VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
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Une affreuse compression de la voix
di Laura Marcheschi
1975

   
Ce minimum d'absorption de ma pensée dans ma pensée, ceste fusion dì mot et dì terme, de l'expression aver la pensée, cet oubli d'un instant donna à tous les hommes et qui leur fait admettre la convenance de l'expression, voilà ce qui m'est refusié (Artaud)

Il sentimento d'insufficienza, l'inutilità della scrittura, delle sue leggi, l'oppressione contro la voce e il grido, che è la prima affermazione del nostro esistere, espressione originaria (per riprendere il corso dell'indagine, della poesia, del poiein): si va oltre la distruzione; è l'universo che risuona delle nostre voci, del nostro passaggio, e che risponde con l'eco possibile di sovrapposizioni, interferenze, vibrazioni che nessun linguaggio "corrotto-borghese, prof-ano discorsivo contemporaneo" (Diacono), e nessuna scrittura, ferma, immobile nel suo orgoglio, potrà mai tradurre, fissare in un codice.

La poesia sonora ha una storia recente, se esoludiamo i ritmi più semplici della poesia fonetica, le percezioni emotive, le formule nere, esplorazione sistematica, morfologica, transrationnel, dei richiami inattesi, da Scheerbart a Morgenstern, Chlèbnikov, Ball, Schwitters, Hausmann, Bryen, i Lettristi, per non risalire à tous ces jargons utopici, deformati, immaaginari, infernali, venusiani "qui dérident la poesie, qui réinstaurent le langage dans sa souveraineté (parler sans raison, pour son bon plaisir)"; il prender corpo di parole interiori che denunciano un ordine artificiale, dove la voce è una mediatrice naturale, che riecheggia uno spazio aperto, teso sul fuori, permette di riflettere la carne (muscoli, sangue, nervi e soprattutbo sforzo) attraverso la sonorità, risalire direttamente ad una realtà prelinguistica dove si libera l'automatismo della voce, una densità interiore che ristabilisce contatti e corrispondenze.

Il gesto crea una lingua senza scrittura, nella separazione totale fra il sé e il significare; ("e quali raffinatissimi strumenti di osservazione abbiamo nei nostri sensi!", Nietzsche), messaggi sensibili e continui che invia il nostro corpo e che il magnetofono soltanto permette di registrare fedelmente, senza trascriverli; ed è qui il fuori, in questa assenza di trascrizione, di artificio del linguaggio socializzato e la suprema razionalità di un tale procedimento, se trascrivere non é angora estraneo all'ideologia.

"Horrible fatigue de la langue quand je parle" (Artaud); solo la voce, il suono, l'urlo si lasciano alle spalle la necessità di un sostegno sillabico alfabetico, che gioca ancora con i residui del linguaggio, ritmando successioni e cadenze in un processo che potrebbe non avere mai termine, crescendo su se stesso con riduzioni e detriti che consentono ancora di scrivere, permanendo all'interno del linguaggio, disgregato ma pronto a cristallizzarsi in altre forme e ristabilire, così l'ordine, l'oppressione, la morte, riassorbendo lo scarto iniziale per riaffermare sempre nuove distanze ed estraneità, dove può essere soltanto l'organo di una interiorità che cerca la sua affermazione con uno strumento che di fatto la respinge e l'annulla.

La necessità di scriversi è qualche cosa di più del rifiuto dell'essere scritti, diventa materia esplosiva, sovraccarica di sensi, e non prefigura soltanto una possibilità espressiva, libera dal segno e dal senso, anteriore al linguaggio, ma presuppone il movimento, il calore del sangue, la contrazione dei muscoli, la totalità del corpo "ricettacolo di sensi" (H. Chopin), dove nasce un linguaggio che affonda nell'organico degli elementi e ne assorbe la vita, ristabilendo l'equilibrio, che le regole della mente, analitiche e fondate sulla divisione, avevano spezzato.

Non c'è più, di fatto, né un linguaggio né un senso intellettuali, si è a monte del rifiuto e della denuncia dell'inadeguatezza fra suono e senso, proclamata in tutto l'arco della letteratura dall'avanguardia (la sola che ci interessi). Si giunge, finalmente, all'Aspiration physique au centre du moi (Artaud), al respiro che trascina tutto l'essere, veicolo di espressione verso un fuori non solo metaforico, che richiede una trasformazione dall'interno, dove si parla il linguaggio della carne, che riflette il suo essere nel suono. La voce si è resa, così, strumento di un agire poi-etico, di un gesto in cui il corpo si riconosce, ripetendo l'esperienza di una concreta creazione, di una sonorità che ristabilisce il continuum della comunicazione con se stessi e i suoni dell'universo che ci circondano, voci che si incrociano, si urtano, si penetrano, suoni spesso inudibili all'orecchio umano, che solo l'amplificatore isola, registra, accresce, sovrappone fino ad avvolgere chi ascolta in un mondo di risonanze (a), da percorrere o da riscoprire, in un caos, talvolta angoscioso, di emozioni libere. Ed è sempre la fatica, lo sforzo, richiesto per provocare le inflessioni più nascoste della voce, per mostrarsi, suscitando un contatto, attraverso il grido con cui ci si riconosce, che stabilisce la comunicazione, "cri du besoin, de la protestation, cri sans mot sans silence, cri ignobile on, à la rigueur, le cri écrit les gragfites des murailles" (Blanchot)


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