L'attimo
che segue
L'uomo
della luna
Giudizio
universale
Nuova
generazione
Centrifugo
In
the mood for
love - I
In
the mood for love - II
Morfina
Sapranno
quello
che hanno fatto
L’elogio
della
dialettica
Contagioso
L'attimo
che segue
Inconfutabilmente mi apparecchio
a vivere,
stanco
dell’illusione che mi
pervade,
senza sogni
da usare solo segni
nella sabbia
logiche
sequenze di dna su volti
smarriti,
provvisoria sostanza che sussiste
anteriormente,
amore
pregresso
conoscenza
per tutti promessa
in internet,
male che si
trasforma in peggio
per poi
essere bene e meglio
dappertutto,
urto dopo
urto, particella che
si forma
fino a
implodere chiedendo il
perché,
traccia umana
o tedio tattico
univoco,
arte di
rappresentare l’irriconoscibile
di strappare
i fogli dattiloscritti,
i testamenti
olografi i
graffi del nulla sul
cielo sereno.
Non tace il tempo il cui profitto
nuoce a noi,
malmostoso
protrarsi dei minuti
nella luce
soffusa delle
stelle come giardino
fiorito in
impressione
di fuga, fugace lontananza
cachessia
dell’essere, imbarazzo
cosmico
mio amore che
muove i primi passi
nell’universo.
Ma dopo resta il silenzio allungato
dell’agonia,
senza
più fiato né
forza per gridare il suo lacerante
disappunto,
lingua assiderata, parola assoluta
vuoto che
evapora nell’espressione.
L'uomo
della luna
Capovolge il giorno nella notte,
la vita
nella morte,
lo scherzo nel grido
ultimo
del vuoto,
ride: sasso
che rotola dalla
montagna,
piange:
preghiera assoluta,
ama: nudo
corpo in corpo nudo
Andy chiama
l’universo,
viaggia
attraverso il senso senza
senso,
il respiro di
assenso
di noi
mortali televisivamente.
Per poco è molto ma non
è tutto quello
che resta,
rimane il tempo di
volare
di leggere il
Grande Gatsby,
di cercare
l’accesso al cielo,
il peso scuro
del pensiero
pensato, soppesato
male espresso
in note sbarazzine,
abbozzato
sullo schermo.
Credere e voler credere che non
ci sia altro se non
ciò
che si vede, pensando
soffice bugia
che soffia d’estate
sui campi gialli di
grano,
maturo modo
di percepire se stessi
come mancanza
manna che si
mangia ma non si
sa il perché,
sospiro
immagine nell’immagine che immagina
d’impazzire
sequenza
fuori sintonia, foto
sfuocata
canzone
stonata, rima baciata
con la lingua
cazzata
appare ma non è.
Giudizio
universale
La lotta impari con il sesso che
nasce,
prolifera
l’adulterio delle cose
col nulla
e tutto trama
affinché
il viandante stracco
smarrisca la
strada,
cantando
carmi cremisi
e navigando su
mari tempestosi.
La plenitudine del web e la planitudine
della vita
come reazione
ad un’azione uguale
e contraria ma
artificiale
nel suo svolgersi
apocrifo, nell’amare
e morire,
maturi frutti che cadono
dai rami.
Idiosincrasia del vuoto che rifiuta
di riempirsi per
diventare
eterno rimando alla
salita scoscesa, urna
d’acqua che
ci compone assillandoci
col tempo morto
ubriacandoci,
depauperandoci
a poco a poco,
nella notte accesa da
lumi che
risplendono e propagano
il niente, mera
morìa
del senso umano.
Agorafobia che spinge ad intasare
internet, a slacciarsi
le scarpe
e camminare scalzi
su freddi pavimenti di
marmo,
ispezione del volto che
si scompone
nel rictus
ictus dell’essere
nati troppo tardi e in fretta
fra il
montare del traffico,
durante una sosta al semaforo
imbelli aguzzini di noi stessi
stesi
mangiati dai
sensi di colpa,
offesi
dagli sputi
della folla assiepata
sui marciapiedi
attorno solo
sangue e saliva
franco il
giorno del giudizio.
Nuova
generazione
Moderno? modem per mezzo di cui
leggere
lo spirito
che aleggia su internet,
il software
sul tavolo ingombro
di niente e fuori,
luddisti che
ludicamente ludibriano.
Sinecura per non fare l’indispensabile
e accontentarsi
del
superfluamente infinito,
sineddoca che dice e non
dice
tace
talché
giace la face che
ci illuminò.
Il maniacale modo di amare delle
nuove generazioni,
a tentoni nel
buio
trovare
ciò che manca
e non poterlo avere,
sentirsi
sfiorare dalla notte
come ipostasi
inventare una cosmogonia domestica
irta di tabulati
e di
fotocopie,
mangiare ma senza assimilare il
concetto,
farsi
pervadere dallo smaliziato
muro del nulla,
nullafacente
oggetto che diventa
soggetto.
Dal mare grifagno cielo cela
tempesta che
s’arruffa e s’avvicina,
ma non piove
ancora
sui nostri
baci silvani, sulle
finestre aperte
dove floppy
disk fradiciamente
inutili
sono messi ad
asciugare, futili
uomini che
combattono il tempo
per speculare
estremismi
e analisi di
mercato,
temporeggiando
sullo schermo
la clessidra.
Centrifugo
Mi sento sprimacciato, pervaso
da niveo
livore,
correo artista rutilante
che dirsi
poeta
non può, ancora
allogano le stelle nel cielo piumoso
d’autunno,
propoli che a
nulla serve se
non a ricostituente
dell’infinita
aporia dell’esserci
e quindi del non-esserci più,
malato
di disarmonica disutilità,
come afflitto
da
combustione interna, con igneo
pudore
da sudore che
estingue ogni lingua
nel moto
perpetuo dell’eterno
amore.
Mai nitore fu più discinto,
imbarazzante
e il mio
corpo azzimato non è
solo su questa terra
che dà
le vertigini e
spara a salve
stucchevole commedia che forza
il melodramma
fino a
baciare la tragedia piccolo
borghese,
combacia
la notte in tutte le sue parti
e non usa
domandare
perdono né assoluzione
caliginoso dilemma mentre scrivo
e memorizzo
mare mondato,
blandisco la confusione la caotica
scissione
degli ormoni
travasati in bile.
In
the mood for love - I
Tu che parli e sei fiamma smossa
dal vento
che non sa
e/o non osa sapere,
piccolo sogno
ghiribizzoso
fatto in un
giorno d’estate
buio altezzoso, carezza cifrata
sulla pelle che fa venire brividi
brevi,
vita la cui brevità irretisce,
sancisce
l’amore e la
morte attimo dopo
attimo
l’afrore del
pube come offerta
sacrificale,
bacio che
divarica le gambe,
non
più per sempre.
Rabbercia cielo contro cielo,
adipe celeste
e capziosa,
scossa che
inietta veleno e mitridatizza
ma l’amo e
non posso ricusare
abbandonare
il mare mosso dei
suoi capelli,
prendimi e non lasciarmi andare,
attendimi nel
solco del vinile,
materia vile
e corrotta già
di per sé
atterrita,
purtroppo
atterrata su
questo mondo ma
non mondata
dagli affanni,
quindi avulsa
rivalsa
pausa
che
querimonia.
In
the mood for love - II
Provo ad amarti e a torturarti
di
baci sul
collo e sulla curva
del
seno senno
che tu mi dai come
nuovo mondo
da esplorare,
la notte calunnia il sonno, spiaccica
nubi in faccia e fa piovere e
grandinare;
androgino il corpo che mi offri
palpabile
palla di
carne che nasconde vita,
bruma e brago
nel mondo, sulla
terra
poveri segni
della croce e null’altro.
Se morte inficiasse il tuo savoir-fare
saprei
fare il
necessario, invece nego
e abiuro
sego il
dubbio e non mi pongo
il problema,
magari donna-computer svilita
traccia da
seguire,
scipita
parodia,
mio solo
eufemismo
da raccontare
poi computare
nel mare
matto di internet,
sola sperequazione, sola speciosa
omertosa
apparizione
caligine sulle collina, incendio
che si propaga
e non si
spegne
e aleatorio
conquide e strugge.
Morfina
Allorché riuscissi a stanare
il dolore
DON’T TELL ME
DON’T TELL ME
magari
infrangendo il giorno
le cui regole
le regalo a te,
ne faccio
dono al mare
buono
al maremoto, al vuoto
che circonda
il vero
disattendo la mia intuizione
d’amore.
Morfina manca nei pensieri per
non dolorare,
sanguino dal cervello
nel centro
perfetto
sto in silenzio
pienamente negligente,
uomo fragile
senza identità,
figlio delle
stelle
pulsare di senso senza
senso
non mi riconosco nelle tue affermazioni
piangi e poi mangi
non lo so
se io
potrò.
Sapranno
quello che hanno fatto
Stillicidio stagnante e roboante
mezzo di
stampa che stampa
munificamente
prodigo di sbagli,
edulcora
l’amore nell’odore della
noia e della
morte;
sine die succedaneo di vita, patologico
pane raffermo
spezzato e dato
a tutti
al rogo alla
foiba alla ghigliottina
come
strumento per
ridurre le sofferenze,
il
patire paure
per penosa speme.
Intrallazzo dei buoni di cuore
con i cattivi
scesi
giù dalla montagna
dopo il discorso
introduttivo
alla filosofia esistenziale,
ubriachi
d’infinito,
fra lupe,
lucciole, lenoni, mezzani
troie tramano
tra di loro,
spalancano le
cosce e accolgono
l’estrema
unzione,
minzione e/o masturbazione,
cinereo corteo che attraversa
la notte,
discetta
d’arte contemporanea,
affligge
e poi
sconfigge internet come
noi divenuti
voi sicofanti
decerebrati minus
habens
le puerpere nei letti di loro
dolore
calore delle
mammelle, sorelle
di pena su
questa terra che scopano
perniciose
scimmie fornicano
favelle
sconosciute.
L’elogio
della dialettica
Coprofagia come remora di comportamento
d’ambiente,
disossarsi,
trattenersi fino
a spolparsi stracco
di tutti noi,
sperduti
sordidamente stolidi
simulacri stereotipati
e poi
fare mercimonio di se stessi e
ingoiare frutti acerbi,
amare indi
scopare indi allevare
sensi di colpa,
sciopero
sciovinista
promiscuità
con pervicace azione nullificante,
lapalissiana
morte e
conduzione di feretri
al camposanto,
fra stridii
d’ossa accartocciate,
belle giornate
per lappare
un cono gelato, malattia
incubata notti fa nata nota nitida
nuoce
fa le corna, nuota nel pelago
che periglia
assomiglia al
miagolìo
magnetico del server
incomunicante,
stremato
da cui si evince furto e danno,
senza crimine,
senza legge,
comune
disdoro umbratile dono
al cui
tattile
abbandono
è
facile arrendersi.
Contagioso
Proseguo l’autopsia dei giorni
stanchi,
l’omogeneo
raccontare favole
per poi
smentirle
bruscamente,
oltre il mare c’è dell’altro,
più del cielo
adunato di
stelle
più di
me stesso su questo
mondo alieno
c’è l’attimo nella notte
che attinge al nulla,
serafico
diaframma da dilacerare,
diafano amore
da amare.
Quando
è iniziata la resezione
del mio cuore
ho pianto un
po’
ma poi la
ripetitività
mi ha salvato,
sobillandomi
ad altre
azioni, ad altre punizioni
magicamente
sano sulla faccia
della terra,
nello sterro
una discarica di
modem ormai
inservibili,
di specchi che non
riflettono più
alcuna
immagine reale.
Pur non avendo particolari ambizioni
vorrei
inventare il mio ego daccapo,
far piovere o
nevicare, bagnarmi di sole e
riposare cullato
dalla risacca, mi immagino
in un sogno efflorescente come
un antenato dei
figli dei fiori, PEACE NO WAR,
fare sesso che sia necroscopia.
Appena ricordo qualcosa della
mia vita mi accorgo
d’averla vissuta in apnea, da
insetto che
s’arrabatta s’imbratta di polvere
e pandemico
diffonde negli altri il proprio
essere incolpevole.