1.
“Soprammobili e gel”
2.
Squadrare il foglio
3.
vecchio dialetto
4.
Dintorni Natalizi
5.
Leggende
6.
Stanza immaginata o intravista
7.
Alla stagione
8.
Sfere
9.
Topinambur
10.
Nautica celeste
1.
“Soprammobili e gel”
E sono due
nel cristallo della stanza
che
ad alti gradi di cristalli
scoscende,
accede, s’infianca, s’incastra
E sono due
due vecchi o anche no - & amici –
per
nulla e di nulla in lieve accordo parlando
hanno
già
povere arterie grassocce e i visceri
chissà
come smacchiando stentano
E se avessero
profili, essi, gli amici, sarebbero
nel
taglio di quell’infinito cristallo in che
novembre
osa sempre divaricarsi e poi dopo embricarsi
avido cristallo
assassinante cristallo
prémito
preme all’essenza-colori-dell’essenza
Due che
non hanno certo la sapienza dei bonzi,
non
zen, ma l’occhio sul cortile dove
trottano
verso i colori scatole di latta e penombre
Jiip
è il nome di uno e dell’altro
E in un
mezzo-sogno essi tale realtà intravedono
tra
coppi e foglie stravolti dal cristallo
Due da
nulla congiunti se non dal senso di un certo nulla
ma
come valgono le inezie che vanno dicendosi
nemmeno
i lontani amori evocano
men che meno i ricordi
essi sono i ricordi
essi sono un bel niente
e si scaldano al bel niente
Ma è
fatale è sfasciato
in vasti e variabili cristalli è novembre
O nel dittico
crepuscolare intrusi come un fruscio
Noi-essi frusciamo parole
così scorretti nel loro luccichio così stagnanti
da divenire sapienti
Essi-noi
comunque nel vivo anche se al decoro
delle ombre
fini e fredde un po’ alla volta
s’adeguano – oscuri – tonti
Asignificante
e forse monda è la loro vita
rattrappita
o gonfia l’arteria l’entragna
essi
sono ricordi
essi
stanno seduti ma inciamperanno
essi
sono queste faccende di finestre cortili ed interni
essi
cercano di raccordarsi – e non fa niente –
a
una indivisibile fila folla –anzi la lasciano a parte
si ritrovano
a valle adorarono si distrassero
nell’onnipotente
irrespirabile levità
distanti
sono come soprammobili
e vicini
come radicate convenzioni figurative
nella
sempre-più-ombra
più-cristallo
Parlottano
e non è che questo luccichi gran che
ma,
hai naso chiuso, ma c’è.
Tigre novembre
intanto e sempre si aggira
riversa
tutto ai piedi l’astrale felice disastro
usa
come armi il falcialune e il falciasoli
fa che
il salto dei colori che il disaccordo o coro-
fa versamento
pleurico per pelli e strati yalini e gel
travasa
cristalli smarrisce un dito di vino
sul tavolino per due
Due di noi
si convincono,
nell’ombra
di una stanza si infittiscono,
due di
noi perlustrano con chiacchiere e bisbigli
Eh eh! Zio
novembre, così ci stellasti
alla primizia del gelo
così ci estraesti
in propizi ma inaccessibili “là”
di finestra in finestra – noi/postremi
ci intrecci in tintinni in clivi in estraneità
-
dall’interno
all’esterno sempre più interno
- dagli
interni con mobili made in paradise
- con tendine
farfalline in mutazione
e direi
soprammobili e direi di noi
è/a
conoscersi come non visti non raccontati né accertati
e
ricoverati in dicerie in rumeurs
in
spenti barattoli da cortile
mentre
infierisce il silenzio
il cristallo
e
dà di volta all’infinito
la bella
mente
mentre
s’infianca la stanza
mentre
due c’infianchiamo, uniti,
ai
pellegrini muschi-colori-topi
tra
scatti di falcialune, e di falciasoli
Rosicchiare, verzicare, sfalciare
rosicchiare
giallicare oltre i tonfi e le serenità,
azzurricare
di lunghissime modulazioni ottiche
alligna e perlustrando si affila (al nero)
si affida – ciack – cieco.
2.
Squadrare il foglio
Così
accade , così pedalando –
pedala
tu sul crine sul ciglio sullo spigolo
mentre
ghiaie intervengono e anche ombre
sfarfallate
dal pioppo e pregiate verde per verde
Pedala,
piede contro piede
e
gamba contro gamba,
osseggia
pedalando, intrica tarsi e stinghi
Cascate
di farfalle ti sponsorizzano,
all’incontro
all’incontrario si procede
pedala
e premi e ansima peggio che in un parto
tra lucenti
figliate di soli come farfalle
e tra
figliate
di farfalle commenti lievi
Pedala
e pigia come entro grande uva
e curvati
su tutta l’uva
che hai
davanti, mondana, truccagna, fedeltà
Ricupera
ricupera e fa
premio,
fa aggio oltre i sudori e la carnalità;
osseamente
pigia dolcezze da acerbezze da furti lucri
Pedala
senza trillare ché nessuno
la volata
saltante sulla ghiaia tra le farfalle
impedirà a nessuno
La squadratura
del foglio è cominciata –
a
pedate ben pedalata.
3.
vecchio dialetto
Vecchio
dialetto che hai nel tuo sapore
un gocciolo
del latte di Eva,
vecchio
dialetto che non so più,
che mi
ti sei estenuato
giorno
per giorno nella bocca (e non mi basti);
che sei
cambiato con la mia faccia
con la
mia pelle anno per anno;
parlare
povero, da poveri, ma schietto
ma fitto,
ma denso come una manciata
di fieno
appena tagliato dalla falce (perché non basti?) –
nonni e
babbi sono andati, loro che ti conoscevano,
nonne e
mamme sono andate , loro che ti inventavano
nuovo
petèl
* per ogni figlio in fasce
(*parlare
infantile)
tra gli
stenti, le grida di parto, la fame, le nausee.
Girare
mi da fastidio, in mezzo a queste macerie
di te,
di me. Dal dente accanito del tempo
avanzi
non restano nel piatto, e meno
di tutto
i cimiteri: devo dirti cimitero ?
E’ vero
che non può esserci più ormai
nessun
parlare di nenè – nonne – mamme? Che fa male
ai bambini
il petèl e gran maestri lo sconsigliano?
E’ vero
che scriverti,
vecchio
parlare , è troppo faticoso, è un male
anche per
me, come prendere a rovescio,
per obliquo,
far slogare i tendini delle mani?
Ma intanto
qui intorno, girando per i mercati,
o meglio
andando per campi e clivi e balze
là
dove il gallo di cristallo canta sempre tre volte,
da giuste
bocche ti si sente. Io ho perduto la traccia,
sono andato
troppo lontano pur rimanendo qui
avvitato,
imbullonato, diventato quasi un ceppo di piombo,
e la poesia
non è in nessuna lingua
in nessun
luogo - forse – o è il mugghiare del fuoco
che fa
scricchiolare tutte le fondamenta
dentro
la grande laguna, dentro la grande lacuna-,
è
il pieno e il vuoto della testa – terra
che tace
, o ammicca o fiuta un passo più oltre
di quel
che mai potremmo dirci, far nostro.
Ma tu vecchio
parlare, persisti. E seppur gli uomini
Ti
dimenticheranno
senza accorgersene,
ci saranno
gli uccelli-
due tre
uccelli soltanto magari
dagli spari
e dal massacro volati via-:
domani
sull’ultimo ramo là in fondo
in fondo
a siepi e prati,
uccelli
che ti hanno appreso da tanto tempo,
ti parleranno
dentro il sole, nell’ombra.
4.
Dintorni Natalizi
Natale,
bambino o ragnetto o pennino
che fa
radure limpide dovunque
e scompare
e scomparendo appare
come candore e blu
delle pieghe montane
in
soprassalti
e lentezze
in fini
turbamenti e più
Bambino
e vuoto e campanelle e tivù
nel paesetto.
Alle cinque della sera
la colonnina
del meteo della farmacia
scende
verso lo zero, in agonia.
Ma galleggia
sul buio
con sue
ciprie di specchi.
Natale
mordicchia gli orecchi
glissa
ad affilare altre altre radure.
Lascia
le luminarie
a darsi
arie
sulla piazza
abbandonata
col suo
presepio di agenzie bancarie.
Natali così lontani
da bloccarci occhi e mani
come dentro
fatate inesistenze
dateci ancora di succhiare
degli infantili geli le inobliate essenze
5.
Leggende
Nel compleanno
del maggio
“Tu non
sei onnipotente”
dice la
pallida bambina
*
Polveri
di ultime, perse
battaglie
tra blu e verde
dove
orizzonti
pensano sull’erbe
*
Lievi voci,
api inselvatichite-
tutto sogna
altri viaggi
tutto ritorna
in minimi fitti tagli
*
Forse api
di gelo in sottili
invisibili
sciami dietro nuvole-
Non convinto
il ramoscello annuisce
*
Voglie
ed auguri malcauti,
viole del
pensiero
sotto occhi
ed occhi
quando maggio nega
*
Il
bimbo-grandine,
gelido ma
risorgente
maggio,
“Non sono
onnipotente”
batte e
ribatte sui tetti
*
“Mai
più
maggio” dicono
in grigi
e blu
segreti
insetti grandini segrete
*
Mai mancate
neve di metà maggio
chi vuoi
salvare?
Chi ti
ostini a salvare?
*
Come,
perché,
il più cupo
maggio
del secolo – cento
anni
d’oscurità
in un mese?
*
Acido spray
del tramonto
Acide radici
all’orizzonte
Acido:
subitamente inventati linguaggi
6.
Stanza immaginata o intravista
Raggi d’emblema
e – santificato – incipiente autunno
Lesività
combinate, fattive
ma ributtate
da sempre, e uscite
in vero,
altissimo silenzio!
Lampada
accesa ogni oggetto s’illustra
Per una
divina desuetudine
E prepotenza,
nessun
tempo è mai passato
ogni tempo
– unicamente – verrà
Nulla in
più da attendere, da nessun
clivo o
frattura
da nessuna
memoria né semenza
Là
sta l’idea, consistenza, renitenza
Là
fu, mai fu, là – unicamente – a accogliere .
*
Il cielo
è limpido sino ad
essere
sconosciuto
Tutto
è
intossicato dal sole
Io tossico
sotto questo , in questo
brusire
di entificazioni
e sono
distratto
molto
distratto
dalla violenza
di un freddo
che pur
non fa nulla di male
Adocchio
solitudini
già
mie ora di se stesse
unicamente
Tutti i
rimproveri pare si calmino
riverberando
Tutto
è
distrazione e
forse meno, un
poco meno
del previsto, pena
7.
Alla stagione
I
Inanellatamene
e in convergenza pura
è
il fatto stagionale. Questa perla perlifera,
sistema
ed argomento
qui, tutto
intorno al qui, ottimo.
E poi fare
cenno alla matta, alla storia-storiella
e alla
fa-favola, femmine belle, sorelle.
Se ne va,
te ne vai; ho stagione.
Non sei
la stagione , non sapevo.
II
E ti chiudi
nei tuoi grandi colori
e i colori
nelle grandi ombre
e porti
via te stessa
e me e
non-me nell’alta involuzione
pregio
di un silenzio:
cui s’appone
l’ardore di un rumore
fragilissimo
o il cammino di una madre-mamma
tra le
dalie e i crisantemi
lacunosi
leggermente imprecisi e scalpito
d’animaletti
con carrettelle e sistri
appena
in incidenza quasi per una svista.
E sei
l’invitante
e obbedisci
Al goduto
invito, me e non-me e non-noi.
La mami-madre
là sul versante ha una forbicina d’argento.
Là
sul versante opposto mi è lecito decidere
l’araldizzata
minutaglia – quanta amicizia –
che s’iscrive
al patito, al passibile, in un ritorno vero.
Decoro,
decor ,scena da cui, su via su via:
l’alito
e l’invito
allo scarnito
convolvolo alla zucca alla fragola,
a quanto
consumarsi ad un tessuto amava,
tessuto
e tensione che si ritira
e nel
ritirarsi
lascia grandi
sé
me stesso non-me e voi
vivi al
superlativo – che pingui, che quiete-
morti al
superlativo mummi-mummie-muschi
e me e
non-me e voi nell’inclusione
in grandi
colori e i colori in grandi ombre-beatitudine
Già
fu beato questo ritirarsi
III
Già
fu beato,là fu beato,
grande
beatitudine i circospezione
o in latra
espansione
più
accorta e difficile in vasi e valli perlifere
in silenzio
esclusivo perlifero.
Interpretare
questa parsimonia
questo
sonno. Riferirsi alla grama
deiezione
, ad un pomo ad un fico a uno spino.
Dire, molte
cose, di stagione, usando l’infinito:
tante
dolcezze
.
ma durano
al becco felice all’ala pulita
all’occhio
all’ingegno dell’augello?
Difendere
quella cruna quel grimaldello quel mulinello.
Bene fosti
e bene sei: ma il proposito
vano e
il vano amore dove compenso e come?
Dal tessuto
foglioso delle tue chiome
dalle
calde
simbiosi dagli aiuti dai cibi.
Esser beato
– contro me – mi prescrivi
anche se
è malfamato ciò che dice beato,
se la
fa-favola
in disparte s’imbalba,
se, fuori
stagione,mattamente la storia
clio clio
pavoncella fa su e disfa
l’opus
maxime oratorium.
Ma cavalchi,
bel cavaliere errante:
aromi sodi,
chimismi riposti
lungi dal
fallire, raggi, preminenze, nascenza.
-
- - - - - -
-
- - - -
Perché
siete immortali
perché
sono immortale perché
francamente
immortale tu sei
e l’uso
dell’infinito
8.
Sfere
Come di
là dai mari
grida
l’innocenza-
bambini
non più solitari
su litorali
infiniti
rincorrono
rincorrono e vincono
di abbaglio
in abbaglio rapiti
E che si
saprà mai di tanta innocenza ?
Che di
questo spisciarsi di bambini ?
Feroci
come l’afa
come
i divini
loro doni
che sfuggono, sfere
su tutto
il mondo, oltre ogni potere?
Folla che
troppo distratto e assonnato
raggiungo
ad una svolta
a un dirupo
dove crollò improvviso
ogni confine
di un soprassaltante riso,
folla dolcissima, vero
disumano, perfetto aldilà
in elisie tivù, fosfeni a cascate,
acufeni di gloria gloria e gloria
per questa bella estate.
9.
Topinambur
Topinambur
abbandonati
qua e
là, cari pargoli,
abbandonati
in incontri
precari
o in infinite assemblee
ma sempre
un po’ distratti dall’infinito.
O filiazione
forse infida,
dicono,
della luce
più irta,
provocatori
di paroline e bisbigli.
Provocare
ad appelli ed a fini
rimproveri
eh eh
fin dentro i giardini
Ma chiamate
a soste o
ad aggiri,
a manciate di
dispersioni,
ad immortali
(senza
per niente essere trionfali)
addii
O semine
semplicissime
o complessive
induzioni e scie
poi divergenti
di
sottomusici
elementi –
Affondi
birbi birichini del
giallo
di minimi
temi tempi
Da entro
i mille circoli
dei
topinambur
assidui nunzi
di lunatici
autunni
si sfilano
le luci
dai
più nascosti vincoli
Digressivi
discorsi
Fratti
divieti ad ogni
Bella pretesa
del giallo-
Suggerimenti
d’altri autunni
vellichii d’autunni
già persi, ritornanti in gialli sorsi
Freschissimi
risvegli del verde-blu
dopo che
le piogge novelle l’addormirono
e che ora
si disagia e scompiglia
a un raggio,
più che di sole, di topinambur
Teneri plagi
compiuti
dal verde
e dall’azzurro dei prati
sui
topinambur
qui sbandati
da
chissà
dove, chissà se prima o mai più.
10.
Nautica celeste
Vorrei renderti
visita
nei tuoi
regni longinqui
o tu che
sempre
fida ritorni
alla mia stanza
dai cieli,
luna,
e siccom’io
, sai splendere
unicamente
dell’altrui speranza.