Poetare non nuoce
Segno
in versi
Raggio
di porto
Sono
nato da
una madre calda
A
ruota seguimi
e nuota
Poetare non nuoce
Poetare
non nuoce
dei fili
il setto
contuse
le parole
poiché
assemblate in anatemi
da cosche
di poeti.
Davanzali,
pietre
da gomito
per l’uso
consumate,
levigate
dal traslare
di ragioni
pensate.
In fondo,
nella notte
si poeta
dalle case,
si rischiara
la buia corte
di quel
che è ignavia
o regia
morte.
Segno
in versi
Segno in
versi
ed ove
mai erode
il mondo
perso
io per
converso
verso in
segni
Raggio di porto
Raggio di
porto
còlto
di sole,
senza
rimpianto
contemplo
stagione,
continua,
infinita
davanti.
La falce
del sole
perenne
speranza d’amore.
La marcia
poi
trepida
avanza,
delusa,
collusa,
ma subito
esclusa.
Stanziale
in quaderni
dai vari
colori pastello,
nei mari
abbaglianti del Sud.
A volare,
a volere,
a colmare,
a deviare
di fronte
ai portali
del sogno,
che in
pace regnano
nel regno
reale,
di chi
vuol solo vedere,
senza pensare,
ancora,
e poi ancora,
l’unico
altare,
compìto
e solare:
quel sorriso
ammansito del mare.
Esile la
notte
epoca
traslata
e casta
in umili
pose tonde
esigue
di colore.
Tuttora
è calda notte
e veglia
sul declino
supinamente
estesa
magnificamente
erosa.
Sono nato da una madre calda
Sono nato da una madre calda,
dovunque
conduco me
ve la ritrovo,
ma non si
può dedicare
il mare
ai deboli di
stomaco e per questo
sèguito
a fuggire.
Ai fulmini d’incanto;
neri
particolari,
film
americani e quant’altro
devo ancora
vedere con gli occhi
liberi
dall’orrore,
le
opportunità d’errore,
sistemate e
ramificate
nel campo
demarcato
dal filo
spinato
dei convivi
ludici.
Questo mi fa felice: il nulla
rovesciato,
controvertito,
capovolto,
ribassato
ancora e per chissà
quanto altro ancora.
Io: il principio del sole, il
fine del mare,
mi volto,
m'illumino e scoloro.
Un dolore
composto.
Le maniche lunghe e le medie soluzioni
fanno la
felicità dei
poveri e dei ricchi.
Sono sano, sino a che mi lusinga
la vista
questo
delirio di visioni barbare,
e devo dire:
solidarietà
è costume di qualità,
consumo nei
consumi
convinto
dalle mezze verità
dei
compìti saggi.
Dalla televisione avanza un rumore
di cannone
dell'amore,
tante volte
ancora lo ascolto
col rancore
del poeta irrisolto,
avvolto in
bande nere
come bigio
errante cavaliere.
Nella politica solidale
cercherò
solitudine nei
consessi salutisti,
mi
preserverò dal dolore
e
comunicherò ancora,
ancora, ancora,
ché il
delirio si consuma
nel mézzo,
Domani è l'oggi dei tardivi,
nativi poi,
oggi è
il ieri dei presenti
mai e poi.
non
s’è mai al troppo-pieno,
non mai al
troppo-vuoto
poco persuasi
nel troppo-troppo.
Si è poco nel troppo,
rudimenti
emancipati
e santi
devolutori di rimpianti,
edulcoranti a
manti,
véndici
e perdenti,
guasti nei
contatti,
simbiotici a
concetti,
duplici e
compatti.
Il mondo si
ritira per deliberare,
alcuni
sentenziano dal mare della
tranquillità,
ripudiano il
potere assordante.
Domani sarà l’impegno a
decidere per me,
oggi non ci
penso nemmeno
nemmeno un
po’.
Resterò
guardingo nel
posto di frontiera
poi
mostrerò le mani a
chi temerà l’inganno
poi
rovisterò nel fuoco,
poi
enuncerò il verdetto;
per finta
detto, si capisce,
così
come si mangia,
come si ride
oppure ancora
si piange.
A
ruota seguimi e nuota
A ruota seguimi e nuota
senza quel
senso di muto dissenso
o col malore
del cupo rancore
avventi
dolenti
accessi
più spenti
attraverso
domìni
e portali
immorali
lumini a
colori
tenui mortali
un fiume d’acqua liscio
converge al
mattino nel vasto
porto
dei vinti
contenti perfino irridenti
sequenze imbandite
di politiche
anemiche
docenze
indecenti dementi
vincenti
gaudenti
in contesti
tremendi
domani v’è posto al solito
posto
nel male
tranquillo delle città
nel quieto
sapore della viltà
tra i vezzi
repressi di muti
congressi
ove si
struggono le personalità
di fedeli e
ammansiti affiliati
io comando sorrisi ostinati
domani
v’è posto nell’aldilà
comunque
v’è posto nell’aldilà
ognuno si
guarda dall’aldiquà
sogghigna di
scorno e mediocrità
domani
v’è posto tra le
rovine
si goda
dell’estasi mattutine
un molle serpente si arrotola
e mente
suadente
consente un
sorriso invadente
al dente
seguente
di belli e carine
son colme
vetrine
di solite
colpe
donne e
bambine
e fan
sostanziose polpe
d’impasti e
misere colpe
che osservano
macule sui loro
vestiti
che contano
il tempo
consegnano il
mondo
al peggio del
male
che vi rimane
dove l’imago
si somma al cielo
compianta nel velo
soggiace più ingorda
con sguardo distratto
su povere genti
la verità che menti.