Tre
protesti
1.
L’intrattabile
Le virgole
–
ferme al
filo –
in ricorso
e il
verme sottile
schifa
sulla mia
pelle la
bugia.
Sei tu,
la
bestia,
potresti,
non sei,
sei il
padrone,
il tiranno
che torna
ubriaco a
pigliarsi
la figlia?
Vestito
come
l’angelo
cornuto
spegneresti
la
luce nel
collo
del vino
bevuto,
potresti?
Vedi come
la
nube mi
protesta
nella mia
causa
persa e
poi
lasciata,
la
voce incantata
dica la
tua
parola
anche
una volta
sola
il bene
tolto a
marcire
da
dov’era,
posa una
mano
aperta
sulla testa
e dammi
questa
misura
o
quello
che
me la leva.
2.
L’attesa
Vuoto apparente
silenzio
incalzante
un niente
d’assenzio
per farmi
parlare e
avanzare
montante
cadente.
Un passo
e una
storta,
risorta
di sasso,
m’importa
la torta
fortuna
del caso,
mi scasso,
digiuna
d’adesso.
Questione
di giorni
- hai ragione
- ma
i forni che m’ardono
- torni?
– mi fanno
impressione
e canzone.
Bene, sentirne
e
volerne
ed averne,
scordarne
le
vene rigonfie
di
pene ed
averle,
sentirle.
Smaniare,
stranire,
tornare
al mio fare
usuale
e pagare
all’attesa
un soldo
fasullo
e la pesa
del sale.
Sapere per
certo
ch’è
inferto un
amore diverso
al mio
verso e
il dolore
perverso
s’è
perso, perdio.
3.
La vicinanza
Segno degli
occhi
- toccami
- o
dei rintocchi
fissi
di campana
a
prima mattina
– apri
questi
ginocchi
sbocchi
di vita
certa per
la
bambina,
fiocchi
d’ogni
conserta
che ci
avvicina
- senza
la voce
adesso sarei
morta e
me l’hai
data, buona
pomata,
celere
medicina
contro
l’accesso
isterico,
iperico
cacciadiavoli.
Sorte gioca
a due
tavoli,
vede due
porte,
lasciale
strada
– dico – e
senti
più
forte
il bene
della parola,
la scuola
che l’ha
cresciuta,
il cuore
che l’ha
voluta,
aperta
come
sbocciata
in questa
smodata
attesa
lei mi
consola,
segno
del bel
disegno
che il
corpo
insegna,
se vola.