Pieghe
Una dedica
Zattere
Tufo
Nullus nuncius
Un fiore
Pieghe
Il
libro davanti a me, che si confonde
e
si identifica con il luogo
di
svolgimento di una storia
ama
le dune la luna le onde
le
rive degli alberi in filari,
ama
i suoi fogli presuntuosi
splendidamente
lasciati ai margini
nel
vuoto che non è vuoto
ma
un buio eterno e luminoso,
ed
ogni verso bruciato da filiale
fede
nelle sue parole
e
i dubbi del suo oscuro
e
vano ardore, anche un plagio
finemente
celato.
Ama
come una conchiglia
sulla
scrivania di una città
la
memoria di una lunga
durata
e il canto lieve
soffocato
di una gioia
diversa
nella vita.
Ama
l’amare trattenuto
nella
carta quando il tempo
spinge
ogni cosa lentamente
dall’oblio
alla ragione
in
un sogno di luce
che
nella luce muore.
Dove
nulla resta legato
al
suo essere stato
né
le dune né la luna né le onde.
Una dedica
All’inverno
dedico una stanza
fredda
piena di vento e neve,
vi
passo quando voglio per un pertugio
frugando
nei polmoni il caldo
residuo
fiato che svapora,
ansimando
mi assottiglio
nel
mio maglione, pallido
figlio
di una generazione.
Qui,
aria finalmente, si respira!
A
volte mi ci attardo con un rinfresco.
Qui
nell’ombra lascio il cuore
miope,
testardo,
l’unico
testimone –se gli credete–
di
una disperata compassione.
Zattere
Nuvole,
un lido, un promontorio
che
strapiomba nella conca
azzurra
e un foglio acceso ai lembi
dai
riverberi del sole.
Fermo
da allora, nel cerchio
ostinato
di silenzi muore
il
vivo acquatico
scirocco
che sgomenta il velo
di
pietà irreale dei miei pastelli.
Quando
sul retro, invece, leggi
sottovoce:
«Partono tutti,
tu
tienimi stretta».
E
chi sa quanto ancora il paesaggio
resterà
confuso e incerto.
Di
mattina, per poco
io
mi faccio re di questo regno
disabitato
e lo percorro
rapidamente
senza scorta
vigilando
alle sue soglie estranei
segni
di altre vite,
amo
la luce che scalda i rilievi
inclinati
della mansarda
e
la luminosità dei suoi riflessi
l’amo
quando rimbalza
da
questo paesaggio antico
alle
secche foglie dei libri
e
anche quando bevo
il
profumo della sera alla finestra
e
la luce mi circonda
mesta
di piazze abbandonate
nell’ombra
del soggiorno.
Di
mattina, mi rilasso nella vasca
mirando
la giogaia boscosa
dei
colli più alti,
mi
rovescio col dolente arioso
di
un motivo western
l’addio
di un sogno addosso
e
un pensiero fuma
nella
tazzina di caffè
che
bevo, nel suo fondo
amaro
di destino e desiderio,
sentirmi
altrove.
Del
giorno, quando torno, avanza poco.
Ravioli,
un libro, una telefonata–
riesco
solo ad abdicare il malumore
di
chi va a letto e non ricorda
niente
al suo risveglio.
Dall’aria
mi protegge il tetto
e
le reti contro cimici e zanzare,
mi
affaccio per vedere l’universo
che
illustra antiche trame
erranti
in un deserto
fatalmente
in ritardo sull’uomo
la
storia il suo progresso
e
io pazientemente lo attraverso
di
notte, piano, nel buio
limbo
del mio studio.
Di
me tutto si tace.
L’acqua
torna a scorrere
dal
rubinetto, a respirare
come
un fiato le voragini
di
tufo che sorridono d’estate.
Nullus nuncius
Chi
mi fissa di voi in questa lucida carta?
Che
brusio è scomparso dallo schermo
muto
di questa kodak?
Trent’anni
e una parola per tenere
quelle
pupille, filmarne il verso
giusto
che esse seguirono in un frangente,
il
loro consenso fulmineo,
l’attimo
di meraviglia, non basta.
Verrò
ad abitare un giorno con voi
dove
non scorre linfa, non trasuda
spirito
di focolare e la pietà s’appanna.
Pure
finirà tutto, in un ostensorio cesellato
accuratamente,
o in un calice
sollevato
sull’altare; cesserà l’andirivieni
fra
me e voi che mi aspettate
laggiù,
sulle scale, dopo un matrimonio.
Un fiore
Che
sappiamo noi di noi oggi che io di qua
e
tu di là rompiamo le regole dell’amore,
quello
che nella poesia rima unisono con cuore
e
molte altre, più tenere, rinfocola,
che
girano per casa in una sera come questa
una
carota al pinzimonio, un film di storia
alla
televisione, il caffè d’orzo–
che
sappiamo più? sono parole
che
se tu fossi dove io sono
moglie,
o viceversa, dovrei dirti
è
pronta la fascina e pesa
apri
la porta prima che lo chieda,
e
darti il plaid caldo per le ginocchia
prima
che tu abbia freddo,
e
quando a casa torno dal campo
con
la notte, se già dormi, portarti un fiore.