Per
strano
che possa parere, se dovessimo dare un consiglio al lettore
che per
la prima volta si avvicina a questa raccolta, sarebbe quello di
affrontarla
dal versante meno praticabile, dal settore cioè dove i metodi
espressivi
di Antonio Spagnuolo, il suo temperamento , le sue qualità di
poeta non
sappiamo se di ultra o transavanguardia si esplicano in tutta
la loro
complessità e dove lo stesso andamento poematico porta meglio
in evidenza
il giuoco alterno e quasi conflittuale dei suoi procedimenti
e delle
sue tematiche.
Vogliamo
alludere, dicendo ciò, alla sezione dal titolo Melania, nel cuore
stesso
del libro, in cui fa spicco, tra le altre cose, l’abbondanza di
terminologia
clinica
, frequente sempre in Spagnuolo, ma qui proposta con una
radicalità
che carica
il linguaggio di semantemi inusitati e di mille imprevedibilità,
e dove
l’orchestrazione espressiva, col multiplo rincorrersi di assonanze
e dissonanze,
manifesta al più alto grado qualcosa che ci sembra al centro
della poetica
di Spagnuolo: il criterio dell’emersione, il cimentarsi cioè
con una
serie indefinita di soggiacenze disperse nei territori dell’inconscio,
che per
istanti la parola cattura e porta in evidenza a somiglianza di rottami
predati
dal mare e tornanti in superficie per brevi e corruschi affioramenti.
Tutto ciò
per sottolineare il valore prelogico della poesia di Spagnuolo,
la natura
di un linguaggio che non mira in alcun modo alla “sintassi” , ovvero ,
se si preferisce,
rimane al polo opposto dai processi aggreganti che sono tipici
della comune
espressività, e invece è come se perseguisse la scommessa
di misurarsi
con quanto c’è di albicante, di preconscio, di disaggregato,
di informale
nella nostra esperienza. A servirci di un paradosso, diremmo
quasi che
qui la parola interviene a manifestare ciò che sta anteriormente
alla parola,
il pensato allo stato ancora amorfo, i materiali mentali prima
che si
coordinino , i reagenti insomma della nostra esperienza intima sorpresi
allo stato
prenatale e quasi fetale, prima comunque che si siano subordinati
a quella
che per convenzione chiamiamo la coscienza e invece vagolano
ancora
al fondo del nostro Es alla ricerca di un coagulo.
Una situazione
di questo genere è, lo si sarà capito, attinente
all’onirico
,
anzi può
definirsi tout court una disposizione d’ordine onirico. Il mondo di
Spagnuolo,
specialmente in Melania, rimanda a una specie di camera oscura
dove i
pensieri e le sensazioni, e per essi le parole devolute a significarli
,
s’avvicinano
e si scontrano a caso , dando origine a provvisori assemblages ,
a occasionali
e cieche agglutinazioni il cui compito non è tanto di manifestare
dei sensi,
quanto di disoccultare per un istante l’in-sensato della vita
mentale,
la sconcertante
gratuità dei momenti paraespressivi, quella specie di tabulazione
verbale
che instauriamo con noi stessi al di sotto degli strati superiori della
coscienza
affidandoci a spezzoni e talora quasi ad arbitrari fenomeni nei quali
proiettiamo
e in qualche modo obiettiviamo trasognate ed erratiche pulsioni
monologanti.
S’intende
che una disposizione di questo genere riconduce a qualcosa di diverso
da quel
che appare in superficie. Occorre cioè tener conto di quel tanto
di sotterraneo
che c’è
in questa poesia e di quel tanto di ansioso che ne rappresenta
l’effettivo
contenuto.
Non si dà condizione onirica senza larghe falde di ansia e magari
d’angoscia
.
Non si
dà regressione agli strati preformali dell’esistenza coscienzali
senza perdersi
dentro
gli ipogei dei quali è disseminato il nostro sottosuolo mentale.
Probabilmente,
come la
“logica” è uno strumento per difenderci dal fantasma del
profondo
e
addirittura
un esorcismo, così la rottura della sintassi e
un’espressività
affidata
a flussi
saltuari e prelogici liberano e portano in primo piano l’informe, il
larvale,
il temibile
che stanno annidati nell’ Es e che, non più arginati,
travalicano
le nostre
difese
e minacciosamente irrompono in primo piano.
Ha scritto
una volta Antonio Spagnuolo che “la poesia è legata
all’inconscio
e
l’inconscio
è il luogo della poesia ». Ma una così
esplicita
professione di fede
psicanalitica
non si limita affatto al regime della poetica. Essa comporta da
parte di
Spagnuolo una vera e propria assunzione di contenuti e mitemi anch'essi
d'origine
psicanalitica: o, a dirlo più chiaramente, entrano
massicciamente
nei
suoi versi,
fino a diventarne radice e sostanza, il ben noto binomio di eros e
thanatos,
l'endiadi-opposizione di libido e morte, assunti per via d'un'estrema
semplificazione
con un'intensità
quasi aggressiva e sofferti per converso fino allo spasimo e allo
sgomento:
lo spasimo di chi s'aggrappa all'eros in nome della vita, lo sgomento
di chi
da esso regredisce, per stanchezza magari e sazietà, verso
immagini
funeste
e talora
macabre vertigini. In fin dei conti il protagonista di Candida e di
Verde
pelvi,
la prima e la terza parte di questa raccolta, chi altri è se non
l'eros, con i
suoi ambigui
segnali e la sua fallacia ? E protagonista di Melania chi altri
è
se non
thanatos,
la morte col suo sentore diffuso e quasi crudele che insinuandosi per
ogni dove
introduce nelle cose una sorta di corruzione, tanto più che
l'abbondanza
stessa
dei termini clinici rimanda inevitabilmente all'idea del morbo e del
dissolvimento,
lasciando
trasudare l'irrimediabile infermità del vivere, la perpetua
nostra
entropia?
E’stato
scritto che presso Spagnuolo « la malattia diviene lo stato
simbolico
della
umana
degradazione,
il simbolo dell'angoscia mortale, che prende e attanaglia
l'esserci
per l'esistenza e quindi l'eternità stessa del linguaggio come
veicolo
e
persuasione
». E in effetti, per continuare il discorso a nostro modo, rare
volte
la non
significanza e impronunziabilità del vivere e la correlativa
angoscia
hanno
trovato
pronunzia più radicale, oltre tutto o soprattutto perché
non schermati
dall'espressività
e dall'ordine formale che ne consegue ?, e piuttosto proposti
attraverso
i procedimenti preformali di cui parlavamo, precipitati verbali la cui
natura
presemantica e la cui irriducibilità a una sintassi sembrano
esser
lì a
significare
il brutale disaggregarsi della materia, il decomporsi nei suoi elementi
primari
di ciò che per convenzione chiamiamo vita, la «
verità
» dell'esistere resa
nuda e
gelida e scheletrica, priva com'è dei veli che vi stendono sopra
le capacità
organizzatrici
e le difese della coscienza. In fondo la parte data all’inconscio
presso
Spagnuolo
non altro è se non la consapevolezza delle infinite buie
gallerie
soggiacenti
al di
là
del piano ostensibile del nostroEgo, e del tremore, e del ribrezzo non
reprimibile
–
perché
non esprimibile, e dunque non razionabile – che ci coglie a penetrarvi.
“La
libido
produce il sapere senza oggetto in disarmonia con il reale.”