Ce
minimum d'absorption de ma pensée dans ma pensée, ceste
fusion
dì mot et dì terme, de l'expression aver la
pensée,
cet oubli d'un instant donna à tous les hommes et qui leur fait
admettre la convenance de l'expression, voilà ce qui m'est
refusié
(Artaud)
Il sentimento
d'insufficienza, l'inutilità della scrittura, delle sue leggi,
l'oppressione
contro la voce e il grido, che è la prima affermazione del
nostro
esistere, espressione originaria (per riprendere il corso
dell'indagine,
della poesia, del poiein): si va oltre la distruzione; è
l'universo
che risuona delle nostre voci, del nostro passaggio, e che risponde con
l'eco possibile di sovrapposizioni, interferenze, vibrazioni che nessun
linguaggio "corrotto-borghese, prof-ano discorsivo contemporaneo"
(Diacono),
e nessuna scrittura, ferma, immobile nel suo orgoglio, potrà mai
tradurre, fissare in un codice.
La poesia
sonora ha una storia recente, se esoludiamo i ritmi più semplici
della poesia fonetica, le percezioni emotive, le formule nere,
esplorazione
sistematica, morfologica, transrationnel, dei richiami inattesi, da
Scheerbart
a Morgenstern, Chlèbnikov, Ball, Schwitters, Hausmann, Bryen, i
Lettristi, per non risalire à tous ces jargons utopici,
deformati,
immaaginari, infernali, venusiani "qui dérident la poesie, qui
réinstaurent
le langage dans sa souveraineté (parler sans raison, pour son
bon
plaisir)"; il prender corpo di parole interiori che denunciano un
ordine
artificiale, dove la voce è una mediatrice naturale, che
riecheggia
uno spazio aperto, teso sul fuori, permette di riflettere la carne
(muscoli,
sangue, nervi e soprattutbo sforzo) attraverso la sonorità,
risalire
direttamente ad una realtà prelinguistica dove si libera
l'automatismo
della voce, una densità interiore che ristabilisce contatti e
corrispondenze.
Il gesto
crea una lingua senza scrittura, nella separazione totale fra il
sé
e il significare; ("e quali raffinatissimi strumenti di osservazione
abbiamo
nei nostri sensi!", Nietzsche), messaggi sensibili e continui che invia
il nostro corpo e che il magnetofono soltanto permette di registrare
fedelmente,
senza trascriverli; ed è qui il fuori, in questa assenza di
trascrizione,
di artificio del linguaggio socializzato e la suprema
razionalità
di un tale procedimento, se trascrivere non é angora estraneo
all'ideologia.
"Horrible
fatigue de la langue quand je parle" (Artaud); solo la voce, il suono,
l'urlo si lasciano alle spalle la necessità di un sostegno
sillabico
alfabetico, che gioca ancora con i residui del linguaggio, ritmando
successioni
e cadenze in un processo che potrebbe non avere mai termine, crescendo
su se stesso con riduzioni e detriti che consentono ancora di scrivere,
permanendo all'interno del linguaggio, disgregato ma pronto a
cristallizzarsi
in altre forme e ristabilire, così l'ordine, l'oppressione, la
morte,
riassorbendo lo scarto iniziale per riaffermare sempre nuove distanze
ed
estraneità, dove può essere soltanto l'organo di una
interiorità
che cerca la sua affermazione con uno strumento che di fatto la
respinge
e l'annulla.
La necessità
di scriversi è qualche cosa di più del rifiuto
dell'essere
scritti, diventa materia esplosiva, sovraccarica di sensi, e non
prefigura
soltanto una possibilità espressiva, libera dal segno e dal
senso,
anteriore al linguaggio, ma presuppone il movimento, il calore del
sangue,
la contrazione dei muscoli, la totalità del corpo "ricettacolo
di
sensi" (H. Chopin), dove nasce un linguaggio che affonda nell'organico
degli elementi e ne assorbe la vita, ristabilendo l'equilibrio, che le
regole della mente, analitiche e fondate sulla divisione, avevano
spezzato.
Non c'è
più, di fatto, né un linguaggio né un senso
intellettuali,
si è a monte del rifiuto e della denuncia dell'inadeguatezza fra
suono e senso, proclamata in tutto l'arco della letteratura
dall'avanguardia
(la sola che ci interessi). Si giunge, finalmente, all'Aspiration
physique
au centre du moi (Artaud), al respiro che trascina tutto l'essere,
veicolo
di espressione verso un fuori non solo metaforico, che richiede una
trasformazione
dall'interno, dove si parla il linguaggio della carne, che riflette il
suo essere nel suono. La voce si è resa, così, strumento
di un agire poi-etico, di un gesto in cui il corpo si riconosce,
ripetendo
l'esperienza di una concreta creazione, di una sonorità che
ristabilisce
il continuum della comunicazione con se stessi e i suoni dell'universo
che ci circondano, voci che si incrociano, si urtano, si penetrano,
suoni
spesso inudibili all'orecchio umano, che solo l'amplificatore isola,
registra,
accresce, sovrappone fino ad avvolgere chi ascolta in un mondo di
risonanze
(a), da percorrere o da riscoprire, in un caos, talvolta angoscioso, di
emozioni libere. Ed è sempre la fatica, lo sforzo, richiesto per
provocare le inflessioni più nascoste della voce, per mostrarsi,
suscitando un contatto, attraverso il grido con cui ci si riconosce,
che
stabilisce la comunicazione, "cri du besoin, de la protestation, cri
sans
mot sans silence, cri ignobile on, à la rigueur, le cri
écrit
les gragfites des murailles" (Blanchot)