VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Giovanni Raboni

   

 
1. Vedo che oscuramente militare
 
Vedo che oscuramente militare
è ormai di tutti, nati e nascituri,
la vita. Ma no, non penso a futuri
caudillos - non nel senso che è da dare,

storico, alla parola: più sicuri
e invisibili mezzi per domare
sensi, intelletto, verità mi pare,
non da oggi, che manovrino i puri

messi del capitale, tanto più
forte quanto più è debole lo stato.
E che poco ci resti (saltar giù?

abiurare?) per sottrarci al latrato
silenzioso dei siniscalchi, più
assordante degli inni del passato.


2. Preghiere per i morti - tutta qui

Preghiere per i morti - tutta qui
la mia fede? So solo che ogni sera,
così rispondo, aguzzo la mia povera
vista nel buio per scoprire chi

più m’aspetta, chi mi fa cenno di
là d’un’asciutta e tersa primavera
del ‘40, ‘41 all’austera
ombra dei platani e se e come io lì

potrò col mio corpo risorgere, ombra
protettiva e tremante fra le care
tre ombre così intente a conversare

che né l’erbaccia che il giardino ingombra
né la luce ormai presta a declinare
fa per loro le dalie meno chiare.

 
3. Morendo, morti ricapitola uno
 
Morendo, morti ricapitola uno
stolto solstizio. Quanto è morto è morto
a nostro scorno e vergogna, nessuno
s’azzardi a non pensarlo: e più nel torto

è, si capisce, chi voleva il torto
raddrizzare - noi tutti uno per uno,
compagni, amici! orfani d’un aborto
cruento, commensali d’un digiuno

senza indulgenze… Non vale il perché,
soltanto il cosa, il come. Nelle spire
dell’accaduto uno non ha per sé

più fiato, figuriamoci per dire
che fra i due mostri del secolo se
uno è morto, l’altro ci fa morire.


4. Niente può rovinarmela la festa

Niente può rovinarmela la festa
del mattino, quando il sole che dà
fiato alla sua raucedine ridesta
a dolori e crimini la città

che amo e nel cuore la felicità
d’esserle ancora complice. S’arresta
a questo confine la potestà
di numeri e fantasmi, qui la cresta

sbrindellata alza la vita e tace
l’arcangelo del rimorso. E’ la luce
la mia morfina. Su, mi dico, datti

da fare, mostra di che sei capace,
ficca mani e naso dove riluce
come un tesoro l’ovvietà dei fatti.

 
5. Borghesi come tanti allora, amanti

Borghesi come tanti allora, amanti
dei buoni libri, morti due col cuore
fulminato, due fratelli, regnanti
De Gasperi e poi Scelba, d’un tumore

l’altra, che non si dice, che va avanti
pochi mesi a questa età in cui si muore,
si muore e basta, da vivi, da quanti
giorni o secoli l’anima ha pudore

di parlarvi che non sia in sogno oppure
in latino come ai santi, a persone
della… oh no, non vi pronuncerò

col nome vero, fratelli che so
padre e figlio nel sangue delle icone,
madre maschile fra le essenze pure.


6. Non di questo presente ora bisogna
 
Non di questo presente ora bisogna
vivere - ma in esso sì: non c’è modo,
pare, d’averne un altro, non c’è chiodo
che scacci questo chiodo. Né a chi sogna

va meglio, che le più volte s’infogna
a figurarlo, e fa più groppi al nodo
se cerca di disfarlo (sta nel todo
chi si crede nel nada, sempre) o agogna,

ma con che lama? troncarlo. La mente
infortunata non ha altra fortuna,
dunque, che nel pensiero? Certo a niente

più la mia si consola che se in una
deposizione o un offertorio gente
dispersa solennemente s’aduna.


7. Senza desideri, senza speranze
 
Senza desideri, senza speranze
che si potesse vivere, una volta
non riuscivo a crederci. Adesso, molta
vita dopo, mi domando se anzi

non sia così, dai già funebri avanzi
di quelli e di quelle una buona volta
come da una placenta o un guscio sciolta,
che la mente (l’anima) un po' più avanza

nella gioia… e pensandosi sostanza
che pensa e nomina sé e ogni cosa
senza rimpianti assapora la storia

d’ogni istante, d’ogni salmo la gloria,
polvere prodigiosa che si posa
sulle fioche reliquie della danza.

 
8. Gioia mite e ultima mite febbre

Gioia mite e ultima mite febbre
d’ottobre, che madornale fortuna
mai vi tramanda e come, per che cruna
fortunosa, sfuggendo a che latebre

e da che pesti tocche, da che lebbre
risplendete? Lenta aria o nessuna
vedo in effetti nelle fronde e l’una
viva, l’altra già vizza, e assidue palpebre

sbattervi la notte. Forse pietà
hanno qualche volta, per incantesimo
di stagione, anche i micidiali gas

combusti - ma non loro, non i ras
che come Eolo, anzi come il medesimo
Zeus, dei venti hanno la potestà.


9. Essere… essere, sì, intimi, nel cuore
 
Essere… essere, sì, intimi, nel cuore,
nel midollo, con chi è noi, con chi
d’altro noi siamo - forse è tutto qui
il segreto, è così che si fa onore

alla vita se è solo per ardore
che le duecentosei ossa non si
dissaldano innanzi tempo, se è di
estraneità alla vita che si muore,

con minima pena, come lasciamo
una casa senza fuoco. E forse, ossa
dimenticate, una provvida mente

ci penserà, due amanti! e nuovamente
vivi traslocheremo dalla fossa
all’apparirci, all’esserci che siamo.


10. 0 cari infinitamente, spariti 
 
0 cari infinitamente, spariti
dal tempo, non dai sogni, precursori
nostri nelle tenebre, voi se fuori
del buio c’è ancora buio o a più miti

consigli lo riducono i bagliori
senza gloria, gli stenti, intirizziti
aculei d’un’alba (e, ascoltando, arditi
bisbigli) voi soli potreste, a onore

d’un altro vero, dirci, amate teste,
torsi venerati, e non dite mai,
mai! perché sia intera la libertà

del nostro arbitrio, perché non celeste
ma cieca e folle e sanguinosa sia
intanto, nell’orto, qui, l’agonia.


Home