Ogni
poesia è un pre/testo, un'energia, che si muove per
approssimazioni, per
piccole e inavvertite sottrazioni, per aggiunte di respiro e di voce;
un gioco
a somma zero, la cui regola, rigorosamente binaria (come quella
dell'interruttore),
è
acceso/spento, memoria/profezia,
quotidiano/immaginario.
Ed è
in questa prospettiva, in cui un termine sta
nell'altro, come l'immagine della cosa (e della parola) sta sì
nella cosa (e
nella parola), ma è cosa (e parola) essa stessa, senza
perciò necessariamente
rinviare alla sua origine, che va letta, con la voce, più che
con lo sguardo,
Poesia.
Non è
casuale, quindi, la dedica a Emilio Villa, a
questo artifex maximus di un Novecento generoso di poeti
stitici e
stizzose zitelle in odore di Nobel che non arrivano mai.
Essa
testimonia la fedeltà del testo ad una pratica
della poesia, in cui è la durata del respiro (e dell'immagine) a
deciderne, di
volta in volta, la direzione e l'esito, sempre provvisori, per altro, e
del
tutto casuali.
O tu che
leggi
mia ipocrita
sorella che a me somigli
io di qui
null’altro tengo o tutto tengo
per dentro o
per mattìa che sale a guaio senza
sospetto
qui nel
pastragno io solo un po’ alla larga
mi scapola
la voce
e dietro ai
passi sparla
la notte che
fui di sopra e ci ebbi notte
tra supplici
ingrati e le zitelle
tra becchi
porri e le giulive usanze
e muto
sì muto
che il sole
non mi impiastri e bruchi il cul
ma tu non
fare
che ancora
sgraffia il cielo e sbatte a mollo
e grama
nell’aria l’aria al saggio
che trova
gioia e a chi la perde
con che
frugagne o ingonìe ritorte mi morderò la
coda
o
mangerò come si canta
se privo di
idiozia e senza pinze
si spappola
il nuovo e anche l’antico dietro
all’antico
che l’antico
tolse
e mise su un
gran baldàno per domineddio
che ancora
ardisce gridare al tosco
fuggi fuggi
mentre fugge
ma io son
della tua terra io son campano
e non spero
di tornare perché non torno
dove la
notte si avvita e si contorce
e son
carezze e colpi d’anca e odor di sperma
ma tu lascia
qui mutande gregne e sbreffi
riposa
adagio nel tuo sonno e poi confessa
che vuoi la
luna a piene mani e vuoi un messàle
tu vuoi una
pamela di carta e di cobastro
tutto tu
vuoi purché sia tutto e già nel mezzo
e io condoni
di non aver né qui né là
di non
averci più stupidità
ora che pari
e patta per ogni dove
sul dritto e
sul rovescio io vengo al dunque
e senza
credere e anche credendo
che tu credi
che credo anch’io
vengo come
la pioggia con misura e con sgugni
quando
sgreta dalle nubi e dalle gronde
e mi tocca
versarla sul tuo volto e battezzarti
col nome di
un uccello o di un giullare
e potrei per
strigna con trepida dolcezza
convincere
anche te a vivere sputando contro vento
perché
io non spero dl tornare e già non torno
dove fui
più volte e furono molte le cose
che io vidi
e non comprendo
ma tutto
comprendere non si può
non è
giusto non si deve e non convéne
da chi le
sue idee le ha scialacquate tutte
divorandole
a colazione a pranzo e a cena
quasi uova
sbattute a nolo
o anche idee
e
così pare che pare a me e a chi so io
che a
distanza in loco o per difetto
s’aggromma
su se stesso e fa suggello
senza fiatar
perché a fiatar la voce manca
i coglionati
della malsana scorticata istoria
che mite et
losca et imparziale
or dazza e
or impéglia quasi a dispetto
come
già mi urlò senza più amore
una che
d’amore amai e fui disdetto
o nini o che
tu fai o non t’avvedi
che la Cina
l’è una gran cosa ma pe’ Cinesi
e poi
continuando di fuori al foro
i libri li
hai letti tutti or qui sei triste
e quindi
vengo al quindi
mentre
tambura il cuore e il cuore della sera
si rampica
sul convento della Lobra e tra i miei
denti
ed è
la sera che dolcissima ridonda
nelle curve
del bargetto e della tronna
e a manca e
a retro e già s’aggrugna e tinta
e salta
fuori e ancora lippa
e là
per dove
e là
per qui che brividi più non abbiamo
se non a
computo
null’altro
abbiamo o altrove l’abbiamo
noi che dal
nudo asilo siam nati ieri
ma siam
già fatti vecchi
ma cosa
siamo appena uno se la goda o spera
nulla
sappiam che siamo
o che ci ho
la gola secca che ci ha
chi ce l’ha
che non beve
o troppo
beve e come la gola
che come la
pietra che sono le mani tue e potrei
dirti
se amico mi
fosse chi ti è amico
o anche
questo
è l’autunno
ma ora basta
sfava la
rava e tira a coppa
di ramaglie
combricche e lustri a fondo
e su e
giù
in fuga in
largo e in tondo
finché
ti viene gusto
e carezzi
piano sì ma piano
per dopo che
dopo che dolci gli occhi e le parole
e i pomodori
rossissimi dell’agro
sì ma
piano
che sfrange
il vento e non ritiene
e il lungo e
il largo c’è da capire o altro c’è
che ancora
scampa e che sospetto d’altro
che altro
è dall’altro che è l’altro
che ancora
sfalla
e qui
m’appunta alla question mia prima
e anche alla
nona
ma tutto tu
hai
una casa tu
hai
padre marito
figlio e odor di buono
che come il
pane è buono che vien dal forno
e oro e
zacchi e ciuffi e treppe e glisse
sul divano e
dentro il letto
mentre noi
solo tarocchi deteniamo
e libri di
rarissima stupidità
per l’ora
che verrà che chi ce l’ha ce l’ha
che tracchi
il giusto il mite e chi pensa troppo
tracchi la
pulzella l’orefice e chi fa di sé
guadagno
perché
la mano sfaglia e prende rocca
e musica che
mozzica è sovvenirsi
che assai
amammo e senza averne onde
noi che ci
condanammo tutto fuorché il patire
amore mio
dolcissimo
mia
bubà mea Betsy mea non credibile come-ti-chiami
che in
memoriam o in presenza pur mo’ svaneggi
ma che
diamine fai che ci dovevam lasciare
ma non fare
ma no
ma fa tutto
o niente
che chi ci
ha empietà ci ha onore e urbanità
e sbregna la
gerla a quei che non abbocca
sbregna la
cosa e il fondo della cosa
la foglia la
diossina e la lumaca
perché
a rispondere la materia è sorda
e sordo io
che nato uomo uomo già fui e ancor lo
sono
ancorché
non veda a che mi serva e come
piova o
faccia azzurro ogni mattino
e scroscia
la sgargìa sui nostri sensi
come la
trina il giorno sacro accolta
che sposa
fosti e or sei fatta matta
tra santi
berberi e gente un po’ cojona
che d’ogni
risma d’ogni cupa chiocca
danno a
sé rende il bene e il male altrui
e lustra e
svanvera e non sa darti sì o darti no
e
così sembra che così sia così
e d’ogni
finezza noi d’ogni malizia ci facciamo
carico
o troppo
tardi perché rapini la vita all’ultima
fermata
o dentro la
corteccia che c’è la polpa
che
c’è la substantia
che
c’è l’animula tremula et vulgivaga che c’è
la notte che
io trasumanai perché a doler ne avessi
con cose da
fare
e cose
che ad ogni
cosa si resta soli
a smoccolar
su santi e fanti
mentre tu
saluti come quei che ha fretta
per ingenita
premura
di
recuperare ciò che perde
e già
si pente che tarda e ancora più ritarda
tanto il
tardare piace
ed il
pentérsi d’essere così come si è
dove si
è perché si è che si è alla fine
o proprio
qui inizia
un altro
esperimento un’altra invenzione un altro
mutamento
si è
nel pieno del nostro cammino
nel pieno
della guerra e della pietà
ed è
già gran tempo che sveggiamo
senza
conoscere che c’è
di là
dal qui e di la dal là e per di dove per di
là
del
garbuglio del furore e dei presagi
che presaghi
siamo solo di ciò che non accade
e se accade
sì ma
lentamente
sì ma
a caso
ci strulla e
ci sondaglia così che è così
o è
solo la quotidiana sbugiardata voglia di un
affetto
a farci
sventolare nel nostro cranio
nel cranio
della notte
che senza
quiete or mareggia e or s’impunta
l’alta
nobilissima metafisica notte
che scende
sui nostri corpi ignudi
scende sulle
poiane le cimase
e i
preservativi dell’epoca
la materia
lo spirito l’unità e la differenza
sugli
sproloqui belli che ieri ci illusero
e ancora
sproloquiamo e più non ci illudiamo
sulla bola e
sulla folla
che pulla e
ripulla per tutto e per nulla
la notte di
poeti santi e maghi
che di
sandracca e biocca si fa corvina e senza
luna
e fa le
vacche nere e le fa magre
fa baldracca
e fa pantano
fa mattanza
e fa canappa
senza
trampolini ionosfera né puntelli
ma io
puntello
sì
che sul più bello
o sul men
bello o sul bello che è sempre il bello
muoia Aldo
perché
ha profetato
e due donne
da far femmine sono affar serio
muoia del
suo serio e del cinismo
che ci vuole
a essere cinici e seri
muoia
perché è giusto che così muoia
chi d’ogni
batticuore nascostamente accaffa
chi se la
sbatte e dice sempre
tu vai per
le tangenti e già trascuri
il solido
spessore delle cose
che
dà bando alle tue ciance
e muoia
Maria
perché
lei mette becco
e due maschi
da far uomini non fanno colpa e conto
muoia del
suo bisogno e della morte
che ci vuole
per chi ne ha bisogno
muoia
perché è giusto che così muoia
chi si
liscia le gambe e ha il cuore in bocca
chi impara
maestà e la fa da parte
chi troppo
sa che nulla sa ma dice sempre
siamo tutti
uguali anche i diversi
muoiano
Carmen Elvira Raffaele Rosa Gennaro e il
cane
chi è
maestro di fanfare e rappresaglie
chi ha la
gnucca calva e chi coi peli
chi l’io ce
l’ha intatto e chi diviso
chi fa vero
e chi fa falso
chi la
dà che le piace che piaccia a Dio
chi la
dà che le piace che piaccio io
chi di morir
ha voglia e chi non vòle
chi è
veneto di Florenzia o è campano
e anche di
Lecce
chi vien
d’Apulia di Soria o dalla luna
chi vien di
Marte di Venere e chi è di parte
chi fa
sì e chi fa no e chi non fa
chi è
chionzo e chi è paffuto
chi è
mencio e chi è sparuto
chi s’illude
per poesia per dogma o per donna
muoiano
tutti
perché
in molti e in tutti è bello morire
e anche
sbagliare
ora che a
sbarellare di già son pronto
e più
non spero di tornar perché non spero
e a nostro
danno penso e discerno che tu sii saggia
ma garba ad
un tempo e gaia
e qui mi
insegni
con quali
azioni invece di canzoni andremo a
zizzole
se ognuno si
lissa come se stesso con se stesso
e tutti
lissiamo nel mondo come tutti
perché
insegnare tu mi devi
come sa di
sale l’amore altrui
o come con
che sale si ripaghi
se dentro e
con quanto zelo lavora il verme il
mollo
né ha
discordia che ci ha la musica
che ci ha la
vita che la rovina
la scossa e
la pispiglia
senza gusto
e viene
giù un rutto
e tanto per
cambiare la tiritera che
è
chiaro che è inutile che è chiaro che aver
sbagliato
non torna a
capo al punto o al tutto che è proprio
tutto
e già
a buon punto e
a capo
e allora
andiamo
che la via
lunga è sempre la più lunga
se ad ogni
passo fermi il passo
e pensi che
altre vie ci sono
che
sì smarriti ora che l’età nostra è quasi piena
vie non
abbiamo se non questa d’andare
come quei
che va e ritien di stare
ora che
tocca l’ora della sera
e volge il
disio a chi ne è volto
e
incrudelisce il core che manco è d’ardore
e di
prudenza
perché
a nulla resta o forse a tutto
o forse
tutto è nulla
e pari quel
che vendi e che tu acquisti
pari se tu
spacci e se commetti
e pari noi
che di troppo sentire siamo già sazi
anche chi
mai sentì né volle
che dalla
vita non ci ha il talento
non ci ha il
gusto e la perdenza
che ci ha
chi vuole e sente
e ci ha se
non talento almeno il gusto
che poi lo
perde
e perde a
soprassello anche l’olfatto e il tatto
che son dei
nostri sensi quelli più propri
e quelli
più
che
più non se ne può d’udire
e di vedere
e mai toccare
mai aver
né rancio o lezzo se non del nostro
che nostro
è dubbio se lo sia di iure oppur di
fatto
o se non sia
di contro tutto un ghezzo
e nostro
è solo il nostro
ovvero un
flatus vocis ovver di ventre
o vero
è che è vero solo il vero e vero è
che
arròsi siamo e con paffuta solennità
a
interrogarci
in do’ lo
folle tempo sgugna e in do’ finisce
che ragione
comincia
o se
comincia
che ci
comincia la follìa d’averci senno
e il senno
che ci ha la casalinga
che pesa
sale e pesa pasta e poi si sbizza
per noia
terrestre e intelligenza
che lievita
al fondo del secolo o dentro l’utero
da cui tutti
fummo gittati al tutto
uno per uno
a far la
guerra
che si fa
chi s’ama
per morte
gaudio o carestia comune
ora che a
morte io t’amo
ed è
stagion de doler tanto
a ciascun
omo che di doler talenta
e per chi no
non c’è diverso
accidente
non c’è che per goder lo può mostrare
che torcia
il quotidiano e già soggòla
per strada
il dì di festa e dentro al cesso
noi che
tristi siamo nell’aria dolce
che da noi
s’attosca
e più
non abbiam cognitio o recusatio
ma il male
sì
quello che
è bell’e pronto né costa arra
quello che
non fa rischio e fa l’uomo dabbene
quello che
è male sì ma di necessitate viene che
viene
quando la
vita inzolfa e mo’ grilletta
che poi si
grippa e annarca e fa la grisa
come ora che
per un po’ di fumo
e un po’
più di solo
s’è
matto il cervello e dà di baggio
il baggio
della quinta e della nona
il baggio di
chi si smangia il vivo e spella
addosso
sì
che giunto all’osso
hoc est al
fondo
ma al fondo
fondissimo e fonduto
al fondo di
tutte cose di tutte umane cose
che movono a
tornar in do’ son rose
bene non
c’è né gioia
che
c’è il willie o più semplicemente il macht
che ad uso
mio e non di dio traduco verbo
e faccio
chiosa
che appena
ieri c’era ma or dov’è che più non c’è
e s’è
fatto accidente il mondo
e accidenti
tu che io chiamo amore
ma amor non
hai
che ti falla
col verbo anche il valore
e non ci hai
vertute e canoscenza che son le
qualità
che fanno
d’ogni animal
uno che
viene sempre tardi
a quel che
altrui ha già dismesso
ma per
risarcimento ci tiene l’io che tiene
chi senza
risicar si pappa il tutto
né ci
ha chi risica del proprio e il proprio rosica
che proprio
e proprio poco senso non da né salute
se non quel
che occorra
ancora a
risicar senza merzede
che poi
prende grande smarrimento
e io dico io
come se poi lo fossi
e non
ambissi a conti fatti anch’io a un non-io
come fan
tutti che per cortesia sociale
se lo fanno
e danno
senza temere
il danno che temo io che a dir chi
sono
son reso
muto né mudo penne
che di mudar
non ci ho piacere
se per
piacer ci sono stretto
a domineddio
agli òmini e all’amor mio
che se poi
mudo o crepo
non cangia
stile il mondo né tanto men si fende
che dio
l’è sempre dio e omo l’omo
e l’amore
mio rimane amore
ossìa
un palpito del core e della mente
che mi trema
dentro il tutto e si spaura
se sol mi
guarda e mostra che non si scorda
che poi si
scorda né muta usanza
se a saper
che sapor ci abbia che non ci ho
l’altrui e
il suo
mi succio il
sangue mio che è del polso o d’altra
parte
io che tutte
le ho conosciute le notti
che ti
mozzichi i denti per il dì che tarda
e poi che ce
l’hai davanti tutto davanti proprio
davanti
è un
bell’affaire o è solo un à faire e basta
che è
molto già se lo si fa
molto che lo
si fa
e lo si fa
che non si sa né c’è altrimenti
poi che
tutte le ho conosciute le strade
che toggiano
in do’ si parte
che si va si
torna e non si trova
fuor che la
morte nulla se non la morte
che dentro e
fuori c’è morte sorella morte
morte e
ancora morte e sempre morte
che vita
abbandona e non condona
noi che
frusti siamo né fatti domi
a chiedere
ragione al tempo del suo tempo
e a dio
d’essere dio e all’omo omo
mentre
l’amore mio rimane amore
ossìa
e chi lo sa perché ti amo
e chiamo
amore te che non ci hai core
ma l’ardore
quello sì e al calor rosso
che dai
sensi viene che viene
oh sì
tu vieni
oh sì
sì sììì
e vengo
anch’io
in fondo e
dentro all’utero o alla tua gola
sversando
con lo sperma ogni ragione
ma il
talento quello no che resta intatto
e io sol uno
ancor
m’appresto
a sostener
la guerra che sempre tocca
quei che
smessa la pietà per sé e per gli altri
nel mezzo
del cammin della sua vita
che è
solo sua e non è certo nostra
si trova
solo e uno dentro il letto
e sol e uno
lo è anche per strada
la sera del
dì di festa e del feriale
se piove
mangia caga o se s’ammatta
se fuma
fotte parla o se sta zitto
che morte
lui ci ha dentro che lo respira
e morte
anch’io ci ho dentro e insieme amore
ma tu amore
mio
amore bianco
e vermiglio
amore senza
simiglio
amore e a
cui m’apiglio?
amore bianco
e immondo
amore volto
giocondo
amore dolc’e
placente
amore di me
dolente
amore mio
amor tu mi dai morte
spisciolandomi
sul core e sulle idee
così
che giunto al fondo dove or mi tengo
or vedo e
qui m’infollo
e qui
m’incaglio
che quanto
piace al mondo non son le fòle
con cui da
solo si lede chi quello fere
ma balocchi
profumi e quanto è bono
a chi del
suo letame a sé fa strame
come strame
fai tu amore del mio amore
or che
dipana l’anno e io maledico
il mese il
giorno e l’ora che fosti amore
ossìa
un palpito del core e della mente
che or
sì strutti
salute
più non tengo o canoscenza
né ci
ho vertute o altro
o altro vuoi
ma che altro
vuoi da me che non sia sempre lo
stesso
e dolci baci
e languide carezze e viole
e cattleyes
al tuo adulterio
che a
mescolar la scena e un po’ di vero finisce
che si
prende poi sul serio
il serio
della scena e non del vero
che a dirlo
e farlo nessuno mette becco
ma becco
è quel biondin ch’è tuo marito
e becco
anch’io che chi lo sa chi sono
e qui a
frusto a dindi eppure a pappa
non ci ho
nella beltà ristoro al male
ma il male
sì
sottile
in cui
m’arrocco
del secolo
dell’omo o solo mio
da quando
iddìo segnòr del tempo e d’ogni eterno
sé
disse dio dell’omo e dell’omìno
che sapiens
o insipiens non sciacca lucco
pretende
ancor per sé il cul dell’ens
e
però sciamanni chi lo vòle il suo di giorno
lo faccia
pur di notte a canca e batta
foresto
urbano esperto o imperito
che tutto
scorre come fu già detto
e poi gli fu
obiettato che invece è fisso
per cui mi
doccio
e sento gran
doglianza di dubitare
e aver
motivi al dubbio
se corre
cola scola
oppur sta
saldo
che mo’ mi
par d’un modo e mo’ d’un altro
sì
che mi sfolce il senno
e mi rimane
quel tanto
che mi dolga
ancora d’averne
e dunque non
c’è dunque su cui puntelli
e a te
sì a te amor che indugi e strappi
da entro al
petto mio ogni dolzore
a te
sì a te amor che ad amor mi movi
io grido che
non ci ho rimedio al male
ma ci ho il
furor ch’è mio e sempre allide
chi
dell’urlo suo di sè fa eco e loppia
sì
che giunto dove son giunto
ovvero al
punto
che fu
già detto Tiche
che mater
est puttanissima
mater
dell’omo e dell’omìno
mi vien la
voglia che ci ha chi ha in uso citare
come esempio
i casi suoi
e giudicando
che non al
postero pertiene la sentenza
s’arroga di
diritto di fatto o di suo arbitrio
di far con
la quistion il punto e la vendetta
per cui ad
un villan che stupido s’inurba
hoc est a
tuo marito e a te medesma
qui dedico a
mo’ di omaggio
quanto
già appresi tra le cosce tue
sebben da te
io sappia e dal tuo biondino
che son
parole solo né ci hanno senso
come il mio
amore e tutto ciò che è mio
ma tutto
insegnarmi tu non puoi o l’unica qui è di
fare
alla fine un
po’ alla volta
o di non
fare
per dopo che
dopo è foglia passa che è una vita
che non
abbiam ragione o torto o legge o fede
e siamo
senza ordine e senza rivoluzione
a spisciolar
e a lustrar sul dosso
poi che
fimbria l’intelletto nella schiena
e fimbria
negli ideologici stupori
e adagio
nelle notti che pontano
berciando
senza dolore
e negli
angoli quegli angoli là dove
il dove
è dove
ma dove
siamo
che
nell’immemore equilibrio immemore
che ci ha il
domani
non
c’è domani non c’è sfizio né virtù
né argomento
neanche un
lecca lecca o una lattìmma
c’è
che non sia già qui
et nostalgia
di pietra et arcata sopraciliare
et panico et
straforo et testicolo et lume
et rameggio
et christ che dir si voglia
et l’assolo
et l’uccel
di dio
et
propizievole molto la figa
et il gotto
col suo stampino et il coro
et il
cataclisma et la dolce ferita d’amore
et la
mutanda che non viene giù
et il
poietico
et la
téta
et Liliana
& Marco et nessuno et molti
et il neuma
et crac et sì et cetera
et
erà et rà et à ohi rombolà per cui si sa
che
ci ha messo
che
ci ha messo
l’alto e il non potere dell’occidente
che tutto
può ma non posso io
ci ha messo
l’unghia e il pelo d’aria
di lampegno
di febbrile e di fatica con gran fatica
un quarto di
manzo e di fuso orario
e lente
sferze e dura biocca alla rigogna
che non si
vede un mesone che è un mesone
ma
già è la notte sui tuoi dolci seni
sul culo del
bue e della vacca
che
malinconica
che rude
che rotta
che dirotta
per dove dirompe
che io
passai con tanta piéta la notte che fui
per far di
me gibetto
e dentro e
lungo e al largo e su nella palanca
in cui si
scarica lo spirito lemonato della vita
tra alunni
gesuiti e ciance allegre
o tra
llà llà in corso Italia e a via Manzoni
a cor di
gridi lagni e dolci lai
ma tu
chiedilo a Maria se tuo marito può e sa
e non sa che
tu sì
sì ma
raramente
sì e
se ti vien la voglia che viene
a chi da
solo se la toglie
perché
a soffrire e anche a godere
da soli si
è sempre soli
si è
che si perde pietà e civil rispetto
e tu fai
finta d’averci un incubo
che un po’
per suo piacere ma più per il tuo
indugia a
dartelo perché tu ne abbia smania
e di
più ne abbia
e l’abbia
come quella l’ha che l’hai veduta in TV
che ci avevi
la notte da passare
che ci ha
chi a Monza l’ha
o come me
l’ha
che ci ho il
frutto il seme e l’ago
che ci hanno
chi si fa per troppo o poco o che
sciutto
come il
morto del vivo dell’astratto e del
geometrico
distinguere
non seppi
se tenero mi
davi oppur foppìgno
che greve
è come castagne
l’autunno
che perdi capelli foglie e voglie
e per una
pillola del giorno dopo
per una
pillola di estrogeni sintetici e
progesterone
per una
pillola una piccola pillola
è
fatto selvaggio il cuore
o è
un’anomalìa
o è
che altro è che qui
neanche un
lecca lecca o una lattìmma
c’è
che non sia già qui
che è
qui che tu già vieni
certo
veniamo
vengo vengo
subito e vengo anch’io
senza un
movimento apparente e senza ragione
a
scongiurare la notte dolce e un po’ baldracca
di indugiare
per un
pompin per un pompin d’amore
sulla favola
bella sull’orto e Le Sieur de Machy
ora che io
t’ho insegnato tutto
anche come
si gode a goder d’orgasmo
e lo spirito
dell’epoca lo esige e tuo figlio anche
che si
commòve a spenger la torta
mentre Aldo
clic con la Canon ferma l’istante
per Maria
concepita per far peccati e farli fare
Maria la
dolce la pigra la piena di grazia
tra donne
senza grazia
e ciò
sia detto bene
e bene anche
il frutto del seme loro
che
sì si perda ma adesso ma subito
che vorrei
che il mondo per scissione nucleare
saltasse
a tempo a
prestissimo e con dolcezza
ma adesso ma
subito
che non
c’è più orina nello scroto
c’è
invece che ti guardo morderti il labbro
tra Regate
Fieste e Liliane ciarline
d’ogni
formato e poppa
con
reggiseno calze e slip trapunti a telle a fili
e a punti
c’è
che dove sperpero là raccolgo
e là
e qui e dove il domani che io non potrò
dopo una
lezione un caffé o uno svuotino
baciarti
polpastrelli e ciglia
e quella
zona sensibile del collo
così
sensibile
dietro
l’orecchio
e poi vivere
di che bisogna vivere
oltreché
pensare poi che non apprendemmo bene
a pensare a
credere e manco a vivere
noi che
della carica animale facemmo maschera
e
perché no? arte sottile
noi gli
iperenziali gli aujourd’hui
dell’immaginazione
i patematici
che d’ogni violenza d’ogni motivazione
con colla
fumetti e traumi tecnologici
auscultammo
al tatto le Variazioni di Webern
e la favola
bella che ieri ci illuse
ed è
sempre più bella ma sempre men ci illude
noi sapienti
e troppo
per
distinguere i priapismi dell’intelletto
da quelli
del buon senso
e io fra
tanti cui il lavoro-vita ora incalza
che incalza
te che amo e son scalzato
per un buco
nero del cuore
in cui dopo
ponderata riflessione ora ci imbuzzo:
clinica
aeritalia servi di cristo e di berlicche
Poesie a Tiù che non traduco più
aiax scopa vileda
l’intellettuale che fa da sé solo per tre e son
sempre tre
chi non lo è che fa per tre che fa per sé e son
più
di tre
4 aborti una figlia un divorzio
istorie tante tutte con sante
11 anni di lavoro
3 corsi di lingue in cassette con relative dispense
Perhaps Love di Domingo tuo regalo di Natale
1/2 bastoncino Findus ancora surgelato e un pollo
Arena
40 compresse di Mogadon per quando l’insonnia è
tanta
39 compresse di Mogadon per quando la vita è poca
7.5 grammi di pakistano
un canto di Pound un canterò un canterai
la maritata che tra le maritali cosce arremba
eppur si sghemba
la vergine che più non lo è se non per te
chi di potta s’astiene
che ci ha la bocca che non ci ha chi pura l’ha
che fa di Q o fa di D o fa dada ma sempre fa
come fai tu e non godi più
se non con me e non sai perché
3 Marlboro 1 ciondolo a forma d’uccello 3/4 di idee
2/4 d’ora 1 ventilatore 1 IUD 3 spezzaunghie
3 R3 che usai con te
2 R2 a prevenir la lue
6 R6 che usai con lei
Panorami Espressi Confidenze che più non se ne può
foto di El con capezzolo+ombelico+pelo
un po’ del tuo e un po’ del suo
e anche del mio e di chi so io
i favolosi anni sessanta
un figlio di Maria
un così sia e un sia diverso
un sia uguale e un sia e basta
un malnato un malmenato un malvivo e un mar morto
e poi perché sia pieno il conto e io sia imparziale
c’imbuzzo anche tuo padre
ma con rispetto ma con permette? e guanti gialli
che sempre tuo padre è
l’umile et paziente et onnivoro pater
che pater et pater familias oh pater
di che tu labi
sì tu proprio tu mio dolce amore
propriamente tu mea Betsy
mea non dicibile che pur sei detta
che amante che amica
che sì che no che sì e no e altre ni
e ora sì e ora no
e trac di nuovo
a capo
a marcire nel weel-end
come in una cattedrale che riapre
per il millennio e solo per chi crede
o altrove e in funzione di sedia
o presso francesca mia figlia
che è di già anni sette nata d’ottobre
e che allo stato dei fatti e della materia
è un nuovo corso della storia che è poi l’antico
che ci ha il sonno che ci ho io
che non l’ho mai vista dormire
per cui non spero di tornare finché non torno e
spero
che a chi rimane torni a fare la circense animula
e la mentula e una rinnovata sapienza ermetica
che inaridita distrutta infinita impropria
carezza alla superficie dell’involucro
con necessaria e banale angoscia
per tutto ciò che si è inteso per leben e glosse
varie
mentre El ancora tambura tra le ciglia
il pomeriggio che con tanto amore
amore deglutì e sperma e birra
sì che fu incinta
per cui nutrite schiere di talpe
innumerevoli e indefesse
scavarono cunicoli molti dritti e curvi
privi di sbocco ai margini della memoria
e vissi fumando erba
le altre vite che vissi e furono eguali
il movimento romantico della materia
la nascita di mia madre
la gabbietta di Ezra e l’estate pisana
senza più spirito sociale e nobile humanitas
e convinzione che la logica sembra essere fatta
per smentirsi
e smentire che soli siamo come un libertino senza
slip
dove c’è la confusione che c’è dove
c’è il supermarket e la sublimità e l’altezza
che ci ha il lucido diamante della ragione
inflessibile
che ci hanno la tesi sadica di uomo subpremo
e i capricci del ventre e dei condotti spermantici
e dove sotto il velo del profondo mistero
dell’inerzia e dei particolari il particolare c’è
che siamo
che stranieri siamo alla nostra estraneità
e al domillennio che ne sfrasca
e sfrasca il comunista il cattolico
e chi non lo è che cazzo è
la trippa d’oro il profano e il deretano
monsù che sai tu e so pur’io
sfrasca la poiesi il malgioglio e il maltolto
e sfraschi anche tu amore mio
che amore mio sei mio come amore e come mio
e non hai né qui né là non hai nemmeno
stupidità
ma abbastanza cinica
per non militare nell’acido
o più semplicemente nella poesia
che sono principio e fine d’ogni principio e fine
per cui mi dico ora e sempre
in articulo vitae et mortis et cojonis
che son minore e non ho gusto
non ho fatti non ho idee
non ho decenza o libertà
non ho malizia né bontà
e ascolto
ascolto che si fa sera
che è un bel pezzo cho ascolto e si fa sera
da che invasi campo e mestiere e donne ai vivi
perché istrione io sono e anche ovvio
e già mi scapola la voce che dietro ai passi sparla
che ancora son di sopra tra lazzi sorbi
e guerra d’ogni guerra che sono guerra
ed è sempre la guerra
e dunque ardisco lanciarti un’ipotesi
un ultimatum
un testamento
è
bello ciò che ami, il resto è solfa
ciò che ami rimane qui con te, è il tuo domani
il mondo non appartiene a nessuno, solo al tuo
amore
il centauro è una formica nel suo mondo di draghi
strappa
da te la paura
non fu dio o tuo padre a creare
l’ordine la rivoluzione e l’inerzia
strappa da te la paura, fa’ presto, strappala
impara dal soffrire quale sia il tuo luogo
nella vanità della vanità o nel coraggio del
coraggio
sei una
donna bastonata sotto la legge
un’aguglia gravigrada senza più becco
metà tutto metà niente
né distingui un dado da una sua faccia
come
è meschina la tua paura nutrita di passione
avida di distruggermi, avara d’amore
strappa
da te la paura, fa’ presto, strappala
ma aver
avuto paura in luogo di non averne avuta
aver con
dubbio fatto perché ancora ci fosse a fare
questo non
è errore
qui l’errore
è in ciò che non si farà
nella paura
che non farà fare