Credo
sia giunto il tempo in cui io possa dirimere tutti, o quasi tutti, i
dubbi
e le illazioni che si affollano intorno al mio nome, intorno alle mie
vicissitudini
personali, alle mie avventure umane, sociali, politiche culturali e
prime
fra tutte erotiche.
Sì
proprio erotiche, proprio estremamente soffici e sofisticate, fra le
labbra
piccole o grandi di fanciulle, ammaliate dal mio correre in lungo e in
largo per il mondo, e finalmente soddisfatte dalle elucubrazioni
maniacali
che intorno al sesso si possano esprimere fra una composizione e
l’altra.
Mi trovi
in aeroporto al posto giusto per un nomade, appena sbucato dalla
tormenta
del Nord Europa, con una borsa in mano carica di manoscritti segreti, e
di indumenti i più colorati possibile. Una specie di
scrittore-reporter
solitario, che accantonato il bagaglio di fine secolo, riesce a
ripetere
gesta e palindromiche emozioni, non ancora messe a punto sia dalla
cultura
ufficiale che dai mass media. Niente di più facile per un
individuo
come me nato in un sobborgo della vecchia Londra da padre brasiliano e
da madre meticcia, quando studiare a Cambridge, sul piccolo fiume Cam,
era oltremodo rassicurante e implicitamente determinante.
Ma non
tutto si risolveva nella grande impalcatura di una università
prestigiosa:
io seppi far grande tesoro della vivacità e furbizie degli
scugnizzi
napoletani, quando lo scugnizzo, quello generosamente impersonato anche
dall’attore Raffaele Viviani, era un personaggio degno di ogni
rispetto,
attaccato a quel filo invisibile della maestria e della
popolarità,
capace di inventarsi anche la sopravvivenza, fregando gli scaltri e gli
allocchi contemporaneamente, al di fuori della logica del profitto,
delle
lusinghe del virtuale, dei primi piani, che rendono superfluo tutto il
mondo e che in fondo uccidono le verità.
Quanti
anni ho compiuto?
Preferirei
tacere, pensando solo alla piccola Morel inoltrata mille volte sotto le
mie coltri.
Forse perché
la sua figura si confondeva con le ombre della casa, forse
perché
il suo profumo effondeva variopinte coincidenze e le sue mani
sfioravano
il mio volto, quasi a penetrare il sospiro della vecchiaia, certo
è
che la Morel divenne sempre più necessaria alla mia
sopravvivenza.
Un simbolo nel quale disperdere il mio passato, dal colore dei raggi al
fulgore degli immensi giardini, nel ritorno silenzioso della passione.
L’impavido
turgore delle arterie, fra le succlavie e le carotidi, ove più
incessante
è il battere del polso, occupò l’ebbrezza del prezioso
aratro
fra le mutabili gramigne, trasfigurate e soffocate dall’impeto
dell’ardua
condanna del sesso, dal tocco magico delle impudiche dita. Foderato
d’ortiche
il membro (fuori dell’angioplastica), le meravigliose apparizioni delle
natiche, i colori delle coltri, lenzuola sudate, le palpebre
socchiuse
in un ritmo allegorico, la rendevano un groviglio di carne e di
affanni
capace di sventare qualunque immaginazione.
Alta giusto
quanto un ranocchio era febbre incontenibile, ed è
tutt’ora
un fremere di bave e risucchi, un sussulto di muscoli freneticamente
sospinti
verso il grembo, difficile e stimolante il piegare le ginocchia, il
sostenere
il suo peso, il correggere le angolature: “Tu sei un vecchiaccio
sprovveduto
e incapace” – sussurrava fra i denti, e nel contempo mi toccava le
nudità,
sollevava la gonna, porgeva il suo ciuffo, quasi a scommettere sulle
mie
capacità maschili, come a saggiare un bicchiere di vino
stagionato.
“Tu sei
come uno sberleffo” biascicava al lobo dell’orecchio e tastava la pelle
delle cosce, a provocare brividi e sussulti.
Il fascino
allora diviene un gioco: seduta sulla pila dei libri e aperta ad
accogliere
il turgore, di quanto in quanto mi invita a sconvolgerla in acrobazie
letterarie.
Il cappotto sbottonato, la faccia tirata, il cappello rivolto, le
gocciole
di sudore, le costole mortificate, il pensiero dell’affanno, il vuoto
insopportabile
che batte alle tempie, le narici dilatate e sbuffanti, il calore
del ventre sempre più inumidito e sempre più profondo.
L’attimo
in cui i suonatori trattengono il respiro, affinché il sangue
possa
essere lanciato nel ritmo stesso, ed i globi oculari sporgono dalle
orbite,
le spalle lampeggianti sugli strumenti rombanti, i suoni luminosi,
sinuosi,
incurvati insieme, simultanei alla frazione del secondo, per la quale
la
stanchezza e il desiderio trapassano il fondo del corpo e l’accidente
dell’anima.
Dopo l’incenerimento
della convinzione che tutti i problemi filosofici e morali siano
problemi
di linguaggio, io ho studiato sino in fondo i silenzi del mondo, i
silenzi
delle generazioni che si sono susseguite lasciando che le tragedie
diventino
strumenti di svago, ed ho additato in maniera ben chiara, tra pagine
ludiche
e pagine alquanto serie, come perforare questi silenzi.
Mi direte
che io ho sempre giocato a rimpiattino, mostrando solo e spesso alcune
sfaccettature non sempre gradite al grosso pubblico. Ma proprio
in
questo consiste la potenza della trasmissione orale: sbalordire,
parlare,
versare fiumi di inchiostro, dire, dire e dire tutto quello che ti
passa
per la mente, perché prima o poi una parola ti colpisce e ti
stordisce
al punto giusto.
Il rischio
è maledettamente concreto quando i ricchi vogliono rimuovere i
problemi
delle identità che si ammalano, che diventano aggressive e
reagiscono
in modo imprevedibile, ed io più volte ho additato tale
sconcerto,
ma nessuno ha voluto credermi. Dicono che mai nella storia dell’uomo
sono
state appianate le disuguaglianze… E a letto?
Il sovvertimento
gioioso del quotidiano conserva sempre i riferimenti ad ogni
realtà…una
realtà piena di buchi, come una fetta di Emmenthal, composta
anch’essa
dai suoi buchi, che ne definiscono la sua essenza, perché un
formaggio
Emmenthal senza buchi non è affatto un formaggio
Emmenthal,
mentre un gorgonzola senza vermi è pur sempre un formaggio
gorgonzola,
il che significa che l’essenza del buco è molto più forte
della essenza di un verme.
Ma torniamo
indietro, prima che qualcuno possa di nuovo suggerire al mondo che io
passo
al suicidio, così come preconizzato da alcuni quotidiani
in
questi ultimi mesi.
Sembra
mai accettabile una simile ipotesi per uno come me che ha attraversato
in un battibaleno tutte le nazioni del mondo, tutte le reti
informatiche,
tutte le pubblicazioni serie e meno serie, lasciando un segno per
le generazioni giovani e meno giovani, femminili e maschili?
Potrei
dire che ha raggiunto i limiti della sopportazione orchiclastica la
favola
del mio probabile harahiri. Assorbe folle di persone intorno alla
decisione
di seguire o meno i miei scritti senza scopo ne eccezioni.
Se avessero
ben letto Nostradamus avrebbero scoperto che:
della
folgore grande in ora diurna
cade,
latore postulante e predetto,
ed il
presagio
segue notturna
ora che
cede pestifero conflitto,
Londra
all’etrusco, la follia dissimula
con falsa
tromba, grida Bisanzio,
legge nel
cambio rossa la primula
che
vuol
liberato, sciolto l’assenzio,
la legge
vàluta e preziosi nel cambio,
donna al
piacer, svenuta d’intorno,
veleno
o postilla nel plico celata,
nel letto
più ardente al marino diporto
risposta
non cede se non per crepare .
Rintocchi
di canto, e conflitto nel cielo,
il giovane
principe, aperto nel ventre,
al suolo
diviso e a letto trafelo.
A lungo
sarà nel cielo l’uccello,
fra le
due cosce sbiancate di donna,
stringendo
nel becco il suo ramoscello….
In seno
alle vergini dai candidi manti
già
rotte di dietro, ma sane d’avanti.
Se si taglia
la coda ad un gatto nessuno vorrà mai dichiarare se è
stato
il gatto tolto alla coda o se è stata la coda tolta all’animale,
figurarsi se viene amputata una mano ad uomo come me: mi avete amputato
la mano o alla mano sono stato allontanato io ?
Luther Blissett
P.S.
Chi volesse
altre notizie sulla mia salute o desiderasse conoscere le mie nuove
peregrinazioni
può rivolgersi al vecchio amico Antonio Spagnuolo, che
così
affettuosamente ha tradotta questa missiva dall’inglese.
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