1.
Le Attese
2.
Gli sguardi
3.
I Passi
4.
Le Nubi
5.
Le Case
6.
I Sogni
7.
Il guitto
8.
Distogli lo sguardo
9.
Pianeta anima
1.
Le Attese
Le Attese
sono ambigue e sono storte
Le Attese
si raddrizzano alle porte
Le Attese
sono urgenti e sono stanche
Le Attese
quando piove sono bianche
Le Attese
sono matte e sono vuote
Le Attese
vanno in giro senza ruote
Le Attese
sono curve e sono in piedi
Le Attese
sono fiabe a cui non credi
2.
Gli sguardi
Gli Sguardi
sono rossi e sono cupi
Gli Sguardi
da lontano sono muti
Gli Sguardi
sono freschi e sono antichi
Gli Sguardi
sono angeli pudichi
Gli Sguardi
sono lunghi e sono lenti
Gli Sguardi
sono strani movimenti
Gli Sguardi
sono elmo e sono lancia
Gli Sguardi
non si lasciano di mancia
3.
I Passi
I Passi
sono lievi e sono duri
I Passi
sono strisce lungo i muri
I Passi
sono ghiaccio e sono fuoco
I Passi
non li conti mai per gioco
I Passi
sono lunghi e sono neri
I Passi
vanno dietro ai tuoi pensieri
I Passi
sono cerchio e sono retta
I Passi
non seducono chi ha fretta
4.
Le Nubi
Le Nubi
sono cane e sono drago
Le Nubi
sono appese con lo spago
Le Nubi
sono azzurre e sono fumo
Le Nubi
non nascondono nessuno
Le Nubi
sono quadro e sono artista
Le Nubi
sono trucchi da rivista
Le Nubi
sono pioggia e sono pace
Le Nubi
sono il cielo che non tace
5.
Le Case
Le Case
sono massa e sono schegge
Le Case
sono corpi fuorilegge
Le Case
sono esca e sono scrigno
Le Case
si richiudono in un ghigno
Le Case
sono guglia e sono feccia
Le Case
nella notte sono freccia
Le Case
sono grigio e sono storia
Le Case
sono ostaggi alla memoria
6.
I Sogni
I Sogni
sono libro e sono sabbia
I Sogni
se li perdi sono gabbia
I Sogni
sono verdi e sono stelle
I Sogni
sono vette ormai gemelle
I Sogni
sono piombo e sono piuma
I Sogni
vanno in cerca di fortuna
I Sogni
sono merce e sono vita
I Sogni
non la fanno mai finita
7.
Il guitto
Sulle assi
scalcinate
del
palcoscenico
- che un panno
verde ricopre
ma non fino
agli orli
- il guitto
si esibisce,
corpo di
gomma,
ossa sporgenti, maschera
cupa che
fa sbellicare.
I compagni
infieriscono
su di lui:
e chi gli tira
i capelli
di stoppa, chi gli pianta
il ginocchio
nei fianchi,
chi gli
morde la lingua
di carta,
chi lo tradisce
con biechi
sorrisi, chi lo espone
al disprezzo
della sala.
li guitto
s'arrabbia se può,
ricambia
se deve, tutto sopporta
con animo
saldo. Nessuno
immagina
quale sia
la sua
vera paura, ciò che teme
più
d'ogni cosa: che dalla buca
del
suggeritore
spuntino
due braccia.
le zampe grifagne
d'Arlecchino,
e lo afferrino
alle caviglie
tirandolo giù,
giù,
sempre più giù, dentro
la buca,
sotto il palcoscenico,
nel vano
buio, a recitare per loro
un'altra
parte, per loro,
i compagni
di scena, che ora,
deposta
la maschera, non
infieriscono
più, e lo circondano,
e lo additano
- in silenzio - ai sordi
clamori
di un pubblico assente.
8.
Distogli lo sguardo
La tenda
è
un sipario
o forse
un sudario
che aleggia
tracotante -
perduto,
distante -
fantasma
di tela.
Corteggia
le ciocche
del Galante,
fissato
nel profilo
che raggela.
Il libro
chiuso
e la chitarra
bianca,
svogliati,
fanno scena;
giace in
disparte,
camuffata
ad arte,
una pistola.
La Dama
dalla
scheletro
dipinto
ha forse
un cuore finto
ma l'occhio
che consola;
in fondo,
non sembra
così
sola.
Distogli
lo sguardo:
sei giunto
in ritardo.
9.
Pianeta anima
Si vede
tutto
dallo
scafandro.
Emergono
dal basso
gli asteroidi
blu:
sono bolle
rocciose
di sabbia
ed aria,
spugne
che assorbono
il tempo,
con soffice
cadenzato
respiro.
Grappoli
di lampadine
accese
e spente
sorgono
nell'alba,
invecchiano
i fiori
nel giro
di uno sguardo,
emette
strane vibrazioni
il campo
magnetico,
suoni
disarmonici
prodotti
dal moto
dell'onda
e della ruggine.
La zavorra,
nella discesa,
ha il peso
di una foglia,
ma una
foglia
che mille
giganti
a stento
riuscirebbero
a sollevare.
Nitrisce
con passione
il cavallo
cattivo:
non ha
redini
né
sella, non trascina
una biga,
non ha nostalgia
delle ali.
Si perde,
ma l'eco
del suo nitrito
rimbomba
per un attimo
nello
scafandro.
Le scarpe
di cuoio
con suola
di piombo
affondano
senza resistenza
nel
territorio
mai esplorato,
lasciando
invisibili tracce.
Se questa
è una caverna,
dove sono
le ombre?
Statue
e simulacri
denunciano
apertamente
la loro
natura
di coccio
e cartapesta,
non
c'è
inganno
nei fuochi
freddi
che ardono
sottovetro,
lo spazio
che si restringe
è
un trucco necessario.
Oltre il
tunnel,
la salvezza
sospesa:
un precipizio
di sensazioni
già
vissute, la musica
delle
conchiglie,
che si
schiudono
con metallico
clangore.
Il Demiurgo,
nello scafandro,
ha le
orecchie
piene di cera
ma l'occhio
vigile,
la mente
in esercizio;
romantici
oblò
dipinti
su bianche pareti
non lo
tentano,
la maschera
d'oro
dalle orbite
cave
che schizza
dal fondo,
lucente,
rapace,
non lo
turba.
E quando
si dirada
il volo
delle farfalle
attorno
al casco
dello
scafandro,
ecco
finalmente
la visione
del grande scheletro,
adagiato
sulla schiena:
un sogno
fatto di ossa,
le vertebre
curve
che quasi
si congiungono,
tribale
arco di proscenio,
l'anca
scoscesa
come nave
in battigia,
il naso
promontorio
dalle fonde
radici.
Ed accanto
alla gobba
levigata
del ginocchio,
nel cratere
che sprigiona
pallido
fumo,
la targa
di bronzo,
scrostata,
corrosa:
Pianeta
Anima.
Ma il
Demiurgo,
nello scafandro,
non
può
scorgerla:
privo di
zavorra,
stretto
al tubo ombelicale,
ha già
iniziato
la sua
risalita.
Sono lievi,
ora, le scarpe
di cuoio,
è sottile
la suola
di piombo.