VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Alberto Toni

   
1. da Liturgia delle ore
2. Teatralità dell'atto



1. da Liturgia delle ore
 

Qui venite
 
…Così al viso mio s'affissar quelle
Anime fortunate tutte quante…
(Purgatorio,II, 73-74)
 
 

Qui venite e vi mostrate,
guidate nel viaggio - altra terra
appare allo sbarco. Il volto dell'angelo
è pieno di luce. O territorio di confine,
nel discorso ritornano i sogni - fecero
grande il passaggio
e ancora mi passano veloci intorno. O anime,
non restate a guardare il nostro sperpero,
la fine ch'è prossima, il tormentato lume
che si spegne.
Nell'incantesimo della città troverete
le mura rovinate dopo tanto affanno -
la paura che lenta ci rapisce, il fiato
dell'ultima condizione.
Questo patto di vita nel timore difende
i suoi ori. Dall'alto del verde nel deserto
dei pini sopravvissuti.
Venite, anime, nei nostri sogni - come
il canto della speranza, così avara.
Vi accorgerete di un desiderio immenso,
che non ha pace.

***

Mi scaldi il viso, perché non vi sia
il vuoto dentro di me.
La bussola m'inganna, il tempo è oscuro labirinto.
Dovrò andare. Semplicemente andare,
se amore è chiuso in sfere di cristallo.
Il desiderio scivola sotto il sole,
si frantuma in un fiume di parole.
Questa città sorveglia i miei movimenti.
Anche quando preparato al domani
penso al punto d'appoggio,
all'aria da respirare. Dagli alberi
un volo d'uccelli al mio ritorno.

***

Un desiderio fa puro il canto -
l'unica febbre che ci tiene in vita.
Volerai sull'estate verso il picco
di nuovi giorni. Il nostro sogno di verità
è vicino.
S'apre uno spazio - più forte la voce,
il mattino è sicuro.
Il mattino in cui scompare la paura,
e una parola è ritrovata.
Sei nella via battuta dal vento
e spezzi la catena del silenzio - il tuo nome
nel mare degli eventi.
E il prato più verde nei tuoi anni migliori.
Nella mia testa un sogno
a far nascere la misurazione del tempo.
O altezze, a cui la sosta è negata,
qui nulla è possibile
senza la forza del cuore.
O voci di poesia, nel mio cammino
diventano storia anche le mura della casa.
L'infinita servitù del corpo liberiamo
per un atteso domani.  

Liturgia delle ore

Per quanto un lampo di novità
tempo e tempi nell'incipit
ancora non capiamo.
Se ci appare in punta di piedi
l'immagine del sacro divenire
ora pro nobis diciamo.

E dunque col lavoro, con opere
quand'anche non rimanesse niente.

Le orazioni invero servono
nel lavoro quotidiano - dal
primo mattino alla prima sera
quand'è il momento di coricarsi.

Un salto nel buio, a dir poco -
ma come fuoco potente giungono
i santi notturni: pregando giungono
a schiera fino quaggiù sulla terra.

Il fuoco dell'abbandono improvviso -
i sensi mi abbandonano -
l'abbraccio della moltitudine.
Ho chiuso la porta
in segreto, in segreto. Vi ascolterò,
miei santi ritrovati.

Vi ho ritrovati - liberamente
vi appoggiate al buio. Ma non sarò
io che salgo fino a voi?
Non sarò io il nuovo accolto?

Miei amici notturni, io non conosco la strada.

Potrei fermarmi a mezza strada
e aspettare da voi un segno.
Ma ho bisogno per questo di preghiere:
le mie e le vostre insieme, in coro,
come da voi felicemente ho imparato.

Ma siamo ormai vicini e poco importa
chi di noi si muove -
ascolto le vostre voci e basta.

Ditemi dove siete diretti - dove siamo diretti.
Sto digiunando da due giorni -
il digiuno è la mia salvezza.
La lancia che si spezza - un'anima
all'altezza della situazione nel lungo
cammino delle orazioni. Ditemi: dove
siamo diretti? Io vengo con voi.

Mi faccio avanti nella luce forte.  

E d'opportune virtù - ricognizioni.
Una virtù che rigenera
questa modestissima stanza.
Il digiuno rigenera lo spirito - spirito
che s'innalza - il tempo della penitenza.

Nella stanza il dono degli occhi - sì,
vi seguo, amici che non dimenticate mai
il mio nome… Come da voi ho imparato.

Digiuno, digiuno per altri giorni -
niente cibo. Così la penitenza,
il patto stabilito. La mia stanza è sicura.

Fino alle sei ho pregato e non c'è stata
notte più viva - né ho patito fame,
né sete - fino alle sei gli occhi serrati
alla visione quante strade ho percorso?

Ascoltate: il pentimento
apre le porte del cielo.
Non c'è penitenza se non
avviene subito il bene.
Ancora una prova in  principio.

Nella lode la purezza e quei santi
santificano semplicemente il mattino.

Nella notte ho trovato conforto e protezione -
dicevano: nell'occasione propizia
è la notte - le preghiere se la mente risponde
senti che basterebbe poco per morire.

Santi, santi, i giorni e le notti del mistero -
il Dio nascosto,
che pure ha unito terra e cielo.

Così dal Figlio in terra
come una volta è stato  -
ne ho beneficio eterno
che fa ruota nel cielo.

Toglie la benda che mi nega
e scopre il viso. Eccomi pronto.

Intorno a  me ruotano i cieli
della preghiera  - similmente ai mari
similmente al deserto di Dio.
Il custode tiene ferme le mani
sul petto le mani in pentimento.
Io sono il custode di me stesso.
Lasciate entrare e così viene trovato.

In questa posizione mi ritrovo
dopo alcune ore - lasciato così
all'occasione mi muovo nella stanza.

Lauda non trovo più che m'accompagni -
similmente si ribella il corpo
di tale condizione -
nella pausa il sonno,
nella pausa il corpo che si rigenera.
Un'ora di seguito ho dormito.

Un'ora di seguito ho dormito -
le mani poi nella stessa  posizione
seguono la mente - il pensiero di Dio.
Tentazione tentazione non avrai vittoria!
Il corpo fuggirà la tentazione
e ospiterà la gloria del sacrificio.
Gloria nella rosa di maggio il patto -
glorificata rosa del Salvatore -
rosa del mio giardino profumata rosa.

Guardo la rosa a gloria del Creatore -
né fame né sete mi opprimono.
Rimare in lode eccellente, un'ora
così trascorre - dolcissima ora.

L'apparenza che scorre non m'inganna -
nel corridoio la voce dei confratelli.

Pure raccolgo il bene
quando mi parlano -
negli incontri la forza
ogni giorno scegliamo
la stella mattutina
porta del Dio Creatore
in posizione d'onore.

Presenza discreta per me
chiuso nel mio raccoglimento.
Di là li sento, di là da me
adesso - esistere nell'ombra.

Qui eccomi recluso nel perdono -
invocato il celeste e puro credo
lascio più tempo al tempo nel seguire
il comandamento - la salita al cielo.

E l'insidioso percorso ricomincia.

La sommità del cielo, l'ultima scala
che conduce a Dio - prova che a dire
non basta, ma occorre penitenza.
Prova più dura prova sopraggiunta
che tutto il mondo intorno adesso è fermo

Ascolto il mistero della croce -
il sole si fa alto all'orizzonte.

Ascolto per buona novella -
dell'oro non fu mai vera.
Spogliato di ricchezze in adorazione,
l'angelo recita accanto a me.

Antica questione nella mente:
se la morte che raccoglie e sfida
può dirsi dal pensiero vinta.

Morte ch'è vinta nell'eterno cielo -
così la notte e il giorno sempre prego.

Ricevo il dono. E' il Dio di tutti
in risposta al buio patimento
d'essere nel corpo recinto.

O corpo mio, in questo momento
altro non hai che il desiderio:
pietà per chi diciamo a terra giace.

Pietà del corpo - e il mio tremore
è timore di Dio. Per quella strada
in salita che porta alla salvezza.

Del Figlio il corpo
salvezza eterna.
Pietà della croce
l'uomo salvato
l'ultimo grido
l'uomo ha gridato.

E noi anche gridiamo -
è una testimonianza -
la terra che abitiamo.

In mano alla Salvezza che venuta
in terra non straniera ha  misurato
tempo e tempi dei Comandamenti.

Il muro insormontabile?
Del corpo la fine annunciata
nel Corpo eterno di Cristo.

Mirabile sequenza del Creato.
Pregare e avvicinarsi a quella.

Tutto accade - l'accaduto.
Il sole batte nella stanza,
proprio al centro della stanza.
Seguo il libro di devozioni.
Oh miei santi nella luce diurna -
l'ombra dell'ape buona sul soffitto.
L'ape mia compagna
messaggera di Dio.

L'ape che è entrata nell'ora più calda -
dalla finestra aperta - ecco il mondo di Dio.

Diciamo gloria al Regno
e a tutte le creature
dentro l'ombra, nel sole
le forme dei viventi.

E l'ape adesso è uscita -
l'ape fiero bagaglio…
mi ha visitato la creatura di Dio.

Solo, che penso?

Lode a Dio in quest'ora del pomeriggio -
l'alto ingegno, l'alto grado
di conoscenza - rapidamente
e quanto è definito pure a me viene.

Nelle altezze semplici di carità
e preghiera - qui nella stanza
i passi semplici dei confratelli.

Quel coro i semplici passi a me
vicini cara compagnia.
Cara la luce che rischiara il viso.
Il mio della somiglianza al Creatore.

Santifichiamo la forma - e specchio
in cui ci ritroviamo, sapete riconoscere
le forme tutte di terra e d'acqua.  
 

Sante forme noi preghiamo in umiltà.
Nella mia stanza in umiltà io prego.
Sono sante le ore che sostieni -
Oh Padre! Oh taciturno delle ore!
Ascolto ancora i passi dei fratelli
nel corridoio accanto alla mia stanza.

Poi quando arriva la sera
non mi tormenta la fame,
né il sonno ripara in cella,
nel suo pensiero prossimo.
Né soffro la sete. Tutto il giorno
ho tenuto ferme le mani - le mani
ferme in preghiera
tutto il giorno.

2. Teatralità dell'atto

Wolfgang Amadeus dice Mario che ascolta Mozart
come dice lui e non una nota di più nel suo viso scavato
di studente classico e definitivo nel giudizio. Ma Rosaria
che è seduta davanti a me accenna un motivo di Carmen Consoli
e la platea si protende in avanti, ondeggia
e sbanca per un momento la mia barba incolta.
Che supremo idillio cercare a braccio il consenso
di tutti noi, mentre la ragazza del bar si presenta
con una bottiglia di acqua minerale. Alle nove
di sera c’è ancora chi pensa che facendo rumore
il cuore si alzi all’altezza dell’amore in questo
sepolcro che conserviamo dentro di noi per la prova finale,
i massimi sistemi di una poesia al limite
della sopravvivenza. Se scrivo dirò tutto il dicibile,
quello che mi passa per la testa
se sto per un po’ da solo nella mia stanza
e faccio l’alba sui libri. Ecco la verità e
Rosaria non sembra uscita da un’ora dal
lavoro, quante scarpe ha contato durante il giorno?
E’ normale che adesso voglia cantare
e fare sfida con noi, se non ha un ragazzo che
la porti al cinema qualche volta. E se ripesco
una frase di Carlo Levi dal dizionario della mia
memoria è perché quest’estate ho riletto
«Cristo si è fermato a Eboli» al mare in Calabria,
davanti alle guance rosse di Giulia. Non ho sofferto
la solitudine e un libro parla al suo pubblico.
La poesia non deve morire: la faccio come dico io,
come i cantari a mezzo delle piazze nella città
violenta. A costo di perdere il sublime, il vocativo
ormai ebbro. Ma non è un’abiura dal verso,
piuttosto una trafittura ai miei vent’anni perduti.
La passione che mi bruciava e il mondo piede
rapido ha innalzato barriere. Rosaria ha smesso
di cantare e sorride a Mario sguardo tagliente
che non ha nessuna voglia di parlare. Potrebbe
gridare, ma non lo fa e so anche perché. Non vede
la sua ragazza da un mese e non bastano quei tre
minuti al cellulare se non la vede nera di capelli
e alta di persona quasi quanto lui e con l’espressione
di intimità. Io ho imparato a mie spese anni fa,
ma è anche il suo carattere così riservato. Non
c’è pericolo che perda un’altra volta la testa, anche se
si gira a guardare la rossa in minigonna e Rosaria
gli urla che non avrebbe neanche il coraggio di
chiederle come si chiama. Vediamo se la notte
stavolta può essere infinita al tavolino di un bar.
Posso scendere a patti con un’altra idea di ispirazione
e raccontare la mia storia alla radio: leggo i libri
degli altri al fuoco della passione, la teatralità dell’atto
in volo sulle case senza paracadute. Dico anche che
il fiato corto è pericoloso, ci manca poco a una nuova
minaccia dell’incomprensione. Voglio seguire
il mio istinto e sperare di avere gli amici dalla mia parte.
Non posso negarmi il piacere della rivoluzione.


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