu assegnato
all'edizione
purgata degli scritti di Gramsci e l’anno successivo lo stesso premio
andò
alla raccolta di novelle di uno scrittore meridionale, che non
dimenticherà
più l’onore fattogli di annoverarsi dopo Gramsci.
13) Stando
cosi le cose non si vede, né si vedeva, da chi e dove la giovane
scimmia avrebbe potuto ricevere lumi per,l'individuazione e la
liberazione
della soggettività, e ciò nei giorni grami della guerra
fredda,
in un mondo in cui le gerontocrazie guardavano ancora, come troppo
spesso
si continua a guardare, alla vita del villaggio, nonostante la
civiltà
industriale che avanzava con le aspettative crescenti e le
comunicazioni
di massa che inondavano angoli sempre meno remoti. In che modo la
giovane
scimmia avrebbe potuto rendere i segni più certi dei tempi e
della
specie nella sopravvivenza di modelli arcadici e in ogni caso arcaici?
Nonostante l’ingenerosita sia d'obbligo, non è evidentemente il
caso di chiamare a render conto, con la forza del senno di poi, la
società
italiana degli anni '50, del resto non dissimile da quella degli altri
paesi europei. Ci si limita solo a constatare la profonda efficacia di
quel che abbiamo chiamato repressione. Efficacia tanto più
profonda
perché, lungi dall'essere rozza e violenta, essa in Occidente
non
aveva affatto mirato a colpire i novatori e le loro opere, quanto ad
accademizzarli
e museificarli, in coerenza con un potenziato spirito di sopravvivenza,
il cui dispositivo fu d'allora incoraggiato ed alimentato, e continua
ad
esserlo. Da quando i futuristi avevano esaltato la maniera spiccia per
imporsi, era subito stato chiaro che invece bastava ridurre tutto a
<<problematica>>
perché tutto diventasse innocuo.
14) 1
regimi
autoritari e moderati del secondo trentennio del secolo furono
sufficientemente
accorti nel constatare che mancavano di una proiezione culturale che li
facesse sentire legittimi rappresentanti di una intera società e
non solo di parti di essa. Ciò li allarmava profondamente,
così
come allarmava ancor più le opposizioni, nate all'insegna di una
o poche parti sociali. Fu così che queste ultime presero, come
spinte
da un proprio motivo interno, a lottare per una successione indolore,
credendo
che bastasse cambiare il soggetto della rappresentazione estetica.
Tutti,
del resto, non potevano non allarmarsi quanto più cominciarono a
temere l'imprevedibilità e la diversità del nuovo, a cui
però solo da parte di pochissimi si poteva ricominciare a
pensare.
Furono probabilmente tali consapevolezze a portare ad affermarsi una
convinzione,
vera e propria scelta, che venne a surrogare quelle sicurezze di fondo
che per l'appunto mancavano: qualunque cosa sarebbe stata per essere in
avvenire, la scrittura/letteratura non sarebbe venuta mai meno, e come
essa così le altre forme di espressione estetica, alle quali al
più bastava aggiungere una decima o anche un'undicesima musa.
15) Tale
convinzione mise a tacere le inquietudini e le trepidazioni sulla sorte
della civiltà occldentale. Si trattò di qualcosa di
più
di un pensiero rassicurante: fu una di quelle proiezioni del desiderio
simili a quelle che popolano l’empireo. La scrittura infatti appariva
ancora,
ed era, il mezzo principe capace di far superare ai contenuti, nei
quali
tutti credevano (o si sforzavano di credere), le barriere dell'ego e
del
tempo. Era stato chiaro, invece, che tutte le novità del secolo
avevano aggredito e messo in forse proprio quei contenuti insieme al
loro
adesivo universale, il verbum, detto e scritto. Ciò non poteva e
non doveva essere; e del resto, a controprova di tale volontà,
non
si vedeva forse che nei nuovi regimi, sotto un tale aspetto, le cose
continuavano
ad andare come dovevano? Anche questo serviva a soddisfare la
lungimiranza
e lo storicismo di tutti. Si rimase convinti che qualunque temperie
politico?sociale
avesse finito col prevalere in futuro la scrittura e la sua importanza
centrale non avrebbero subito alcuna menomazione o incrinatura e le
indicazioni
in senso alieno delle avanguardie storiche non dovevano turbare
nessuno,
perché si trattava pur sempre di fenomeni e di una
<<problematica~>
comunque da interpretare e ricondurre a modelli digeribili.
16) Da
allora
non mancarono più teorizzazioni tendenti a dimostrare che ogni
contatto
di novità, più si presentava rivoluzionario ed
innovatore,
più chiaramente dimostrava di muoversi nell'ambito rassicurante
della tradizione, che pertanto ne riusciva confermata e rafforzata.
Quale
altro poteva essere il significato di un'intervista, trasmessa dalla
televisione,
in cui un sorridente Pasolini interrogava Ezra Pound semicadavere,
afasico
ed impossibilitato ad ogni aggancio discorsivo tentato
dall'intervistatore?
L'episodio in parola, risalente ad anni assai più recenti
rispetto
a quelli di cui siamo venuti ricostruendo il clima, si inserisce in una
serie di altri episodi che dimostrano come ciò che abbiamo ora
detto
convinzione e scelta rassicuranti, entrano in una fase di atteggiamento
consapevole, offensivo e difensivo in modo esplicito e diretto, come
non
potova essere negli anni '50 e per buona parte dei '60. Ma, in
concreto,
che cosa era avvenuto nella cultura italiana (ma non solo in essa) nel
secondo trentennio del secolo, quando cioè era ormai evidente
che
una rottura c'era stata e si volle raccogliere i cocci perché
non
ingombrassero il pavimento? Nella cultura italiana in particolare si
era
realizzato, attraverso il trattamento subito dai futuristi in regime
fascista,
un primo esempio di repressione intelligente, destinato a fare da
modello
anche in futuro.
17)
Occorre
tener presente che, come l'Italia produsse il futurismo, vale a dire la
prima avanguardia o movimento o rivoluzione culturale della storia,
cosi
si può dire che in essa la creazione e il dibattito culturale,
come
del resto le soluzioni politiche, vengono avvertite e si presentano con
tempestività, come nel paese dove più precarie e deboli,
per vivacità e insieme cinismo, sono le strutture sociali e
culturali.
Fu così che, come è noto, quando il regime fascista
si ritrovò tra i piedi le ingombranti rivendicazioni di un
Marinetti
(ormai tagliato fuori dalla leadership della cultura avanzata
d'Europa),
proprio nel momento in cui dal regime si veniva elaborando una cultura
restauratrice oltre che politica anche estetica (l'eredita classica e
perfino
i valori della stirpe, e va bene, ma si pensi anche ad atteggiamenti
come
quelli di strapaese e stracittà, le riviste Il Selvaggio e
L'Italiano
di Maccari, fino a 900 di Bontempelli ed a Primato di Bottai), si
pensò
bene di promuovere Marinetti ad Accademico d'Italia. Nonostante il
regime
non sapesse proprio che farsi dell'estetica e della maniera (ormai)
futurista,
1'accademizzazione comportava che Marinetti, sempre più isolato
in un ambiente sempre pin sordo, potesse tranquillamente continuare a
vantare
meriti ed anticipazioni, coerenza ed organicità al regime, e ad
organizzare rassegne e mostre e perfino serate futuriste sempre
più
addomesticate e sonnolente, e tutto ciò nel momento stesso in
cui
il futurismo era ormai defunto come movimento e sepolto quanto ad
invenzione
se non anche a teoria.
18) Un
siffatto
modello di soluzione avrà, come vedremo, uno straordinario
successo
e sarà ricalcato a tutti i livelli fin nelle più sottili
alchimie culturali: bastava, all'occasione, professare rispetto per
colui
che era ostracizzato nei fatti e che a suo tempo pur ne aveva fatte di
cotte e di crude, per giubilarlo e metterlo fuori del gioco allo stesso
tempo. Se consideriamo i tre centri di emanazione culturale di cui
abbiamo
fatto cenno, troviamo che, a distanza di decenni ormai, presentandosene
l'occasione, essi ebbero in pratica lo stesso atteggiamento dei
fascisti
nei confronti del futurismo e delle successive avanguardie, aggiungendo
contro il primo, in diversi casi, il disprezzo riservato al fascismo,
con
il quale si volle far credere che i futuristi avessero un rapporto di
identificazione.
Futurismo, dadaismo e surrealismo rimasero pertanto sotto un embargo,
che
si appesantiva nei casi di più grave ipoteca della cultura di
sinistra
e del realismo, socialista o meno. A veder bene, se prescindiamo da una
per lo più inedita persecuzione poliziesca e politica dei
movimenti
e degli esponenti più attivi, il sistema applicato in regime
fascista
a carico dei futuristi, sistema ispirato direttamente a certa diabolica
blandizie controriformistica, risulta una vantaggiosa alternativa alle
famigerate edizioni continuamente aggiornate delle enciclopedie di
orwelliana
memoria.
19) Tanto
vantaggiosa che, una volta diffuso e consolidato il sospetto che il
futurismo
non fu un'innocua stravaganza, ma fascismo tout court e quindi non
innocuo
ma pericoloso, all'inizio degli anni '70 si poté finalmente
storicizzare...
in libertà. <<La storia della poesia dopo la guerra
avrebbe
potuto essere una lunga e anonima continuazione magari critica
dell'ermetismo...
Invece ci sono stati i Novissimi. Quando i Novissimi appaiono nel 1961
(la loro antologia) cade come un sasso in mezzo al cammino della poesia
italiana: un grosso sasso ingombrante, irritante. Quel sasso è
rimasto
lì, ha bloccato la strada, nessuno lo ha digerito, nessuno lo ha
spiegato. In Italia la letteratura offre un complesso sintomatologico
di
prim'ordine. E 1ì dentro il bubbone dei Novissimi è un
ostacolo
grosso, ma riuscire a inciderlo e superarlo può dar senso a
tutto
il resto>> (L'EspressolColore, 22/5/1970). Il passo riportato
pone in evidenza
il modo di storicizzare, la scala di grandezze e la convinzione tipica
del letterato italiano anni '50 che ritiene di trovarsi nell'ombelico
del
mondo.
20)
Intanto
non è affatto vero che il libretto dei Novissimi abbia avuto
effetti
cosi spettacolari e devastanti per il cammino dell'Arcadia. Esso non fu
una novità perché in Italia, e in disparte rispetto
all'Arcadia,
gia erano da tempo operanti le due notevoli personalità di
Emilio
Villa e di Edoardo Cacciatore, ed erano ormai molti i poeti che per
proprio
conto o sulla scia di questi operavano secondo modalità
<<diverse>>.
Fin dal suo apparire il <<bubbone>> fu subito inciso e
superato,
e ciò non diede affatto senso, né poteva darlo, a tutto
il
resto. Vediamo piuttosto che senso ebbe esso stesso, come fu subito
chiaro.
Il letterato anni '50 sapeva che la poesia e la cultura europee avevano
conosciuto lo strappo violento delle avanguardie, ma pur con diverse
motivazioni
non se ne sentiva erede. Quanto al futurismo, poi, s'era trattato di
una
malattia infantile, una stravaganza estremistica, anzi fascismo bello e
buono. Il letterato italiano considerava di discendere da una linea
simbolismo?crepuscolarismo?lirici
nuovi?ermetismo, e storicizzava in conseguenza. Rispetto a questa linea
egli è indubbiamente un rivoluzionario, rna in Arcadia. In
quelle
poesie, infatti, <<c'e il futurismo e c'è Breton, ci sono
Pound, Joyce ed Eliot, Dylan Thomas e la prosa sperimentale di Kenneth
Patchen>> (Il Verri, n. 2, 1957), e il letterato, avendo messo in
iscritto
tutto ciò, si senti a posto.
21) Il
senso
del <<bubbone>>, dunque, fu in effetti quello di un doppio
filtro:
esso escluse il senso ultimo e radicale delle avanguardie e
recuperò
la scrittura depurandola dalle manere tardoermetiche e neorealiste. Il
terminus a quo dell'ermetismo non era stato scelto a caso: non se ne
poteva
proprio più di quei madrigali neopetrarchisti! Ecco dunque le
nuove
Lettere vrgiliane proporre i nuovissimi versi sciolti, sciolti dal
<<senso
dei Pound, dei Marinetti ecc.>> e, come è detto
autorevolmente,
<<anticipando di un lustro i risultati di Tel Quel... si sceglie
decisamente il testo>>, vale a dire, il verso, la scrittura.
Siamo al punto
in cui si chiude la parabola iniziata con la rcepressione, la storia si
ripete in forme parodistiche e grottesche: viene simulata una
rivoluzione
(si fa per dire) per restaurare con tutti i crismi la vecchia scrittura.
22) Ma,
se ripensiamo da un altro punto di vista agli anni '50, troviamo, che
effettivamente
in quegli anni veniva <<ribollendo>> un gran crogiolo di
umori e
sensibilità, mentre veniva prendendo a poco a poco consistenza
ciò
che più tardi sarà indicato, <<con termine inglese
la contro cultura>>. Si faceva strada, in quegli anni, sempre
più
frequentemente, l'idea sempre più precisa di tutto ciò di
cui nelle sedi deputate si preferiva parlare assai poco, come di cose
giacenti
nel (recente) passato ed ivi rimaste, stranamente senza conseguenza.
Sempre
più spesso si cominciò ad andare a vedere, a verificare.
Ciò accadeva di preferenza net campo delle arti visive, come
quelle
più vincolate al mercato (che aveva altre ragioni) e meno
costrette
dai motivi della rappresentazione linguistica. Ma anche in campo
letterario
sulla scia dell'interesse per la letteratura americana attiravano
l’attenzione
alcuni nomi, Eliot ma soprattutto Pound, che peraltro aveva avuto un
suo
periodo italiano, che sembrava causa di una curiosa interdizione non
sempre
rispettata. Vecchi numeri delta rivista <<Circoli>> e poi
l’antologia
pubblicata da Guanda della poesia americana ebbero la loro parte in
questo
processo, e assai spesso dall'apparato di note di quest'ultima tornava
il discorso sui movimenti estetici dei primi decenni del secolo e in
essa
spiccavano autori come, oltre Pound, quel Philip La Manthia, eliminato
dalle successive edizioni del libro, ed ee. cummings. Sulla scorta di
opportune
indicazioni si poteva perfino conoscere l’Ulisse di Joyce, magari
attraverso
]a traduzione di Valery?Larbaud. Così come, a sinistra, il nome
di Majakovski suscitava interessi e qualche inquietudine sull'effettiva
portata e sul destino dell'avanguardia russa.
23) C'era,
insomma, tutto un lavorio rivolto a violare interdizioni ed embarghi,
sì,
ma anche e soprattutto barriere mentali. Il mondo accademico sempre
più
frusto e paralitico, poteva apparire come l’area più appropriata
e conveniente per simili ostacoli, ma non certo il mondo
<<militante>>.
Se ormai i varchi e i tramiti intorno a cui si venivano disponendo le
spinte
e le aspirazioni anche confuse verso il nuovo, erano ormai
identificabili,
oltre di essi si intravedevano spazi nei quali certo sarebbe stato
possibile
superare I'mautenticità degli esiti fino allora possibili, la
loro
avvilente futilità, la destituzione di valore e di
utilità
che, del resto, la letteratura aveva subito da almeno cinquant'anni.
Uno
dei più imbalsamati letterati ufficiali, Bontempelli, se n’era
fatta
una divisa fin da tempi non sospetti. Del resto, allora come allora,
l'idea
di una coscienza infelice della letteratura veniva rapidamente perdendo
senso: essa, che aveva cominciato a usare la lingua di tutti, dopo aver
creato una lingua letteraria, s'era ormai ridotta alla calligrafia, la
lingua era inflazionata ed era divenuta koinè, i teatri venivano
rapidamente scomparendo né era ormai possibile credere che
l’infelicità
coltivata dai letterati come una perla rara coincidesse con
l'infelicità
degli uomini.
24) Se,
dunque, l’attenzione, e la sensibilità, tornavano a orientarsi
verso
la vita di relazione ed il quotidiano, il senso di questi non andava
più
perseguito net solipsismo, e neppure nel populismo, perché il
destino
quotidiano e individuale coinvolgeva oltre le persone fisiche, gli
oggetti,
i corpi,
la materia tutta il cui destino incrocia e modifica quello personale.
Occorreva
che, al più presto, la giovane scimmia, che aveva acquisito per
tempo la vocazione all'eterno presente, affrontasse e risolvesse almeno
i due principali problemi rimasti aperti dopo l’estinzione della
letteratura:
la sostituzione definitiva del protagonista della rappresemazione con
1'(ex)
autore e il superamento della rappresentazione nella verità
delle
tracce, impronte, oggetti. Si tratta di acquisizioni ormai definitive
di
importanza fondamentale, che risalgono alla seconda meta degli anni
'50,
ma prima d'allora erano gia comparse nelle avanguardie storiche (specie
nel futurismo) sia pure più nella pratica e meno come
teorizzazioni;
eppure attraverso i deboli, oscuri tramiti di operazioni estetiche
sempre
meno ascrivibili a questo o quel tipo di espressione, e attraverso
rivistine
circolanti tra adepti, presero a colare irrimediabilmente, per tramiti
e canali sotterranei, fino a dilagare in maniera inarrestabile verso la
meta degli anni '60. La storia degli umori segreti ma determinanti di
quel
che avvenne da allora, ha come suo cuore pulsante le acquisizioni di
cui
parliamo. Esse sole, in quello che era stato un <<paese di
retori>>,
portando allo scoperto un attrezzo mentale, un'attitudine psicologica
che
fino allora avevano indossato la veste e l’habitus letterari, ebbero il
reale potere di mutarle in senso <<operativo>>, nel
sensibile e nel
quotidiano.
25) La
perfetta
adesione delta sensibilità, orientata al ri/conoscimento di se
stessi
e delta materia secondo le modalità del fare poi/etico, apre
nelle
maglie dell'esistente una falla attraverso cui passa massiccia e
corposa
la nostra realtà, per ricadere poi immediatamente su se stessa
in
perfetta posizione di <<ricoprimento>> (ri/conoscimento),
proprio
come per millenni si è tentato, di fare senza riuscirci,
attraverso
i tradizionali modi dell'estetica che ora si comincia a lasciarsi alle
spalle.
Il progetto,
pur sempre mentale, si liquefa nell'atto operativo, <<salto a
spensare>>
in direzione della materia, momento iniziale di una implosione materica
senza ordine, senza struttura, senza storia. E se il progetto manca
nell'attività
erotica, questa energia tanto connessa con 1'esaltazione della
centralità
del corpo e delta materia, ci offre, qui, ancora, un modello
grammaticale
e analogico del porsi in fenomeno dell'esperienza estetica. E’ la
realtà
massiccia che ricade su se stessa e ritorna a ribadirsi, ma è
anche
costantemente diversa nelle circostanze, pienezza del possesso (non del
dominio), che, subito dopo ha ancora bisogno di essere ribadita.
Ovviamente,
parlare, scrivere di 6ciò è solo un modo di banalizzare,
ma nello stato di cui parliamo la pienezza del nostro essere è
immediata
ed esclude la dispersione dell'analisi e la sofferenza; queste
ritornano
subito dopo per essere sconfitte hanno bisogno del ritorno delta
pienezza,
rassicurante proprio per 1'eternità che reca in se stessa,
laddove
la disperazione della vita di tutti i giorni è la continua
strutturazione
dell'esistente. (Come da sempre hanno saputo i mistici, che non a caso
offrivano un modello negativo, ma pur sempre un modello, alla giovane
scimmia).
26)
Così,
il nuovo gesto poietico consiste in una sottrazione di se stesso e di
altri
oggetti all'accidentalità della deriva temporale in cui vagano,
per essere ri/conosciuti e vissuti secondo progetto. Il loro ancoraggio
at presente si rende possibile fin dal semplice venire in essere di
tutto
ciò
che si coinvolge nel progetto, allo stesso modo di come il detto
ancoraggio
è predisposto alla possibilità di essere ulteriormente
ripetuto.
Codesta dilatazione del presente pone in essere l'unico centro
<<oggettivamente>>
possibile di aggregazione della coscienza, assolutamente depurato di
ogni
ipoteca storica di contro alla disperante continua strutturazione
dell'esistente,
ed è questo il momento in cui si fonda il primato dell'estetico,
il valore del poi/etico. La vocazione all'e
terno
presente
è l'unica via che si contrappone all'eterna efferatezza storica,
il cammino finalmente intrapreso in direzione di ciò che fu
detto,
per comodità di chi preferiva continuare a scrivere, utopia,
mai,
d'allora, così vicina. E d'altronde fu subito chiaro che la
poesia
consiste e si
esaurisce
interamente net proprio farsi nella cattura del quotidiano; a partire
d'allora
non cessarono più i tentativi di liberare dal tempo l’oggetto
poietico:
liberare dal rigore storico il vissuto, riscattarlo dall'inerzia che ce
lo mostra come alieno.
27) E’
certo
chc ogni operazione comincia sempre daccapo e l’invenzione è nel
progetto come nella realizzazione. Proprio per questo in questo campo
le
novità contano assai meno dell'impiego che se ne fa. Non deve
meravigliare
pertanto se, nonostante certe dichiarazioni relative a una più
ampia
libertà inventiva circa l'uso possibile di materiali, i primi
oggetti
che meglio si prestarono nel superamento della categoria letteraria
furono
figure ed immagini, come quelle da cui più massicciamente
venivamo
inondati. Immagini di rapina, prelevate a preferenza dai mass?inedia,
ma
anche la fotografia (e meglio se sporca e sbagliata dal punto di vista
tecnico), il tracciato diagnostico, il diagramma e quanto altro
materiale
risultasse fedelmente, attimo per attimo, millimetro per millimetro,
consistere
del tessuto molle e corruttibile del tempo. La mentalità
è
per ora parallela a quella meramente letteraria e la parola e la
scrittura,
ove siano impiegate, hanno anch'esse funzione appercettiva e
comunicativa,
di pari dignità rispetto al materiale sensibile. Perché,
invero, qualunque possa esserne una sempre possibile interpretazione
(come
avveniva per il letterario) è certo che questo materiale,
così
trattato, trovato, accumulato, semplificato, smembrato o rimontato,
vale
per quel che è, per come si offre allo sguardo,
all'appereezione.
Esso non è altro che il momento in cui fu progettato l'insieme,
e l’insieme consiste nei momenti in cui fu creato; quei momenti sono
tutti
lì e non nella maniera volatile e soggettiva del rimando operato
da parole costruite dopo, da altri, su una minuta, bensì fissato
lì, una volta per tutte, svincolato da ogni significazione
d'origine
e rimesso a fluttuare, palpitare in una dimensione che vuol essere
definitiva,
ancorché non definita.
28) E’ un
fatto che la vocazione all'eterno presente e la mentalità
dell'impronta
e dell'oggetto sottratti alla deriva temporale non possano attribuirsi
ad altri che al protagonista, o meglio all'ex protagonista dell'opera
letteraria
ora identificabile nell'autore del progetto e della realizzazione.
Neurosentimental
(di chi scrive, 1963), qui citato a puro titolo di esempio riporta
alcune
esplicite annotazioni al riguardo ed appare fondato su tali principi. A
riprova di quanto affermiamo non dovrebbe essere difficile provarsi ad
applicare ad esso il <<sospetto>> di cui parla Natalie
Sarraute.
Non si era che all'inizio, ma quell'eros, quel pathos che il titolo
lega
insieme come in esponente, consistono proprio in quelle immagini agite
ed annotate di mano diretta (o a macchina come in figure), con tutto un
loro corteggio o di demoni oscuri, privati e feriali>> c di
quant'altro
si voglia aggiungere, purché non si dimentichi che i momenti
della
loro fattura sono essi stessi, trovati, vissuti c rimontati, come si
diceva.
Così, riconquistata 1'egemonia sul tempo e la possibilità
di destorificarlo, rimangono aperte le chiuse che ostracizzavano la
vera
vita finora assente.
29) Ma,
come tutto ciò che vale la pena di fare, 1'avanguardia o
quell'insieme
di manifestazioni che viene così definito, è perdente,
per
definizione se si vuole. E inoltre, proprio perché, una volta
acquisiti
e posti in essere i nuovi modelli operativi, sempre più numerosi
cominciavano ad essere i gruppuscoli in avanscoperta, s'imponevano
ulteriori
verifiche, si richiedeva la riprova delle teorizzazioni. La ritrovata
identità
di soggetto ed oggctto poetico, nonostante venisse indicata come
s’oggetto
poietico, proprio per porre l'accento sul fare/farsi delta poesia,
sullo
spostamento dalla parte della materia di entrambi i termini altra volta
irriducibili, nonostante tutto ciò, continuava ad attirarsi
tacce
d'idealismo, disimpegno. oggettivismo formale e perfino divertissement,
a seconda dei punti di vista e degli umori del critico di turno,
sconvolto
non da questo discorso, che neppure si prendeva la briga di andare a
verificare,
ma dagli esiti pubblici cui dava luogo, come mostre o interventi
urbani,
o come il primo arrivo a Napoli a meta degli anni '60 del Living
Theatre
organizzato da Carpentieri. Nasce cosi il progetto sperimentale della
<<microsocietà>>,
collocata <<fuori>> della grande società che vive al
di sotto
dei propri mezzi. A detto progetto diede vita 1'esasperata
sensibilità
di alcuni che vi si ritrovano come nella condizione di una presa di
possesso
della realtà: <<noi passiamo attraverso le strettoie del
costo
della vita ecc.. Siamo contaminati fino all'osso. Chiamiamocene fuori.
Fuori dall'autobiografia e dalla cronaca. Queste cose ci sono, sono
anzi
1'esistente, che però non è necessario>>. Quasi a
controprova
osserveremo che la sterminata, raggelante autoprestazione della
città,
in cui consisteva il <<dentro>> contrapposto al
<<fuori>> (La
disoccupazione mentale>>, 1972), si compose dei documenti
prodotti dalla
città stessa, ufficialmente, in forza del suo fisiologico,
orrendo
<<realismo>>, al modo stesso del suo
<<impegno>>: essi sono
gli stessi oggetti che non rientreranno mai in un progetto poietico se
non a titolo parodistico.
30) Come
per la città, così anche per l'accademia. Non va
dimenticato,
del resto, che, anche come semplici casi di fluttuazione statistica, le
giovani scimmie realizzano quel che si dice formazione individuale, per
la quale oltre tutto finiscono anche con l’assumere l'unica funzione
sociale
possibile, almeno nell'immediato, che è quella del testimone
scomodo.
Anche per tal motivo, che in definitiva risulta strettamente
autobiografico,
occorreva un'ulteriore verifica a livello accademico, come del luogo
dove
l’esistente trova le sue giustificazioni e strumenti teorici, e non
attuare
come accadde alla fine degli anni '60 risibili fughe verso le porte
delle
fabbriche, come quelle che avrebbero condotto alla terra promessa.
Occorreva,
cioè, dimostrare che i sacri penetrali del sapere non erano
<<indifferenti>>,
ma erano il <<cuore del luogo comune>> e ciò venne
fuori da
una inchiesta, condotta in un ambiente accademico, con strumenti ed
interventi
accademici, sul <<problema del limite>>, prendendo a
pretesto Wittgenstein
e la tautologia. Naturalmente le risposte risultarono solo più o
meno brillanti esercitazioni accademiche, osservando tutte la
più
stretta ignoranza delle domande. Momenti di verifica angoscianti, ma
esaltanti
al tempo stesso, tali operazioni non facevano che confermare il primato
dell'estetica come per l’appunto il primato del poi/etico, vale a dire
il contenuto, dell'etemo presente. Nonostante che quasi in sintonia
cominciassero
a prodursi e circolare le prime <<ipotesi per una società
estetica>>, esse risultavano per lo più discorsi sfasati
rispetto
all'argomento, orecchianti, nel migliore dei casi, la banalizzazione di
quel famoso <<l'immaginazione al potere>> ormai anch'esso
luogo comune.
3 1) Un
bilancio in sede locale (se si vuole) dell' attività estetica
nell'arco
di quasi trent'anni mise in luce la differenza tra l’amministrazione
ordinaria
dell’esistente e lo stare <<fuori>>, ed esso non fu
certamente una
identificazione del <<noumeno>> ma la conferma di una via
da seguire
peraltro gia praticata. In tal senso, il riscontro e la verifica
dell'opera
solitaria e isolata di Emilio Villa, nome già riportato nel
corso
del presente intervento, e quello relativo alle <<tavole
parolibere>>
futuriste offrirono, secondo una prospettiva minima, l’avvertenza a non
fidarsi mai delle rivoluzioni di palazzo e di quelle pretese rotture
che
fin troppo presto si rivelano semplicemente come il limite neppure
estremo
di quel che c'era prima. Tutto va indagato più a fondo,
riscontrato
e verificato per la presenza dei principi che. in aggiunta a quelli fin
qui indicati elencheremo di seguito, a conclusione del presente
scritto,
alla rinfusa, e possono essere il silenzio pedagogico, la comunicazione
non?verbale, la piccola animazione di quartiere e la grande, la
liberazione
del corpo come azione pubblica, la sincronicità e l’eterno
ritorno
dell'uguale, la rivisitazione istantanea del passato e l'arte della
memoria,
la manualità e il contatto fisico dei corpi, l’insierne dei
rapporti
fra i corpi e la produzione di materia organizzata?organizzabile, la
mente
come rimando e il presente come senso del mondo, l’splorazione del
cosmo
come riconoscimento dei motivi che portiamo con noi... (1982).