Il titolo,
e tutte le citazioni in francese, sono tratte dal poema
di EMILIO VILLA,
Homoscuralnulsentimentaffectifdemandelindipendenceorganique,
in EX 3; la nota stessa è stata suscitata dalla lettura
(ri/lettura)
di Ecce Homo, Adelphi, 1969, ma sono anche annotazioni al margine, del
saggio di ROBERTO CALASSO, Monologo fatale, in appendice all'edizione
del
testo di NIETZSCHE.
Il passo
più difficile non è quello che ci porta fuori della porta
L'estraneità
dichiarata di Nietzsche nel momento in cui cede al vezzo tutto
letterario
di scrivere l'autobiografia, la biografia del Nietzsche mondano; il
dilatare,
l'erigere e celebrare se stesso in vita, per poi andare innumerevoli
volte
al proprio funerale, che cosa hanno a che fare con
quell'estraneità
gelida che Rhode aveva sentito nella primavera del 1886, « come
se
venisse da una regione dove nessun altro abita »? « In
queste
circostanze ioho un dovere, contro cui si rivoltano, in fondo, le mie
abitudini,
e ancor più la fierezza dei miei istinti, e cioè quello
di
dire: Ascoltatemi! Perché sono questo e questo. E soprattutto
non
scambiatemi per altro ». Ma in quelle circostanze qual era la
necessità
interna che lo costringeva a diventare oggetto a se stesso, ad
esaminare
« ciò che è », a compiere l'ultima operazione
prima della separazione completa da se stesso, dal se stesso che si era
costruito pazientemente in tutta la sua vita?
E’ proprio
destinata a restare senza risposta questa domanda, oppure non è
in qualche modo possibile trovare un s e n s o, confrontando questa
carta
da visita, con il salto nel Vuoto, che Nietzsche, in quel modo si
preparava
a fare?
«
Perché finora solamente la verità è stata proibita
sempre, per principio »; il « distruttore », di ogni
speranza metafisica e di ogni ricerca di assoluto, di ogni conoscenza,
rinuncia nel suo ultimo discorso ad ogni discorso sulla conoscenza o
sull'assoluto,
di cui non riesce più a fare a meno, dopo che ha scoperto, per
suo
conto, in se stesso, l'essenza e l'origine dell'essere; la risposta
adeguata
è il salto nel silenzio, esemplare e forse più agressivo
di ogni altro discorso, che ancora potrebbe tentare di fare,
perché
ogni discorso è un discorso su, e il suo salto nel Vuoto
è
altrettanto assoluto, dell'assoluto che i suoi discorsi non gli hanno
consentito
di mostrare a nessuno, e tanto meno a se stesso: se non si può
conoscere
l'assoluto, allora lo si diventa, lo si è, lasciandosene magari
divorare.
In Ecce
Homo, c'è come un raccogliere le forze prima del salto, ma per
far
questo, non c'era altro argomento che se stesso: « et où
tu
/ va te mettre / en / dans ton / dedans de /va te mettre »; ed
ecco
che questa biografia diventa il tentativo supremo di mostrare
sé,
di costruirsi un Doppio, lasciando poi che prosegua una sua vita
esterna,
c'è un rappresentare, un farsi spettacolo, quasi riducendosi
alla
misura di tutti i falsi profeti della filosofia occidentale, contro cui
ha scagliato il suo sarcasmo più feroce, per preservare il
sé
più autentico, nascondendolo dietro il tono del proclama e del
messaggio,
non del sé?assoluto, ma del sé?mondano, perchè
l'assoluto
era possibile solo viverlo e sperimentarlo su di sé e con
sé,
non dichiararlo, o descriverlo, né tanto meno spiegarlo: «
alors j'allais nommer le Transphasé, trans / combattre les (?) /
et les (?) / en ayant / MON NOM ».
«
Questi sono stati per me dei gradini, sono salito al di sopra di essi ?
per farlo dovevo abbandonarli » (Crepuscolo degli idoli §
42);
i gradini, a questo punto, di fronte ad Ecce Homo, non sono solo i
problemi
di coscienza, del Crepuscolo degli Idoli, ma tutte le sue opere,
costruite
faticosamente, nel tentativo di superarsi, di vincere in sé la
nausea
di essere uomo, tante tappe per avvicinarsi all'essere e scoprirlo
nella
sua semplicità ineffabile; Ecce Homo è il momento in cui
getta lontano da sé la scala, ormai inservibile, è il
momento
del rifiuto dell'ombra dell'essere che era stato fino a quell'istante,
« ton ombre vulnérablissime / défì
définitivive....
en sortie »; un istante necessariamente pubblico, anomalo ma non
incoe rente in chi come Nietzsche aveva sempre rifiutato i contatti con
gli altri, prima della solitudine assoluta, è il gesto, l'ultimo
che ci consente di vedere, subito prima di non farci vedere più
niente. E allora si potrà rispondere ad Heidegger che proprio da
questo mostrarsi per l'ultima volta risulta che Nietzsche non ha
costruito
se stesso in un vivere per la morte, ma in un vivere per la vita, in un
vivere per il rifiuto e il superamento della vita dell'uomo che gli
suscitava
la nausea profonda con cui chiude la sua biografia; quelle innumerevoli
vite, che sono solo aspetti, e nemmeno tanto diversi, di una morte
reale
che copia la vita, quelle innumerevoli vite, che sono una goffa
imitazione
nella morte di una vita che sfugge, nascosta, altrove.
«
Pour consolider la Joie Com / mune on doit tremper / son proprie oiseau
Oi / Seau on trempe son pro / pre l'0 de Garan / tie, et ON / remue
remue
»; un osservarsi attentamente prima di intraprendere il viaggio,
ma non un dialogo con gli uomini, Ecce Homo vuole soltanto mostrare al
mondo, per un istante, come un lampo prima del buio completo, il gesto
intollerabile che Nietzsche era giunto ad osare, e per mezzo del quale
non si poteva pensare di stabilire alcun rapporto, se non di
autodefinizione,
a sé e per sé, della propria identità, per meglio
conoscere lo strumento di cui disponeva, per attuare il superamento e
la
separazione, un definire la propria identità come se fosse
quella
di un altro, per poi servirsene, per meglio spezzarne le difese e i
limiti,
perché era quella che conosceva meglio, di cui era sicuro che
avrebbe
resistito all'aria delle cime, senza raffreddarsi, senza perdersi nel
deserto,
in cui si era avviato.
auscultazioni
(Se) tutti
gli assoluti sono banditi. Se i limiti del linguaggio sono
insuperabili.
Se il mondo è questo linguaggio. Noi siamo condannati al
silenzio.
A quello che abbiamo e usiamo. Qui. In questo mondo. In questo
linguaggio
immutabile. E la misteriosa realtà che ci anima. Che anima la
realtà.
E l'essere.
Ma niente
ci dimostra che si possa fare a meno del luogo comune. Ancora, per lo
meno.
Ogni tentativo si è concluso con la sconfitta. Di quelli che
hanno
provato. Nietzsche. Non ci siamo liberati dalla banalità delle
istituzioni.
Delle abitudini. Non si riesce a superare il DOPPIO, la
rappresentazione
la morte l'immagine la copia lo spettacolo per entrare, o uscire
davvero.
Da un linguaggio (da un mondo) o da una vita data. La tesi di un uomo
subpremo.
E' tragico pensare qui ed ora al superuomo. Che annulli o inveri o
superi
o riconquisti altrove il luogo comune che siamo. Per ora l'uomo
subpremo
è ancora nel luogo comune. Non è uscito portandoci con
lui.
Il tentare si è concluso con la morte e la follia. Lo scandalo
dei
buoni, (ma peggio per loro). Oltre tutte le nozioni di sacro e di santo
di invalicabile di confini insuperabili e inesprimibili, siamo ancora
ben
stretti al clichè odioso dell'uomo che possiamo toccare con la
mano
(basta stenderla, non è vero?), che è appunto il nostro
doppio,
il doppio di cui noi siamo a nostra volta il doppio, e così
all'infinito,
un doppio che si ribella, che vive di una vita ambigua, contraffatta,
falsa.
La vita dei buoni, dei razionali, che spiegano tutto, che tutto
traducono
nei termini di questo mondo, con una analisi sempre più
perfetta,
MA sempre più inutile.
'Gli uomini
buoni non dicono mai la verità'. E come potrebbero, perduti
nella
loro bontà? Si ritenga in questo caso e in altri (troppo pochi
per
ora) il consenso dell'autorità del tutto inutile, superfluo e
dannoso,
con quello che costa. 'Questo angolo, Eloisa e Abelardo ecc.' sono
falsi,
ancora troppo poco, passo falso (forse) di fronte, e alconfronto, con
la
proiezione delle proprie colpe, insoddisfazioni o mali. La natura come
valore positivo, ma non in sè, ma in quanto indifferente alle
regole
dei buoni. Il cui Iinguaggio non porta a non parlare, ma piuttosto a
parlare
ragionevolmente'. Proiettati tutti su uno schermo (che guardiamo dal
basso
insieme a tutti gli altri) a fare i mimi, gli istrioni, e i buffoni,
senza
avere il coraggio di scegliere del tutto lo schermo, o del tutto la
platea,
né tantomeno di abbandonare lo spettacolo.
'Dunque,
signori, con quali armi?' ? Definire e ancora definire con una voce
convenzionale
? che non riesce nemmeno ad essere precisa. 'Da lungo tempo ormai ho
sentito
il Vuoto ma ho rifiutato di buttarmi nel Vuoto, sono stato vile come
tutto
quel che vedo', Artaud.
Un 'altrove'
che è qui, il Vuoto di cui siamo fatti, di cui (qualche volta)
siamo
alla ricerca, è dentro di noi. Ma il nostro vivere quotidiano
è
la dimostrazione della forza assoluta (quasi) del luogo comune.
Perché,
ogni volta che, come in quel momento, mi sentivo vicinissimo a una fase
capitale dell'esistenza, non ci arrivavo come un essere intero?
Perché
quella terribile sensazione di perdita, di colpo mancato, d'avvenimento
abortito?'. E in questo caso il progetto qual'è, sanare la
contraddizione?,
ma è troppo poco, o troppo, e in ogni caso non si sfugge al
luogo
comune; il salto nel Vuoto, in quel Vuoto fatto di eternità, che
Nietzsche chiama la sua morte, 'conosco la mia sorte...', finora non ci
ha separato dal mondo, se non con la morte: 'morti, gli altri non sono
separati, girano ancora intorno ai loro cadaveri'. Ma quale sorte
più
esemplare di Artaud, che ha cominciato col precipitarsi coscientemente
nel Vuoto, ha cominciato con l'annullare intenzionalmente se stesso,
non
potendo annullare il luogo comune che è l'uomo, fuori di
sè
dal di fuori, col fuori. Guardando direttamente nel cuore del luogo
comune.
Che siamo tutti. Solo così era possibile attuare una filiazione.
Già resa più difficile. Una nascita che la sola follia
non
avrebbe permesso che a metà. Una filiazione con Nietzsche, 'il
distruttore'.
'Non avevo
vinto a furia di spirito quella invincibile ostilità organica,
dove
ero io a non voler più andare avanti, per riportare una
collezione
d'immagini scadute, da cui l'Epoca, fedele in questo a tutto un
sistema,
poteva tutt'al più trarre idee per manifesti e modelli da
couluriers.
Ormai bisognava che quel qualcosa sepolto dietro quella pesante
triturazione
e che eguaglia l'alba alla notte, quel qualcosa venisse tirato fuori, e
servisse, servisse appunto per la mia crocifissione. E a questo sapevo
che il mio destino fisico era irrimediabilmente legato. Ero pronto a
tutte
le bruciature, e aspettavo la primizia della bruciatura, in previsione
d'una combustione presto generalizzata'. E che a un certo momento,
l'incendio
sia divampato nell'unico punto in cui era possibile, consiglia di non
intraprendere
indagini sterili sull'incendio, o sul perché dell'incendio, il
luogo
comune ce lo vieta, iniziare l'indagine significa bruciare dello stesso
incendio. 'Ne era certo ma non che questo costituisse un male, il
tentare
di strisciare fuori', per Vedere; come chiedere all'uomo buono di
rinunciare
alla sua bontà, con la sola forza della dimostrazione. Come
scrivere
un indirizzo in formula fissa. Tutti gli altri tentativi si sono
fermati
allo stato larvale. I buoni vi insegnano false cose e sicurezze false;
voi siete nati e assicurati nelle menzogne dei buoni. Tutto è
mentito
e distorto fin nel profondo per opera dei buoni'. (Ecce Homo). Del
tutto
irriducibile questo pervicace luogo comune in cui siamo nati e
assicura.
ti, e formati, alla sua storia più profonda, che è il
niente,
il Vuoto, se non trovando dentro di noi un altro Vuoto, un 'altrove',
magari
spaventoso, capace di inghiottire o annullare anche la sola immagine di
questo mondo; non la volontà deIirante di modificarIo, ma la
volontà
lucida e terribile di distruggerlo completamente, separandosi, non
restando
legati, con la forza di attrazione magari del dissenso, e del semplice
scontento.
I buoni
infatti non sono capaci di creare: essi sono sempre il principio della
fine:
E intanto
si cercano sempre nuove giustificazioni, per non accettare l'idea di
questa
fine. Che si risolvono sempre nella stessa sistemazione. Nel solito
spettacolo
sconcio. Perchè non può permettersi, altrimenti esplode,
di accettare tutto, deve respingere tutto quanto non si riesce a
spiegare,
'perchè non ha la forza di sostenere il dolore e la morte che
sono
impliciti in ogni percezione', la violenza reale contenuta in ogni
nuova
conoscenza.
'Sono stato
capito?'. La pretesa di Nietzsche appare stranamente ingenua. Come
potevano
gli « uomini buoni », capirlo, accettarlo, o anche solo
digerirlo,
con atteggiamento cristallizzato davanti al suo nome, quando capirlo
significava
amarlo e odiarlo, ed esserne terrorizzati, e tuttavia essere
nell'impossibilità
di non tentare, costasse quel che costasse, anche la distruzione di
quel
corpo, di quell'organismo unico che possediamo; c'era bisogno di
qualcuno
già segnato, già disposto dalle ferite che aveva fin
dall'inizio
nella sua carne, ad esserne figlio, uguale in tutto, o almeno nella
volontà
di distruggere. 'Forse sono nato con un corpo tormentato, truccato come
l'immensa montagna; ma un corpo le cui ossessioni servono:'.
E il tentativo,
qui ed ora di farli coincidere, di far coincidere la loro vocazione
resta
fuori, è un'esercitazione sui testi, con il desiderio di non
essere
qualcosa di ben definito, almeno. Purchè non sia letteratura,
semplice
unità di misura da accostare, per contare, perchè
trovarne
la dimensione giusta è impresa disperata, perchè solo
leggere
significa almeno conoscere i caratteri in cui è scritta, e noi
siamo
ben lontani. Se apparteniamo (per sempre?) ad una cultura di luoghi
comuni,
di anime morte.
'E'
fatta,
sono proprio caduto nel Vuoto, da quando tutto di quel che fa questo
mondo
ha finito di farmi disperare... Gli altri non sono separati, girano
ancora
intorno ai loro cadaveri. Dopo esattamente trentatré secoli che
il mio Doppio non ha smesso di girare, ora non essendo più, vedo
quel che è. Mi sono proprio identificato con questo essere, che
ha smesso di esistere e questo essere mi ha rivelato tutto. Lo sapevo
ma
non potevo dirlo; e se posso incominciare a dirlo è
perché
ho lasciato la realtà. E' un vero disperato che vi parla e che
conosce
la felicità d'essere al mondo solo adesso che ha lasciato questo
mondo e ne è assolutamente separato'.