Sans
passion il n'y a pas d'art
Calamus
Almanacco
di poesia
Carmelo Pirrera
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1.
Stanza con vista sul mare (I)
Stormi
di procellarie
hanno
accompagnato lunghi mattini
e
le cronache dei guasti - Chernobyl -
confuse
a frivolezze d’ogni giorno.
“Carpe
diem”: si vive giorno per giorno
ci
si sbarba
senza
far caso alle nuvole
che
ci invadono il cielo
e
spazi d’anima.
“La
carne è triste, ahimè!”
Nessuno
legge libri
o
scrive lettere.
Non
rimane uno straccio di certezza.
Sogni
consunti spingiamo con fatica
per
stagioni e mattini,
lunghi
mattini - hai detto - attraversati
da
voli e brividi,
con
addosso cuciti come un saio
tutti
gli inverni della scontentezza.
2.
Stanza con vista sul mare (II)
Sempre
ho dinanzi agli occhi
la
finestra: -Vista sul mare.
Mobilio
dozzinale
e
paralumi con qualche pretesa.
Il
mio viso disfatto dalla veglia
s’incontra
nello specchio: gli occhi rossi,
in
questa stanza, terra di nessuno.
E’
Manet che intristisce alla parete
muto
tra cose mute
e
io ti chiamo con mille
nomi
di donna. Diotima.
Qualcuno
t’ha detto di un frutto
diviso
in due parti e gettato
sulle
strade del mondo;
t’avranno
narrato viaggi - e ritorni
tacendo
le soste forzate
in
città senza nome: una stanza
con
vista sul mare
e
passi discreti, leggeri
nei
corridoi in penombra.
Non
sapremo mai chi è passato
ed
è come
non
avessimo avuto mai occhi.
3.
Stanza con vista sul mare (III)
Le
soste - dico - dove raccolto s’aduna
ogni
riporto di pena. Ci sentiamo
un
po’ zingari, un po’ naufraghi
o
le due cose insieme.
Né
le pareti somigliano
a
pagine ove indugiava
la
mano che muove il racconto.
Varranno
qui le norme d’una volta:
prima
donne e bambini
poi
i vecchi
consunti
da lunga pazienza,
Anchise
con api negli occhi.
Su
paesaggi d’ingenua cartolina
si
dilata silenzio
e
si estende
come
una coltre di scordata sera
e
di mille altre cose che furono
e
sono lago e memoria.
4.
Stanza con vista sul mare (IV)
Lago
triste dei cuore,
lago
triste
nelle
mie mani un’altra stella rotta.
Confusi
volti di perduti amici
ciechi,
dietro polene senza occhi.
Uno,
un poeta,
nacque
e morì a maggio.
“E
dissi: - 0 frati che per mille milia…”
Le
frasi rotte di discorsi rotti
ritornano
alle labbra,
ci
fu chi disse: - Cazzo! non è gioco
se
a barare di mette pure Iddio.
Ma
bisognava ritornare al vino
alle
femmine, al mare. E ritornammo.
Stanza
con vista sul mare.
Oggi
ho scoperto di non amare
i
numeri e le chiavi,
solo
vele lontane.
5.
Stanza con vista sul mare (V)
Ossòlemmìo.
Intanto un altro inverno
s’avventa
a scardinare le finestre.
E’
un purgatorio
questa
sala d’aspetto-dormitorio
e
nessuno che parta. Qui s’aspetta
sferruzzando
nel buio una coperta
di
fiati e di sospiri,
altro
legno o convoglio
che
muova verso un sonno silenzioso
di
bianche ombre,
bianco
come un paese senza nome.
Chiudi
ora gli occhi.
Le
parole danzano
al
loro stesso suono, smemorate
estranee
già alle partì del discorso.
Non
ricordare nomi, volti. Gli occhi
li
hai già perduti in cieli d’antracite.
Respira
piano.
6.
Stanza con vista sul mare (VI)
La
farfalla di Brodskij
Ho
tutto questo dentro,
tutto
questo
mentre
ti parlo contro un muro d’ombra
di
libri che non servono a nessuno
(il
mio castello inutile di carta),
mentre
ti chiedo che colore hai gli occhi
cercando
il mare forse, un altro mare.
E
la mano che plasma le parole
come
ombra d’uccello prigioniero ,
esita
nel tentare una carezza.
Non
puoi capire,
ho
tutto questo dentro
ed
altro ancora,
ti
ho detto già dei numeri e le chiavi.
Tacerò
delle rose senza maggio.
Dalla
tua stanza non si vede il mare
ci
crediamo distanti (una fortuna).
Ma
stormi di procellarie, Solemmìo,
da
sempre ci accompagnano invisibili.
7.
Il porto
C’è
tutta una abusata
letteratura
sui porti
che
li popola spesso
di
puttane
con
gonne corte
e
lunghissimi bocchini,
di
ciurme avvinazzate,
di
sirene.
Niente
di tutto questo,
solo
noi
e
nella fioca luce voci fioche.
Noi
e il nostro silenzio,
un
greto di loquela disseccata.
E
nel silenzio
ognuno
chiuso e solo.
Noi
taciturni e il mare,
ferma
distesa nera che separa,
privo
di risonanze e di aggettivi,
nero
di colpe.
Solamente
nero.
8.
Lettera dal polo
per
Iosif Brodskij
L’incendio
l’esilio la neve
e
una farfalla in prestito - mai resa
annovero
tra i debiti insoluti.
Ed
anche nomi d’alberi: betulle
cenere
e boschi
-
la quercia di un racconto
ed
imperi nel fondo degli oceani
anch'essi
impelagati nel discorso.
Ecco
ti scrivo,
Ragazza
dei Botticelli
-
Venere o Primavera
prigioniera
nel
tuo maggio di rose.
L’esploratore
qui si mangia i cani
e
piange su una carta disegnata
di
fiumi azzurri , inchiostri disseccati
per
vanita di sterili parole.
E
l’esule si sta mangiando il cuore.
Immagini
dell’Est
trovano
spazio nella nostalgia,
anch'essa
cane dietro la sua coda
e
iniziali, maliziose alludono
a
una marca di whisky
ora
che il freddo spinge nelle bettole
Ahab
e Nemo
-
compagni di un solo naufragio,
le
batbe inverdite di mare.
(il
cuore costante)
9.
Traghetto
Duello
all’ultimo sangue
per
la stella che oltre la foschia
ammiccando
con moto impercettibile
trasmette
al capitano
-
il solo che la intenda - i suoi messaggi.
Un
fuoco sulla riva è altro segnale
di
naufragi appena simulati
e
di speranze appese
a
corroso sartiame.
Bocca
rossa, non vale una crociata
né
avventura o sospiro
il
tuo richiamo.
Le
stelle sanno e dicono tacendo
favole
storie e tempi di ventura
qui
frittura di pesce
per
la ciurma.
10.
Il marinaio di Colombo
L’uomo
che gridò: - Terra! Terra! Terra!
aveva
gli occhi pieni di mare
e
nette orecchie, insonne,
il
suo respiro.
-
Terra!
e
già pensava alberi d’uccelli
mattini
d’erba
case
donne bettole
viavai
di gente allegra nei mercati
tiepide
spose farsi alle finestre
tra
vasi di basilico.
E
sospirava: Terra
(addio
gabbiano bruno)
quasi
piangendo: - Terra
pensando
foglie e bare. Terra,
diceva:
- Terra
con
una nuova nostalgia di mare.
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