Quando sono cadute le
torri,
ho subito
pensato che ci sarebbe stato un gran daffare
per i poeti:
scrivere poesie, organizzare readings,
incidere cd
che fra cento anni diano la prova
della
sensibilità dei nostri tempi. E così è stato:
chi ha messo
l'accento sul dolore, chi ha invocato
il dialogo
tra le civiltà, chi dal lutto ha distillato
sublimi e
meditati lamenti d'amore.
Bene, lo
confesso. A me non importa niente degli ienchi
travolti dal
crollo né di quanti afgani siano finiti
nel wargame
di Bush.
Non mi
importa neanche se l'antrace nelle lettere
ce l'ha
messo Bin Laden o Sharon o è solo
una
congettura di Bruno Vespa,
non mi
importa se questo è il tramonto dell'occidente
o è
l'alba dell'oriente, se il nuovo imbianchino
della storia
da giovane faceva il pianista sull'oceano
o ad
Hammamet. Tanto, fra poco è natale
e all'uscita
del mio prossimo libro mancano
solo due
mesi.