1.
da questa altura azzeriamo
2.
avremo neve e turbini
3.
il coccio rotto, dal vaso
4.
cascata di fogliami e fiori
5.
qui le distanze vanno
6.
Gioco
7.
Doppio
8.
Metafore dal vento
9.
Vite, errori
10.
Fede?
11.
Sapevano tacere, certo, quando le rive
12.
Adesso che la rugiada irride sui rami
1.
da questa altura azzeriamo
da questa
altura azzeriamo
prati
verdissimi,
muschi
del ponte
e nel declivio
la strada
polverosa che conduce
ai campi
da tennis
due bianchi
fantasmi si
ributtano
una pallina
(potresti
chiedermi ora
del
sempiterno
ego, dello sfascio,
dei tanti
menefrego, dell’amore)
(ma non
ti sfiora il sospetto
il dubbio
d’essere già
a fuoco,
nel centro,
nel mirino,
cara?
senti
qualcuno
già spara)
2.
avremo neve e turbini
avremo neve
e turbini
se il vento
rafforza
di là
dai monti
i silenzi padani
brinati
come archetipi
d’una
tremante
stagione
scoppiano
su un mare di ghiaccio
tutto qui
è possibile
uscire
dalle solite
dimensioni,
anche smarrire
il più
lucido
strumento
d’analisi
trapassare
nebbie
saltare
croci e morti
amare
la quieta
essenza
dell’esistere.
3.
il coccio rotto, dal vaso
il coccio
rotto, dal vaso
l’oleandro
spunta
appena
il vento
muove un
fresco di campagna
ciò
che sa morire e che torna
nell’estasi
dell’alba, nell’attesa
di un
silenzio
che dilata
alberi
fiori e prati
nella
distanza
accesa
del mondo
forse
qui
respira
l’assoluto
4.
cascata di fogliami e fiori
cascata
di fogliami e fiori
spazio
di muschi e d’acqua
che sgocciola
e trilla mentre gira
in ghirigori
strani intorno ai pini
(parla?
ha una voce questo luogo
di lutti,
tra sassi e croci bianche
e tombe
dove durano
memorie?)
vi muore l’invisibile
assolo
di cicale nella calura
dietro
un sole avvampante
(anche qui
l’estate ritorna
come ogni
stagione che muta
e trova
i suoi giorni, le offese,
con voce
d’acqua con lo squamarsi
delle foglie,
tra i sempreverdi
immobili
nell’estate che sale
con allegria)
5.
qui le distanze vanno
qui le distanze
vanno
da quinte
d’alberi
a un filare
di pioppi
i prati
sembrano stellate
praterie
di luce
ogni evento
è
come un conto alla rovescia
o un grido;
attendo
che si apra
l’ineluttabile,
un dio
che sorrida
o che rifiuti
anche un
desiderio di voli
tra un
coro di siepi sottovento
o un
vaneggiare
di fili, d’echi
verdissimi
6.
Gioco
Era un gioco
da folli e
come una
calamita che
accentra
eterno e tempo,
permette
che un nucleo di grazia
infinita
sia universo
che trascenda
la vicenda
della nostra vita.
Era un gioco
da folli e
come
guardando
indietro
l’ombra
- la presenza di un me stesso
altro da
me che mi recupera,
che allieta
nell’ombra
il mio
passato e pure
rinnovella
il presente
con quel
suo esiguo
movimento
nello spazio
e nel tempo.
7.
Doppio
Una forma
senza vita
evocata
dall’astrazione,
dal pensiero
folle di non
appartenermi
e pure di morire.
La battaglia
con l’Altro -
un me stesso
esecrabile e fluente
a cui concedo
piaceri
o pensieri
proibiti,
a cui ricorro
per trucchi
di vita,
per false chiavi,
per consensi
malvagi,
da cui
mi guardo ogni istante
perché
è il solo, l’unico,
che senza
accordi
mi
tradirà.
8.
Metafore dal vento
Il vento
questa sera
porta
metafore,
pensieri
segreti,
da lontano
il sofferto
patire delle vittime.
Un credo,
allora, innocente,
privilegio
di chi è forte
internamente,
che sia sostanza
per giudicare
o umile
connubio con le vittime,
creatura
fra creature.
Ma dov’è
la fonte del vento,
la libera
sorte cieca
che inquieta
la nostra ottusità?
9.
Vite, errori
Un’ala sullo
specchio d’acqua
passa e
si porta dietro
una parte
di me,
una del
mondo,
le cose
che non durano,
che sono
state, che sono
e l’attimo
è parte
di qualcosa
di grande
che stentiamo
a capire,
forme
fiorite,
vite,
errori
e come questo
volo
destinate
a perire.
10.
Fede?
Il supplizio,
il muro d’indifferenza,
il silenzio
sulla violenza: diventa,
presto,
passato, lascia che cada
ogni
reticenza,
decenza
di una
fede che non ha più
sostanza.
Fede?
Desiderio
smodato
di esistere,
di ritrovare
una casa
promessa,
le vittime
dell’esodo,
tutte le
vittime
che non
hanno più lacrime.
11.
Sapevano tacere, certo, quando le rive
Sapevano
tacere, certo, quando le rive
eran piene
di foglie e in silenzio
accendevano
fuochi. I passeri
ai rumori
secchi dei rami spezzati
scappavano
a stormi, per poi tornare
circospetti,
quando il fuoco saliva,
calmo,
qui e là, al limitare dei prati e il fumo
con l’odore
caldo del ginepro bruciato,
della
robinia,
che ci mette del tempo
a bruciare
e loro, gli uomini
con gli
stivali, s’aggiravano nei campi,
come
sperduti,
ora che l’inverno è a un tiro
di schioppo,
sentivano il freddo annusando l’aria,
mentre
saliva a ondate la fragranza
delle
cidonie,
dell’erba spagna aperta alla sera
sulla scena
del cielo.
12.
Adesso che la rugiada irride sui rami
Adesso che
la rugiada irride sui rami
l’estate
di San Martino e un sole
araldico
ci sventaglia davanti
fantastici
turgori
di luce
sulle stoppie, come scoppi
di lampi
e s’azzuffa il vento nei canneti
a stanare
profumi
di lumache
e di funghi, adesso
che l’ora
del pastore ci sorprende
con un
gregge ammansito
da latrati
errabondi, prova, adesso,
per un
attimo, un istante a pensare
a quando
te ne andrai o anche solo
all’impercettibile
metamorfosi
che
attraversa
fulminea
le cose,
non te ne accorgi,
mai, anche
tu, adesso, pensa,
che la
sera infinita
s’è
coperta d’impalpabili ombre,
un’ombra.