Sans
passion il n'y a pas d'art
Calamus
Almanacco
di poesia
Giovanni Raboni
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1.
Vedo che oscuramente militare
Vedo
che oscuramente militare
è
ormai di tutti, nati e nascituri,
la
vita. Ma no, non penso a futuri
caudillos
- non nel senso che è da dare,
storico,
alla parola: più sicuri
e
invisibili mezzi per domare
sensi,
intelletto, verità mi pare,
non
da oggi, che manovrino i puri
messi
del capitale, tanto più
forte
quanto più è debole lo stato.
E
che poco ci resti (saltar giù?
abiurare?)
per sottrarci al latrato
silenzioso
dei siniscalchi, più
assordante
degli inni del passato.
2.
Preghiere per i morti - tutta qui
Preghiere
per i morti - tutta qui
la
mia fede? So solo che ogni sera,
così
rispondo, aguzzo la mia povera
vista
nel buio per scoprire chi
più
m’aspetta, chi mi fa cenno di
là
d’un’asciutta e tersa primavera
del
‘40, ‘41 all’austera
ombra
dei platani e se e come io lì
potrò
col mio corpo risorgere, ombra
protettiva
e tremante fra le care
tre
ombre così intente a conversare
che
né l’erbaccia che il giardino ingombra
né
la luce ormai presta a declinare
fa
per loro le dalie meno chiare.
3.
Morendo, morti ricapitola uno
Morendo,
morti ricapitola uno
stolto
solstizio. Quanto è morto è morto
a
nostro scorno e vergogna, nessuno
s’azzardi
a non pensarlo: e più nel torto
è,
si capisce, chi voleva il torto
raddrizzare
- noi tutti uno per uno,
compagni,
amici! orfani d’un aborto
cruento,
commensali d’un digiuno
senza
indulgenze… Non vale il perché,
soltanto
il cosa, il come. Nelle spire
dell’accaduto
uno non ha per sé
più
fiato, figuriamoci per dire
che
fra i due mostri del secolo se
uno
è morto, l’altro ci fa morire.
4.
Niente può rovinarmela la festa
Niente
può rovinarmela la festa
del
mattino, quando il sole che dà
fiato
alla sua raucedine ridesta
a
dolori e crimini la città
che
amo e nel cuore la felicità
d’esserle
ancora complice. S’arresta
a
questo confine la potestà
di
numeri e fantasmi, qui la cresta
sbrindellata
alza la vita e tace
l’arcangelo
del rimorso. E’ la luce
la
mia morfina. Su, mi dico, datti
da
fare, mostra di che sei capace,
ficca
mani e naso dove riluce
come
un tesoro l’ovvietà dei fatti.
5.
Borghesi come tanti allora, amanti
Borghesi
come tanti allora, amanti
dei
buoni libri, morti due col cuore
fulminato,
due fratelli, regnanti
De
Gasperi e poi Scelba, d’un tumore
l’altra,
che non si dice, che va avanti
pochi
mesi a questa età in cui si muore,
si
muore e basta, da vivi, da quanti
giorni
o secoli l’anima ha pudore
di
parlarvi che non sia in sogno oppure
in
latino come ai santi, a persone
della…
oh no, non vi pronuncerò
col
nome vero, fratelli che so
padre
e figlio nel sangue delle icone,
madre
maschile fra le essenze pure.
6.
Non di questo presente ora bisogna
Non
di questo presente ora bisogna
vivere
- ma in esso sì: non c’è modo,
pare,
d’averne un altro, non c’è chiodo
che
scacci questo chiodo. Né a chi sogna
va
meglio, che le più volte s’infogna
a
figurarlo, e fa più groppi al nodo
se
cerca di disfarlo (sta nel todo
chi
si crede nel nada, sempre) o agogna,
ma
con che lama? troncarlo. La mente
infortunata
non ha altra fortuna,
dunque,
che nel pensiero? Certo a niente
più
la mia si consola che se in una
deposizione
o un offertorio gente
dispersa
solennemente s’aduna.
7.
Senza desideri, senza speranze
Senza
desideri, senza speranze
che
si potesse vivere, una volta
non
riuscivo a crederci. Adesso, molta
vita
dopo, mi domando se anzi
non
sia così, dai già funebri avanzi
di
quelli e di quelle una buona volta
come
da una placenta o un guscio sciolta,
che
la mente (l’anima) un po' più avanza
nella
gioia… e pensandosi sostanza
che
pensa e nomina sé e ogni cosa
senza
rimpianti assapora la storia
d’ogni
istante, d’ogni salmo la gloria,
polvere
prodigiosa che si posa
sulle
fioche reliquie della danza.
8.
Gioia mite e ultima mite febbre
Gioia
mite e ultima mite febbre
d’ottobre,
che madornale fortuna
mai
vi tramanda e come, per che cruna
fortunosa,
sfuggendo a che latebre
e
da che pesti tocche, da che lebbre
risplendete?
Lenta aria o nessuna
vedo
in effetti nelle fronde e l’una
viva,
l’altra già vizza, e assidue palpebre
sbattervi
la notte. Forse pietà
hanno
qualche volta, per incantesimo
di
stagione, anche i micidiali gas
combusti
- ma non loro, non i ras
che
come Eolo, anzi come il medesimo
Zeus,
dei venti hanno la potestà.
9.
Essere… essere, sì, intimi, nel cuore
Essere…
essere, sì, intimi, nel cuore,
nel
midollo, con chi è noi, con chi
d’altro
noi siamo - forse è tutto qui
il
segreto, è così che si fa onore
alla
vita se è solo per ardore
che
le duecentosei ossa non si
dissaldano
innanzi tempo, se è di
estraneità
alla vita che si muore,
con
minima pena, come lasciamo
una
casa senza fuoco. E forse, ossa
dimenticate,
una provvida mente
ci
penserà, due amanti! e nuovamente
vivi
traslocheremo dalla fossa
all’apparirci,
all’esserci che siamo.
10.
0 cari infinitamente, spariti
0
cari infinitamente, spariti
dal
tempo, non dai sogni, precursori
nostri
nelle tenebre, voi se fuori
del
buio c’è ancora buio o a più miti
consigli
lo riducono i bagliori
senza
gloria, gli stenti, intirizziti
aculei
d’un’alba (e, ascoltando, arditi
bisbigli)
voi soli potreste, a onore
d’un
altro vero, dirci, amate teste,
torsi
venerati, e non dite mai,
mai!
perché sia intera la libertà
del
nostro arbitrio, perché non celeste
ma
cieca e folle e sanguinosa sia
intanto,
nell’orto, qui, l’agonia.
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