VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Roberto Padovan

   
L'attimo che segue
L'uomo della luna
Giudizio universale
Nuova generazione
Centrifugo
In the mood for love - I
In the mood for love - II
Morfina
Sapranno quello che hanno fatto
L’elogio della dialettica
Contagioso





L'attimo che segue

Inconfutabilmente mi apparecchio a vivere,
stanco dell’illusione che mi pervade,
senza sogni da usare solo segni nella sabbia
logiche sequenze di dna su volti smarriti,

provvisoria sostanza che sussiste
anteriormente,
amore pregresso
conoscenza per tutti promessa in internet,
male che si trasforma in peggio
per poi essere bene e meglio dappertutto,
urto dopo urto, particella che si forma
fino a implodere chiedendo il perché,
traccia umana o tedio tattico univoco,
arte di rappresentare l’irriconoscibile
di strappare i fogli dattiloscritti, i testamenti
olografi i graffi del nulla sul cielo sereno.

Non tace il tempo il cui profitto nuoce a noi,
malmostoso protrarsi dei minuti nella luce
soffusa delle stelle come giardino fiorito in
impressione di fuga, fugace lontananza
cachessia dell’essere, imbarazzo cosmico
mio amore che muove i primi passi nell’universo.

Ma dopo resta il silenzio allungato dell’agonia,
senza più fiato né forza per gridare il suo lacerante
disappunto,

lingua assiderata, parola assoluta
vuoto che evapora nell’espressione.
 

L'uomo della luna

Capovolge il giorno nella notte, la vita
nella morte, lo scherzo nel grido ultimo
del vuoto,
ride: sasso che rotola dalla montagna,
piange: preghiera assoluta,
ama: nudo corpo in corpo nudo
Andy chiama l’universo,
viaggia attraverso il senso senza senso,
il respiro di assenso
di noi mortali televisivamente.

Per poco è molto ma non è tutto quello
che resta, rimane il tempo di volare
di leggere il Grande Gatsby,
di cercare l’accesso al cielo, il peso scuro
del pensiero pensato, soppesato
male espresso in note sbarazzine, abbozzato
sullo schermo.

Credere e voler credere che non ci sia altro se non
ciò che si vede, pensando
soffice bugia che soffia d’estate sui campi gialli di
grano,
maturo modo di percepire se stessi come mancanza
manna che si mangia ma non si sa il perché,

sospiro

immagine nell’immagine che immagina d’impazzire
sequenza fuori sintonia, foto sfuocata
canzone stonata, rima baciata con la lingua
cazzata appare ma non è.
 

Giudizio universale 

La lotta impari con il sesso che nasce,
prolifera l’adulterio delle cose col nulla
e tutto trama affinché il viandante stracco
smarrisca la strada,

cantando
carmi cremisi e navigando su mari tempestosi.

La plenitudine del web e la planitudine della vita
come reazione ad un’azione uguale e contraria ma
artificiale nel suo svolgersi apocrifo, nell’amare
e morire, maturi frutti che cadono dai rami.

Idiosincrasia del vuoto che rifiuta di riempirsi per
diventare eterno rimando alla salita scoscesa, urna
d’acqua che ci compone assillandoci col tempo morto
ubriacandoci,
depauperandoci a poco a poco, nella notte accesa da
lumi che risplendono e propagano il niente, mera
morìa del senso umano.

Agorafobia che spinge ad intasare internet, a slacciarsi
le scarpe e  camminare scalzi su freddi pavimenti di
marmo, ispezione del volto che si scompone
nel rictus ictus dell’essere nati troppo tardi e in fretta
fra il montare del traffico, durante una sosta al semaforo

imbelli aguzzini di noi stessi stesi
mangiati dai sensi di colpa, offesi
dagli sputi della folla assiepata sui marciapiedi
attorno solo sangue e saliva
franco il giorno del giudizio.
 

Nuova generazione 

Moderno? modem per mezzo di cui leggere
lo spirito che aleggia su internet,
il software sul tavolo ingombro di niente e fuori,
luddisti che ludicamente ludibriano.

Sinecura per non fare l’indispensabile e accontentarsi
del superfluamente infinito,

sineddoca che dice e non dice         tace
talché giace la face che ci illuminò.

Il maniacale modo di amare delle nuove generazioni,
a tentoni nel buio
trovare ciò che manca e non poterlo avere,
sentirsi sfiorare dalla notte come ipostasi

inventare una cosmogonia domestica irta di tabulati
e di fotocopie,

mangiare ma senza assimilare il concetto,
farsi pervadere dallo smaliziato muro del nulla,
nullafacente oggetto che diventa soggetto.

Dal mare grifagno cielo cela
tempesta che s’arruffa e s’avvicina,
ma non piove ancora
sui nostri baci silvani, sulle finestre aperte
dove floppy disk fradiciamente inutili
sono messi ad asciugare, futili
uomini che combattono il tempo
per speculare estremismi
e analisi di mercato,
temporeggiando
sullo schermo la clessidra.
 

Centrifugo

Mi sento sprimacciato, pervaso da niveo
livore, correo artista rutilante che dirsi
poeta

non può, ancora

allogano le stelle nel cielo piumoso d’autunno,
propoli che a nulla serve se non a ricostituente
dell’infinita aporia dell’esserci

e quindi del non-esserci più, malato

di disarmonica disutilità, come afflitto
da combustione interna, con igneo pudore
da sudore che estingue ogni lingua
nel moto perpetuo dell’eterno amore.

Mai nitore fu più discinto, imbarazzante
e il mio corpo azzimato non è solo su questa terra
che dà le vertigini e spara a salve

stucchevole commedia che forza il melodramma
fino a baciare la tragedia piccolo borghese,
combacia

la notte in tutte le sue parti e non usa
domandare perdono né assoluzione

caliginoso dilemma mentre scrivo e memorizzo
mare mondato,

blandisco la confusione la caotica scissione
degli ormoni travasati in bile.
 

In the mood for love - I 

Tu che parli e sei fiamma smossa
dal vento
che non sa e/o non osa sapere,
piccolo sogno ghiribizzoso
fatto in un giorno d’estate

buio altezzoso, carezza cifrata

sulla pelle che fa venire brividi
brevi,

vita la cui brevità irretisce, sancisce
l’amore e la morte attimo dopo attimo
l’afrore del pube come offerta sacrificale,
bacio che divarica le gambe,
non più per sempre.

Rabbercia cielo contro cielo,
adipe celeste e capziosa,
scossa che inietta veleno e mitridatizza
ma l’amo e non posso ricusare
abbandonare il mare mosso dei suoi capelli,

prendimi e non lasciarmi andare,
attendimi nel solco del vinile,
materia vile e corrotta già di per sé
atterrita, purtroppo
atterrata su questo mondo ma non mondata
dagli affanni,
quindi avulsa rivalsa
      pausa
che querimonia.
 

In the mood for love - II

Provo ad amarti e a torturarti di
baci sul collo e sulla curva del
seno senno che tu mi dai come
nuovo mondo da esplorare,

la notte calunnia il sonno, spiaccica

nubi in faccia e fa piovere e grandinare;

androgino il corpo che mi offri palpabile
palla di carne che nasconde vita,
bruma e brago nel mondo, sulla terra
poveri segni della croce e null’altro.

Se morte inficiasse il tuo savoir-fare saprei
fare il necessario, invece nego e abiuro
sego il dubbio e non mi pongo il problema,

magari donna-computer svilita traccia da
seguire,
scipita parodia,
mio solo eufemismo
da raccontare poi computare
nel mare matto di internet,

sola sperequazione, sola speciosa
omertosa apparizione

caligine sulle collina, incendio che si propaga
e non si spegne
e aleatorio conquide e strugge.
 

Morfina

Allorché riuscissi a stanare il dolore
DON’T TELL ME
DON’T TELL ME
magari infrangendo il giorno
le cui regole le regalo a te,
ne faccio dono al mare   buono

al maremoto, al vuoto
che circonda il vero

disattendo la mia intuizione
d’amore.

Morfina manca nei pensieri per
non dolorare, sanguino dal cervello
nel centro perfetto

sto in silenzio

pienamente negligente,
uomo fragile senza identità,
figlio delle stelle

pulsare di senso senza
senso

non mi riconosco nelle tue affermazioni

piangi e poi mangi
non lo so
se io potrò.
 

Sapranno quello che hanno fatto 

Stillicidio stagnante e roboante
mezzo di stampa che stampa
munificamente prodigo di sbagli,
edulcora l’amore nell’odore della
noia e della morte;

sine die succedaneo di vita, patologico
pane raffermo spezzato e dato a tutti
al rogo alla foiba alla ghigliottina come
strumento per ridurre le sofferenze, il
patire paure per penosa speme.

Intrallazzo dei buoni di cuore con i cattivi
scesi giù dalla montagna dopo il discorso
introduttivo alla filosofia esistenziale,
ubriachi d’infinito,
fra lupe, lucciole, lenoni, mezzani
troie tramano tra di loro,
spalancano le cosce e accolgono
l’estrema unzione,

minzione e/o masturbazione,

cinereo corteo che attraversa la notte,
discetta d’arte contemporanea, affligge
e poi sconfigge internet come noi divenuti
voi sicofanti decerebrati minus habens

le puerpere nei letti di loro dolore
calore delle mammelle, sorelle
di pena su questa terra che scopano
perniciose scimmie fornicano
favelle sconosciute.
 

L’elogio della dialettica 

Coprofagia come remora di comportamento
d’ambiente,
disossarsi, trattenersi fino a spolparsi stracco
di tutti noi,
sperduti sordidamente stolidi simulacri stereotipati

e poi

fare mercimonio di se stessi e ingoiare frutti acerbi,
amare indi scopare indi allevare sensi di colpa,
sciopero sciovinista

promiscuità

con pervicace azione nullificante, lapalissiana
morte e conduzione di feretri al camposanto,
fra stridii d’ossa accartocciate, belle giornate
per lappare un cono gelato, malattia

incubata notti fa nata nota nitida nuoce

fa le corna, nuota nel pelago che periglia
assomiglia al miagolìo magnetico del server
incomunicante, stremato

da cui si evince furto e danno,
senza crimine,
senza legge,
comune disdoro umbratile dono al cui
tattile abbandono
è facile arrendersi.
 

Contagioso 

Proseguo l’autopsia dei giorni stanchi,
l’omogeneo raccontare favole per poi
smentirle bruscamente,

oltre il mare c’è dell’altro, più del cielo
adunato di stelle
più di me stesso su questo mondo alieno

c’è l’attimo nella notte che attinge al nulla,
serafico diaframma da dilacerare,
diafano amore da amare.
Quando è iniziata la resezione del mio cuore
ho pianto un po’
ma poi la ripetitività mi ha salvato,
sobillandomi
ad altre azioni, ad altre punizioni
magicamente sano sulla faccia della terra,
nello sterro una discarica di modem ormai
inservibili, di specchi che non riflettono più
alcuna immagine reale.

Pur non avendo particolari ambizioni vorrei
inventare il mio ego daccapo, far piovere o
nevicare, bagnarmi di sole e riposare cullato
dalla risacca, mi immagino
in un sogno efflorescente come un antenato dei
figli dei fiori, PEACE NO WAR,
fare sesso che sia necroscopia.
Appena ricordo qualcosa della mia vita mi accorgo
d’averla vissuta in apnea, da insetto che
s’arrabatta s’imbratta di polvere e pandemico
diffonde negli altri il proprio essere incolpevole.



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