Di
Bebeep
1.
Suite a Ferentino
2.
Bebeep,
Cartesio
e la vinaccia
3.
Bebeep, Briana e l'amore
4.
Bebeep
ad Amsterdam
5.
Je
t'adore
1.
Suite a Ferentino
Bebeep non ha letto
Gozzano,
e non sa chi
è
Totò
Merumeni.
Lui pensa che
solo ai
ricchi
toccano le gioie del sole,
e che
è vissuto
male,
colui che nascendo e morendo rimane oscuro.
Ignora anche che
Ponzio Pilato
e la moglie
Claudia
Valeria Procula
passarono da queste parti.
Come
l'imperatrice Flavia
Domitilla,
Gregorio da Montelungo,
Martino
Filetico e
Novidio Fracco.
Bebeep ha deciso che
oggi è
archeologo.
La donna che
lo
accompagna ne
sa meno di lui
e lui
può giocarsi
alla
grande quel poco di cultura
che ha
appreso in una
scuola
di preti dove si paga
per rimanere
ignoranti.
Qui c’era il tempio di
Giove,
qui si pregava Mercurio
perché
tardi
agitasse
il caduceo.
Più tardi
andranno a colazione.
Dopo li
attende una
suite, all’Hotel
Moretto,
fatta apposta
per chi non
ha
mai letto
Gozzano
né sa chi
è
Totò Merumeni.
O dolci baci, o
languide carezze.
O pomeriggio
caro a chi
ha a
noia la polvere,
lo strepito
delle ruote e
l’osteria.
Qui Bebeep, qui ora
scopa.
Che anche ai
ricchi
toccano le
gioie della vita
nella suite
al II piano
dell’Hotel
Moretto a Ferentino.
2.
Bebeep, Cartesio e la vinaccia
Bebeep non ha letto
molti libri,
due o tre
al massimo.
Figuriamoci
Cartesio.
Eppure sa che
solo le
idee chiare
e distinte
possono
fornire un senso
all’esistenza.
È un
patito
dell’evidenza
e non ha
dubbi sulla
natura
dei
diavoletti, che per
lui sono
solo
un espediente
dei
filosofi per
scrivere
discorsi sul
metodo
e sulla
vinaccia.
Per esempio, non ha
dubbi su cosa
debba fare una moglie
che sia stufa
di idee
chiare
e distinte
e abbia
voglia di vedere
se il
mondo sia meno regolare
della pista
da corsa su
cui,
lunedì mercoledì e venerdì,
egli esercita
la sua
intelligenza.
E non a caso
ha comprato
una
casa dalla quale con le figlie
quando si
sveglia
potrà
vedere il mare il mare pigro dell’estate
e quello
più
tormentato
dell’inverno.
Tanto ci
sarà
sempre una
moglie, e una madre,
che ogni
mattina, in
un’altra
parte della città,
porterà
il
caffè
al padre, gli dirà buongiorno,
e gli
racconterà
che il
figlio
una volta la
settimana
chiede
di lui.
Poi lei
andrà al
lavoro,
e al ritorno
passerà
per la
casa da
dove si vede il mare
per cucinare,
mettere
ordine,
e sorvegliare gli studi
delle figlie
che non
ancora hanno
studiato Cartesio
e non
è detto che
quando
l’avranno fatto
saranno in
grado di
capire che
la morale provvisoria
è un
segno
dell’impotenza
dei tempi, e di ogni morale.
A sera
tornerà
nella casa,
in un’altra parte della città,
a consolare
un vecchio
che ha
perduto il figlio
senza mai
averlo.
Questo pensa Bebeep,
negli intervalli
degli allenamenti
e in quegli
istanti in
cui la
vita si stende davanti a lui
come il
manuale di
medicina che
non ha più segreti per lui
e dal quale
ha imparato
che come
i bambini hanno bisogno
delle
malattie
esantematiche
da cui guarire per divenire forti
e grandi
così
accade agli
adulti che hanno da imparare
dalle ferite
dell’anima
senza
piangerci su
più di
quanto
conviene.
Bebeep né
è sicuro:
glielo ha detto la madre
fin da quando
era
bambino. Sei
il migliore, gli diceva.
Poi se
n’è andata,
scordandosi
di ricordargli che anche il rospo
è
bello per la
madre,
né lui mai ha letto
il poeta, che
ha avuto
l’ardire
di definire santi i rospi,
gli
scarafaggi e gli
uomini che
a quelli rassomigliano.
Se n’è andata,
lasciandolo
solo in un mondo
che rende
onore a santi e
criminali,
poeti e podologhi,
perché
nel gran
bazar
del mondo c’è posto per tutti,
anche per chi
non ha
letto né
mai leggerà cartesio
e finge di
non sapere che
prima
o poi tutti finiremo
merda secca,
cibo per i
vermi
e per i preti.
Così Bebeep non
ha altro
da fare il sabato sera
che andare a
cercare,
nelle cene
dove si parla di tutto
senza parlare
di niente,
l’avvocato
Curillo con la moglie dal collo lungo,
che gli
ricordano che dio
esiste,
sì per dio che esiste,
e che aveva
ragione
calvino a
dire che il denaro
è il
segno della
sua simpatia
per noi.
Anche se c’è
poi una moglie
che è stufa di idee chiare e distinte
e ha voglia
di vedere se
è
poi vero che il diavoletto è solo
un espediente
dei
filosofi per
scrivere
discorsi sul
metodo
e sulla
vinaccia.
3.
Bebeep, Briana e l'amore
Bebeep ce l’ha fatta!
Finalmente
è
innamorato
cotto ma così cotto
che crede a
tutto,
proprio a
tutto. E’ convinto che se lei gli invia
uno dopo
l’altro sms in
cui scrive ti
amo amore mio
mentre sta
chiusa nel
bagno dell’albergo
perché il marito che non sa non sappia
è
perché le
affinità
elettive vanno rispettate, e protette
dalle dicerie
volgari del
mondo.
E lui che non
ha letto
Camus
sa istintivamente che la gelosia
è un
sentimento in
cui
solo chi non ha nobiltà d’animo
può
scambiare
l’amore
per un gioco di mucose.
Così
che importa
se lei
scopa con il marito due secondi dopo
che gli ha
scritto sul
cellulare
di pensarlo con tenerezza
e che gli
manca e non
vede l’ora
che sia domani.
Che importa
se con lui
non scopa,
solo una carezza sulla nuca
ma lo sguardo
languido
che doveva
avere Odette quando Swann
le
toccò il seno
scompigliando
le cattleyes.
Così,
non sa
più
cosa farsene delle sue vecchie idee,
quando
pensava che le
donne si
dividono in donne da letto e donne da passeggio,
anche
perchè con
lei ancora
non va a letto e ancora non passeggia,
per mondana
prudenza, per
pudore,
o perché nessuno
abbia ad
invidiarli, o
faccia
il malocchio.
Lui così
è felice!
E ha
l’approvazione
dell’amico
avvocato Curillo,
quello che ha
la moglie
dal collo
lungo, che studia come disporre i fiori nelle cene
e non si
capisce perche
usi i
tacchi come se fossero trampoli.
Ha
l’approvazione anche
della
madre dal paradiso,
che gli
sorride come il
giorno
in cui fece la prima comunione
o il giorno
in cui ebbe
otto
in greco senza capire nulla dei greci
e gli diede
ventimila
lire, dicendogli: come
sei bravo, figlio mio.
Ha
l’approvazione del
gesuita
che anche se zoppo
gli
insegnò ad
andare
diritto per la sua strada
convincendolo
che non
è
vero che chi va con lo zoppo impara a zoppicare
e gli disse: va’,
corri, e
segna nell’agenda quando tempo impieghi.
Ed è
felice,
perdìo
sì che è felice:
lei lo ama,
gli manda
sms, rifiuta
anche il cellulare che lui le ha regalato
perché
in amore la
tecnologia
non ha senso
e ora lui
quel cellulare
può
donarlo alla figlia e fare il padre tenero
senza
crocifiggersi con
quei
perché che fanno male all’amore
ed è
bello
pensarsi ogni
sera al tramontare del sole,
è
bello avere una
donna
che somiglia a Briana Banks
e ha un senso
così
alto
aristocratico della vita
da pensare
che la livrea
imposta
all’extracomunitario che serve a tavola
è una
questione di
stile,
e non di classe,
e non
sgranocchia mai
fuori pasto,
specie quando è sotto stress.
É
bello credere
che è
sufficiente una donna
per cambiare
se stessi, e
il
mondo.
4.
Bebeep ad Amsterdam
Bebeep non sa
perché Rembrandt
è un nome che ha una certa importanza
nella storia
dell'arte. E
perché
preferisce volti e corpi che, certo, non rispondono
ai criteri
estetici di
chi ama
i volti e i corpi resi belli dalla fatica
ardua della
corsa. Poco
gli importa
di sapere se la luce delle sue tele
ricorda
quella delle
terre olandesi,
da cui un giorno partirono navi e marinai
che
scoprirono che il
pianeta
non lo puoi percorrere a piedi
ed ha scali e
porti dove
le donne
vendono sorrisi e altro
perché
la fame
è
un imperativo categorico cui non puoi trasgredire.
E
così, ora, ad
Amsterdam,
in una città che ricorda la Serenissima
solo
perché ha
canali
e barche che rendono umide le case
e grige le
mattine, egli
se ne
va
come uno cui
la vita non
riserva
sorprese.
Nemmeno un
orecchio
mozzo, destro
o sinistro che importa,
potrebbe
fargli capire
che a
volte la disperazione gioca brutti scherzi
e non la puoi
mettere da
parte
facendo jogging o fingendo
di essere
artista.
Vedrà
il Riik, la casa di Annie,
lascerà
che la
figlia
se la sbrighi da sola
in una
città che
non conosce,
mentre dalle
12 alle 16
attraverserà
con passo cadenzato e ritmo prestabilito
le strade
che, forse, un
giorno
videro Baruch meditare sull'enigma
di un mare
che è
sempre
lo stesso ed è sempre diverso.
Ethica more
athletico
demonstrata:
ed è un segno dei tempi
se gli
antichi demoni che
furono
un giorno tutto il nostro fare
altro abbiano
ora da fare
e poco
si curino di essere signori
e servi della
nostra
felice infelicità.
Così domani Bebeep ripartirà.
Per le terre
del
mediterraneo
dove gli toccò di nascere.
Con un aereo
da cui,
sorvolando
le Alpi, potrà guardare l'umile Italia
senza pensare
che un
giorno Saturno
vi fondò il regno e fu anche lui un re.
Tornerà
a casa,
per raccontare
agli amici
che ha
impiegato 3 ore e
13 minuti
per attraversare le strade di Amsterdam,
che avrebbe
potuto fare
di meglio,
ma sarà per la prossima volta,
quando non ci
sarà
più
il volto di Briana a turbare l'accordo
tra il ritmo
della mente
e quello
dei suoi piedi.
5.
Je t'adore
Bebeep non ha mai
assistito a
un melodramma.
Verdi, Wagner o Puccini:
questo
o quello per lui pari sono.
Né tanto meno sa
che Nietzsche
contrapponeva all’ascesi blasfema
del genio di Bayreuth
l’energia
sacra dei pescatori di perla
o di una gitana che amava
ora
questo, ora quello.
Più semplicemente,
non
ha mai ascoltato le parole di don José a Carmen
nel momento dell’addio,
pochi
istanti prima che il pugnale
sancisse con la morte
l’eterna
vicenda dell’amore
che non si spiega e nulla
spiega.
Perciò, è
commovente
se, nel parlare al cellulare con Briana,
egli ritrovi parole
antiche,
che richiamano il cantico dei cantici
e fanno pensare a
trasalimenti
ed estasi, che poco si addicono
a chi mai si è
interrogato
sul sacro, e sulla sua violenza.
Egli dice: je t’adore.
Come don
José poco fuori di un’arena
dove Escamillo ignora che
mentre
mata il toro un ex militare
gli porta via per sempre
la donna.
Je t’adore: ripete.
Con convinzione, e
dedizione:
sul balcone di una casa
da dove si può
vedere
la pista dello stadio
dove nei giorni dispari,
lunedì
mercoledì e venerdì,
esercita il corpo, se non
l’intelligenza.
Je t’adore: ripete. E
Briana
sta lì ad ascoltarlo, e s’inebria
di quell’amore che nulla
chiede
e tutto dà.
Si sente importante, e
donna,
e femmina
cui manca solo un attis
di passaggio
per passare
all’eternità.
E imbarazzata, anche, un istante dopo,
perché esseri
adorati
non è affare da poco,
e viene sempre il
sospetto: ma
che vuole questo da me?
Vuole che io lasci il
marito?
E il figlio? Vuole
che sia pronto a fare
rivoluzioni
che il nostro tempo ha
dimostrato
essere cose da poeti
o da internati nel
palazzo di
sant’Anna?
E così non le
viene altro
da chiedere se per caso
non può procurarle
quella
canzone di Simon&Garfounkel
che parla di soul e che
in un
vecchio film,
degli anni in cui
qualcuno era
così folle
da pensare di poter
cambiare
il mondo,
accompagnava la
disperazione
di un laureato
con il volto di Dustin
Hoffmann,
che sbatteva
i pugni contro una
vetrata per
impedire
alla donna che amava di
fare
quella cosa, cioè sposarsi,
per cui, statisticamente,
dopo
nove mesi,
la specie si accresce di
un nuovo
esemplare.
Ma Briana è
già
sposata. E ambedue hanno già dato,
e concorso all’incremento
della
specie.
Ambedue sono infelici, e
felici:
a modo loro,
nel modo in cui lo sono
tutti
quelli che scambiano
il presente con
l’eternità.
E stasera, questa sera,
che fa un caldo da
morire, anche
se è appena maggio
e non ci sono né
via dorate
né orti che possano placare
la sofferenza d’esistere,
non
resta altro,
a bebeep e briana, che
dirsi:
buona notte, amore
mio, a
domani.
Altre
storie
1.
Gli atleti delle colline di Napoli
2.
La poeta
3. L'amico artista
4.
L'amico poeta
1
. Gli atleti delle colline di Napoli
Nella
Grecia
degli dei e degli eroi, Pindaro sognò
che
un
atleta potesse avere una dignità cui la poesia s’inchina,
perché
nessun verso può eguagliare lo splendore
di
un corpo
che s’arroga il diritto di un’eterna giovinezza
e
sfida
con la vecchiaia la morte che incombe sulle cose.
Scrisse
così odi che la memoria fatica a ricordare
e
l’intelligenza
incapace di comprendere classifica e recita
come
sublimi.
Anche Giacomo per un vincitore
nel
gioco
del pallone si provò a scrivere qualcosa
che
varrebbe
la pena andarsi a rileggere,
mettendo
da parte passeri solitari e pastori erranti.
Perché
siamo ancora esseri antichi e abituati a ripetere le cose,
anche
se
Filippide non ha più da annunziare alla Grecia tutta
che
il
nemico fu vinto e salvo l’orto dove i bambini giocano
ignorando
che la storia è crudele e prima o poi li costringerà
a
crescere,
e a soffrire. A essere loro il nemico e ad essere
sconfitti
o a vincere.
Ma
oggi
Pindaro non c’è, non ci sono né dei né eroi
né
un gobbo pessimista e maligno a cantare
le
illusioni
che se ne vanno come sono venute.
Così,
oggi, sull’arida schiena del formidabil monte
sterminator
Vesevo, si corre..
Per
disperazione.
Perché
non c’è null’altro da fare.
Perché
la moglie ti ha tradito o la donna che ami
non
si
decide a lasciare il marito che non ama e non l’ama..
Perché
la cultura esige più fatica che quaranta chilometri con il cuore
in gola.
Perché
è meglio correre che fumare, o anche pensare.
Perché
pensare, e fumare, sono attività che poco si addicono ad un
corpo
sano
e
la morte
è per gli inetti.
Perché
è così bello correre se il cardiofrequenzimetro ti
conferma
che
hai
un cuore a prova di emozioni e di erezioni.
E
poco
importa se la mattina una guida turistica
ti
ha fatto
vedere la lucrezia del parmigianino
e
tu non
hai capito nulla di quei capelli.
Poco
importa
se un’altra ti ha spiegato che Napoli
è
una città dove una faccia gialla vale una nera o una bianca
e
tutte
sono la faccia di dio e del maiale.
E
un’altra
ancora ti ha fatto vedere le macchine anatomiche,
il
cristo
velato e ti ha parlato di raimondo di sangro
che
era
troppo razionale per non accorgersi
che
la
materia ha una sensibilità che lo spirito ignora..
Tanto,
domani tutti al via, e via a correre
per
le
strade dove non c’è nessun Pindaro
che
si
fa carico della fatica inutile d’esistere,
nè
ci sarà un’olimpiaca o una nemea
a
ricordare
fra mille anni che domani fu il giorno
in
cui
Filippide annunziò alla Grecia tutta
che
a Maratona
c’erano stati solo vinti.
E
poi morì,
di schianto, senza dire altro.
Senza
sapere
che anche lui era stato vinto.
2.
La poeta
La
poeta
pensa che la storia è ingiusta, e poco generosa, con le donne.
Né
mai ha avuto il dubbio che alla natura poco importa
del
sesso
degli uomini e degli angeli
e
dispensa
con cieca stupidità intelligenza e bellezza.
Ha
letto
da qualche parte che virtù non luce in disadorno ammanto
e
che sempre
caro fu alla fanciulla il predatore che le rubò con la
verginità
la
scusa
dell'innocenza. Ha letto la Bachmann, ha letto anche
Ildegarda
von Bingen e si è convinta che per vivere è necessario
scrivere.
Per sopravvivere alla bellezza che sfiorisce, e alla crudeltà
della
natura
che
ama
la giovinezza ed è indifferente alle bizze dello spirito.
La
poeta
è triste. E incazzata con il mondo, e la storia,
che
non
danno requie e sono ruspe devastanti. Incazzata con gli uomini
che
amarono
il suo corpo e non sono disposti ad amarne lo spirito
ora
che
gli occhi non sanno parlare agli occhi e le mani alle mani.
Incazzata
perché né il linguaggio né i linguisti sono
disposti
ad
accettare
che il poeta abbia un articolo determinativo
diverso
da quello cui anche il barbiere è abituato.
Così,
si ostina a ignorare che la natura non deficit in necessariis.
Scrive,
e per il suo martirio le sembra di ricordare che fu l'amante
di
un paziente
inglese e prese il té nel deserto,
mentre
carovane di poeti da un'oasi e un'altra
raccontarono
la storia di una donna che per essere poeta
smise
di
essere donna senza mai diventare poeta.
La
poeta
piange. E con lei la Musa che non sa cosa farsene
di
chi
piange, ed è triste, e pensa che la storia è ingiusta
solo
con le donne.
E
ora che
febbraio si porta via i vecchi che hanno vissuto abbastanza
e
la primavera
è ancora solo un presentimento cui non corrisponde
lo
stato
delle cose, non le resta che una mailing list con cui in rete
convincere
chi non ha bisogno di esserne convinto
che
i poeti,
e le poete, sono saprofiti sulla pelle della specie.
3.
L'amico artista
Sono
un poco artista, ha detto l’amico. Io non ho capito subito
e,
visto
che parlava di sesso, credevo che alludesse a virtù che il pudore
vuole
nascoste,
anche se la creatività è cosa nobile e degna di rispetto,
anche
a
letto. E ho creduto che fosse per uno di quelli eccessi di fantasia
con
cui
gli artisti si rendono intolleranti al mondo
se
la moglie
ha dovuto fare ricorso alla pillola del giorno dopo.
Mi
chiedevo,
solo, un po’ stupito, come è possibile che uno,
dopo
due
minuti che l’hai conosciuto, ti metta a parte
di
vicende
che tutto sommato tocca a ciascuno di vivere
senza
che
se ne debba necessariamente informare il primo che incontri.
Anche
di
altro ha parlato, delle vacanze ai monti e al mare,
della
madre
infartuata, del fratello un po’ bislacco che aveva smesso
di
fare
il medico per vendere lo scioglipancia di Vanna Marchi.
Poi,
quando
se ne è andato, la donna che era con me
e
lo conosceva
bene, mi ha spiegato che l’amico
pratica
il coitus interruptus senza mai tenere conto
dell’ammonizione
biblica ad onan a non disperdere il seme
ed
è
sempre pronto a vantarsi della sua abilità
a
venir
fuori al momento opportuno da situazioni
in
cui
la minima esitazione può determinare, in modo irreversibile,
la
qualità
della tua vita e il numero degli esemplari della specie.
Io
l’ho
guardato da lontano, quel suo amico. Magro,
i
capelli
un po’ arruffati, con la pelle bianca
di
chi
teme il sole inquinato della nostra epoca. E ho guardato
anche
la
moglie con efelidi, seno piatti e i capelli rossi
che
nei
films hanno di solito le donne inglesi.
E
mi è
venuto di pensare all’ultimo capitolo del romanzo
di
don
Alessandro e di quello che dicono le comari
di
lucia.
E di immaginare quell’istante, sì, proprio quello
in
cui
tutti gli uomini, anche gli artisti, sono tutti eguali.
E’
mi è
venuto da ridere, come margutte, come scarpetta e come rido io
quando
chi legge ciò che scrivo viene a dirmi
che
me
lo sono inventato e non sa che anche lui corre il rischio,
prima
o
poi, di entrare nei miei versi.
4.
L'amico poeta
L'amico,
che è poeta, scrive una poesia al giorno. Anche due,
se
le muse
sono benevoli. Nulla da invidiare ad Ermogene, che se fosse
ancora
vivo avrebbe pane per i suoi denti. Del resto, non è il solo:
egli
appartiene
ad una specie che non ha nessuna intenzione di estinguersi,
come
invece
le foche e i colibrì che, considerate le condizioni del pianeta,
istintivamente
sanno che devono farsi da parte. Strane creature,
i
poeti,
sempre sicuri che il mondo sia lì in attesa dei loro versi
che
illuminino,
e diano senso, a un'esistenza che, altrimenti,
sarebbe
condannata a muoversi nel buio dello spirito e della materia.
L'amico,
che è poeta, scrive una poesia al giorno. Ed è delicato,
e
raffinato
quanto basta per attivare sinestesie che mettano in comunicazione
l'iride
con l'alluce, e poliptoti grazie ai quali domani i giovani
potranno
convincersi che la poesia è affare da fannulloni, ed impotenti.
Egli
è
convinto che le intermittenze del suo cuore coincidano
con
quella
della storia e che tra le parole e le cose
ci
sia
un'adequatio simile a quelle che intercorre tra dio e i suoi profeti.
Oggi,
per
esempio, ha scritto versi che ricordano l'estate
e
le pulsioni
che con il calore ci invitano a ricordarci
che
la
specie ha bisogno di riprodursi se vuole sopravvivere.
Parla
di
vestimenti leggeri, di piogge che rendono trasparenti i tessuti
e
fanno
della giovanezza un'ebrezza di cui sarebbe troppo amaro
rimpiangere
un giorno di non aver goduto. Anche di altro parla,
che
un
giorno, peut etre, lo renderanno degno
di
un premio
nobel o di uno scanno da senatore a vita.
Più
verosimilmente, non andrà mai a Stoccolma,
nè
siederà mai in quel parlamento
dove
i
poeti, appena prima di morire,
possono
finalmente capire che la poesia è affare da fannulloni, ed
impotenti.
Di
Rowski
in
preparazione