La
poeta
pensa che la storia è ingiusta, e poco generosa, con le donne.
Né
mai ha avuto il dubbio che alla natura poco importa
del sesso
degli uomini e degli angeli
e dispensa
con cieca stupidità intelligenza e bellezza.
Ha letto
da qualche parte che virtù non luce in disadorno ammanto
e che sempre
caro fu alla fanciulla il predatore che le rubò con la
verginità
la scusa
dell'innocenza. Ha letto la Bachmann, ha letto anche
Ildegarda
von Bingen e si è convinta che per vivere è necessario
scrivere.
Per sopravvivere alla bellezza che sfiorisce, e alla crudeltà
della
natura
che ama
la giovinezza ed è indifferente alle bizze dello spirito.
La poeta
è triste. E incazzata con il mondo, e la storia,
che non
danno requie e sono ruspe devastanti. Incazzata con gli uomini
che amarono
il suo corpo e non sono disposti ad amarne lo spirito
ora che
gli occhi non sanno parlare agli occhi e le mani alle mani.
Incazzata
perché né il linguaggio né i linguisti sono
disposti
ad accettare
che il poeta abbia un articolo determinativo
diverso
da quello cui anche il barbiere è abituato.
Così,
si ostina a ignorare che la natura non deficit in necessariis.
Scrive,
e per il suo martirio le sembra di ricordare che fu l'amante
di un
paziente
inglese e prese il té nel deserto,
mentre
carovane di poeti da un'oasi e un'altra
raccontarono
la storia di una donna che per essere poeta
smise di
essere donna senza mai diventare poeta.
La poeta
piange. E con lei la Musa che non sa cosa farsene
di chi
piange, ed è triste, e pensa che la storia è ingiusta
solo
con le donne.
E ora che
febbraio si porta via i vecchi che hanno vissuto abbastanza
e la primavera
è ancora solo un presentimento cui non corrisponde
lo stato
delle cose, non le resta che una mailing list con cui in rete
convincere
chi non ha bisogno di esserne convinto
che i poeti,
e le poete, sono saprofiti sulla pelle della specie.