VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Andrea Zanzotto

   

1. “Soprammobili e gel”
2. Squadrare il foglio
3. vecchio dialetto
4. Dintorni Natalizi
5. Leggende
6. Stanza immaginata o intravista
7. Alla stagione
8. Sfere
9. Topinambur
10. Nautica celeste
 
 
 

1. “Soprammobili e gel”

E sono due nel cristallo della stanza
che  ad alti gradi di cristalli
scoscende, accede, s’infianca, s’incastra

E sono due     due vecchi o anche no - & amici –
per  nulla e di nulla in lieve accordo parlando
hanno già povere arterie grassocce e i visceri
chissà come smacchiando stentano
E se avessero profili, essi, gli amici, sarebbero
nel  taglio di quell’infinito cristallo in che
novembre osa sempre divaricarsi e poi dopo embricarsi
    avido cristallo
    assassinante cristallo
prémito   preme all’essenza-colori-dell’essenza
Due che non hanno certo la sapienza dei bonzi,
non  zen, ma l’occhio sul cortile dove
 trottano verso i colori scatole di latta e penombre
 Jiip è il nome di uno  e dell’altro
E in un mezzo-sogno essi tale realtà intravedono
 tra coppi e foglie stravolti dal cristallo
Due da nulla congiunti se non dal senso di un certo nulla
ma  come valgono le inezie che vanno dicendosi
nemmeno i lontani amori evocano
   men che meno i ricordi
   essi sono i ricordi
   essi sono un bel niente
   e si scaldano  al  bel  niente
Ma è fatale   è sfasciato
  in vasti e variabili cristalli è novembre
O nel dittico crepuscolare intrusi come un fruscio

   Noi-essi frusciamo parole
   così scorretti nel loro luccichio così stagnanti
     da divenire sapienti
Essi-noi  comunque nel vivo anche se al decoro
delle ombre fini e fredde un po’ alla volta
   s’adeguano – oscuri – tonti
Asignificante e forse monda è la loro vita
 rattrappita o gonfia l’arteria l’entragna
 essi sono ricordi
 essi stanno seduti ma inciamperanno
 essi sono queste faccende di finestre cortili ed interni
 essi cercano di raccordarsi – e non fa niente –
 a una indivisibile fila folla –anzi la lasciano a parte
si ritrovano a valle adorarono  si distrassero

nell’onnipotente irrespirabile levità
distanti sono come soprammobili
e vicini come radicate convenzioni figurative
nella sempre-più-ombra  più-cristallo
Parlottano e non è che questo luccichi gran che
 ma, hai naso chiuso, ma c’è.

Tigre novembre intanto e sempre si aggira
riversa tutto ai piedi l’astrale felice disastro
 usa come armi il falcialune e il falciasoli
fa che il salto dei colori che il disaccordo o coro-
fa versamento pleurico per pelli e strati yalini e gel
travasa cristalli smarrisce un dito di vino
   sul tavolino per due

Due di noi si convincono,
nell’ombra di una stanza si infittiscono,
due di noi perlustrano con chiacchiere e bisbigli

Eh eh! Zio novembre, così ci stellasti
   alla primizia del gelo
   così ci estraesti
   in propizi ma inaccessibili “là”
   di finestra in finestra – noi/postremi
   ci intrecci in tintinni in clivi in estraneità
- dall’interno  all’esterno sempre più interno
- dagli interni con mobili made in paradise
- con tendine farfalline in mutazione
e direi soprammobili e direi di noi
è/a conoscersi come non visti non raccontati né accertati
 e ricoverati in dicerie in rumeurs
 in spenti barattoli da cortile
mentre infierisce il silenzio
il cristallo
 e dà di volta all’infinito
la bella mente
mentre s’infianca la stanza
mentre due c’infianchiamo, uniti,
 ai pellegrini muschi-colori-topi
 tra scatti di falcialune, e di falciasoli
  Rosicchiare, verzicare, sfalciare
rosicchiare giallicare oltre i tonfi e le serenità,
 azzurricare di lunghissime modulazioni ottiche
  alligna e perlustrando si affila    (al nero)
   si affida – ciack – cieco.

2. Squadrare il foglio

Così accade , così pedalando –
pedala tu sul crine sul ciglio sullo spigolo
 mentre ghiaie intervengono e anche ombre
 sfarfallate dal pioppo  e pregiate verde per verde
Pedala, piede contro piede
 e gamba contro gamba,
 osseggia pedalando, intrica tarsi e stinghi
Cascate di farfalle ti sponsorizzano,
all’incontro all’incontrario si procede
pedala e premi e ansima peggio che in un parto
tra lucenti figliate di soli come farfalle
e tra figliate di farfalle commenti lievi
Pedala e pigia come entro grande uva
e curvati su tutta l’uva
che hai davanti, mondana, truccagna, fedeltà
Ricupera ricupera e fa
 premio, fa aggio oltre i sudori e la carnalità;
osseamente pigia dolcezze da acerbezze da furti lucri
Pedala senza trillare ché nessuno
la volata saltante sulla ghiaia tra le farfalle
  impedirà a nessuno

La squadratura del foglio è cominciata –
a  pedate   ben pedalata.
 

3. vecchio dialetto

Vecchio dialetto che hai nel tuo sapore
un gocciolo del latte di Eva,
vecchio dialetto che non so più,
che mi  ti sei   estenuato
giorno per giorno nella bocca (e non mi basti);
che sei cambiato con la mia faccia
con la mia pelle  anno per anno;
parlare povero, da poveri, ma schietto
ma fitto, ma denso come una manciata
di fieno appena tagliato dalla falce (perché non basti?) –
nonni e babbi sono andati, loro che ti conoscevano,
nonne e mamme sono andate , loro che ti inventavano
nuovo petèl * per ogni figlio in fasce       (*parlare infantile)
tra gli stenti, le grida di parto, la fame, le nausee.
Girare mi da fastidio, in mezzo a queste macerie
di te, di me. Dal dente accanito del tempo
avanzi non restano nel piatto, e meno
di tutto i cimiteri: devo dirti cimitero ?
E’ vero che non può esserci più ormai
nessun parlare di nenè – nonne – mamme? Che fa male
ai bambini il petèl e gran maestri lo sconsigliano?
E’ vero che scriverti,
vecchio parlare , è troppo faticoso, è un male
anche per me, come prendere a rovescio,
per obliquo, far slogare i tendini delle mani?
Ma intanto qui intorno, girando per i mercati,
o meglio andando per campi e clivi e balze
là dove il gallo di cristallo canta sempre tre volte,
da giuste bocche ti si sente. Io ho perduto la traccia,
sono andato troppo lontano pur rimanendo qui
avvitato, imbullonato, diventato quasi un ceppo di piombo,
e la poesia non è in nessuna lingua
in nessun luogo - forse – o è il mugghiare del fuoco
che fa scricchiolare tutte le fondamenta
dentro la grande laguna, dentro la grande lacuna-,
è il pieno e il vuoto della testa – terra
che tace , o ammicca o fiuta un passo più oltre
di quel che mai potremmo dirci, far nostro.
Ma tu vecchio parlare, persisti. E seppur gli uomini
Ti dimenticheranno senza accorgersene,
ci saranno gli uccelli-
due tre uccelli soltanto magari
dagli spari e dal massacro volati via-:
domani sull’ultimo ramo là in fondo
in fondo a siepi  e prati,
uccelli che ti hanno appreso da tanto tempo,
ti parleranno dentro il sole, nell’ombra.

4. Dintorni Natalizi

Natale, bambino   o ragnetto    o pennino
che fa radure limpide dovunque
e scompare e scomparendo appare
  come candore  e blu
  delle pieghe montane
in soprassalti e lentezze
in fini turbamenti        e più
 

Bambino   e vuoto    e campanelle    e tivù
nel paesetto. Alle cinque della sera
la colonnina del meteo della farmacia
scende verso lo zero, in agonia.
Ma galleggia sul buio
con sue ciprie di specchi.
Natale mordicchia gli orecchi
glissa ad affilare altre altre radure.
Lascia le luminarie
a darsi arie
sulla piazza abbandonata
col suo presepio di agenzie bancarie.
  Natali così lontani
  da bloccarci occhi e mani
come dentro fatate inesistenze
  dateci ancora di succhiare
  degli infantili geli le inobliate essenze  

5. Leggende

Nel compleanno del maggio
“Tu non sei onnipotente”
dice la pallida bambina
*
Polveri di ultime, perse
battaglie tra blu e verde
dove orizzonti pensano sull’erbe
*
Lievi voci, api inselvatichite-
tutto sogna altri viaggi
tutto ritorna in minimi fitti tagli
*
Forse api di gelo in sottili
invisibili sciami dietro nuvole-
Non convinto il  ramoscello annuisce
*
Voglie ed auguri malcauti,
viole del pensiero
sotto occhi ed occhi
  quando maggio nega
*
Il bimbo-grandine, gelido ma
risorgente maggio,
“Non sono onnipotente”
batte e ribatte sui tetti
*
“Mai più maggio” dicono
in grigi e blu
segreti insetti grandini segrete
*
Mai mancate neve di metà maggio
chi vuoi salvare?
Chi ti ostini a salvare?
*
Come, perché, il più cupo
maggio del secolo – cento
anni d’oscurità in un mese?
*
Acido spray del tramonto
Acide radici all’orizzonte
Acido: subitamente inventati linguaggi

6. Stanza immaginata o intravista

Raggi d’emblema e – santificato – incipiente autunno
Lesività combinate, fattive
ma ributtate da sempre, e uscite
in vero, altissimo silenzio!

Lampada accesa ogni oggetto s’illustra
Per una divina desuetudine
E prepotenza,
nessun tempo è mai passato
ogni tempo – unicamente – verrà

Nulla in più da attendere, da nessun
clivo o frattura
da nessuna memoria né semenza
Là sta l’idea, consistenza, renitenza
Là  fu, mai fu, là – unicamente – a accogliere .

*

Il cielo è limpido sino ad
essere sconosciuto
Tutto è intossicato dal sole
Io tossico sotto questo , in questo
brusire di entificazioni
e sono distratto
molto distratto dalla violenza
           di un freddo
che pur non fa nulla di male

Adocchio solitudini
già mie    ora di se stesse
     unicamente
Tutti i rimproveri pare si calmino
     riverberando
Tutto è distrazione e
      forse meno, un
poco meno del previsto, pena

7. Alla stagione

I
Inanellatamene e in convergenza pura

è il fatto stagionale. Questa perla perlifera,
sistema ed argomento
qui, tutto intorno al qui, ottimo.
E poi fare cenno alla matta, alla storia-storiella
e alla fa-favola, femmine belle, sorelle.
Se ne va, te ne vai; ho stagione.
Non sei la stagione , non sapevo.

II
E ti chiudi nei tuoi grandi colori

e i colori nelle grandi ombre
e porti via te stessa
e me e non-me nell’alta involuzione
pregio di un silenzio:
cui s’appone l’ardore di un rumore
fragilissimo o il cammino di una madre-mamma
tra le dalie e i crisantemi
lacunosi leggermente imprecisi e scalpito
d’animaletti con carrettelle e sistri
appena in incidenza quasi per una svista.
E sei l’invitante e obbedisci
Al goduto invito, me e non-me e non-noi.
La mami-madre là sul versante ha una forbicina d’argento.
Là sul versante opposto mi è lecito decidere
l’araldizzata minutaglia – quanta amicizia –
che s’iscrive al patito, al passibile, in un ritorno vero.
Decoro, decor ,scena da cui, su via su via:
l’alito e l’invito
allo scarnito convolvolo alla zucca alla fragola,
a quanto consumarsi ad un tessuto amava,
tessuto e tensione che si ritira
e nel ritirarsi lascia grandi
sé me stesso non-me e voi
vivi al superlativo – che pingui, che quiete-
morti al superlativo mummi-mummie-muschi
e me e non-me e voi nell’inclusione
in grandi colori e i colori in grandi ombre-beatitudine

Già fu beato questo ritirarsi

III
Già fu beato,là fu beato,

grande beatitudine i   circospezione
o in latra espansione
più accorta e difficile in vasi e valli perlifere
in silenzio esclusivo perlifero.
Interpretare  questa parsimonia
questo sonno. Riferirsi alla grama
deiezione , ad un pomo ad un fico a uno spino.
Dire, molte cose, di stagione, usando l’infinito:
tante dolcezze .
ma durano al becco felice all’ala pulita
all’occhio all’ingegno dell’augello?
Difendere quella cruna quel grimaldello quel mulinello.
Bene fosti e bene sei: ma il proposito
vano e il vano amore dove compenso e come?
Dal tessuto foglioso delle tue chiome
dalle calde  simbiosi dagli aiuti dai cibi.
Esser beato – contro me – mi prescrivi
anche se è malfamato ciò che dice beato,
se la fa-favola in disparte s’imbalba,
se, fuori stagione,mattamente la storia
clio clio pavoncella fa su e disfa
l’opus maxime oratorium.
Ma cavalchi, bel cavaliere errante:
aromi sodi, chimismi riposti
lungi dal fallire, raggi, preminenze, nascenza.
-  -  -  -  -   -  -  -     -  -  -  -
Perché siete immortali
perché sono immortale perché
francamente immortale tu sei

e l’uso dell’infinito
 

8. Sfere

Come di là dai mari
grida  l’innocenza-
bambini non più solitari
su litorali infiniti
rincorrono rincorrono e vincono
di abbaglio in abbaglio rapiti

E che si saprà mai di tanta innocenza ?
Che di questo spisciarsi di bambini ?
Feroci come l’afa
come  i divini
loro doni che sfuggono, sfere
su tutto il mondo, oltre ogni potere?

Folla che troppo distratto e assonnato
raggiungo ad una svolta
a un dirupo dove crollò improvviso
ogni confine di un soprassaltante riso,
  folla dolcissima, vero
  disumano, perfetto aldilà
  in elisie tivù, fosfeni a cascate,
  acufeni di gloria gloria e gloria
   per questa bella estate.
 

9. Topinambur

Topinambur abbandonati
qua e là, cari pargoli,
abbandonati in incontri
precari o in infinite assemblee
ma sempre un po’ distratti dall’infinito.

O filiazione
forse infida, dicono,
della luce più irta,
provocatori di paroline e bisbigli.
Provocare ad appelli ed a fini
rimproveri  eh  eh
   fin dentro i giardini

Ma chiamate a soste o
ad aggiri, a manciate di
dispersioni, ad immortali
(senza per niente essere trionfali)
   addii

O semine semplicissime
o complessive induzioni e scie
poi divergenti
di sottomusici elementi –
Affondi  birbi birichini del
giallo di minimi
   temi tempi

Da entro i mille circoli
dei topinambur assidui nunzi
di lunatici autunni
si sfilano le luci
 dai più nascosti vincoli

 Digressivi discorsi
Fratti divieti ad ogni
Bella pretesa del giallo-
Suggerimenti d’altri autunni
     vellichii d’autunni
     già persi, ritornanti in gialli sorsi

Freschissimi risvegli del verde-blu
dopo che le piogge novelle l’addormirono
e che ora si disagia e scompiglia
a un raggio, più che di sole, di topinambur
 

Teneri plagi compiuti
dal verde e dall’azzurro dei prati
sui topinambur qui sbandati
da chissà dove, chissà se prima o mai più.

10. Nautica celeste

Vorrei renderti visita
nei tuoi regni longinqui
o tu che sempre
fida ritorni alla mia stanza
dai cieli, luna,
e siccom’io , sai splendere
unicamente dell’altrui speranza.


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